Google e le tasse: «Evasione no, elusione sì». L’azienda paga al Fisco 326 milioni di euro ma dai pm ottiene l’archiviazione

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di
Luigi Ferrarella

L’inchiesta della Procura di Milano. Già nel 2017 la compagnia era uscita da un contezioso versando 306 milioni all’Agenzia delle Entrate

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Google è stata talmente brava a insinuarsi nelle regole tributarie italiane che non si può sostenere che abbia evaso le tasse nelle (non presentate) dichiarazioni dei redditi 2016-2022, però ad avviso del Fisco italiano ha abusato del diritto tributario per eludere il pagamento di quelle tasse tecnicamente non evase. E alla fine la multinazionale americana e il Fisco si trovano a metà strada: Google pagando 326 milioni di euro all’Agenzia delle Entrate pur a fronte della propria ribadita regolarità di condotta, e l’Agenzia delle Entrate (che partiva da una richiesta iniziale di 1 miliardo di euro) ammettendo che non sono state violate regole tributarie da Google, e che la «peculiarità della vicenda» presenta «elementi di incertezza interpretativa». Tali da indurre ora la Procura di Milano, assieme alla somma comunque versata da Google, a chiudere anche il versante penale, chiedendo all’Ufficio Gip l’archiviazione del reato di «omessa dichiarazione dei redditi» per il quale era indagata una manager irlandese difesa dall’avvocato Fabrizio Reggiani.

Chi si rivede

È il replay di un film già proiettato otto anni fa, quando Google, in un altro dei primi contenziosi suscitati dall’approccio allora innovativo della Procura di Milano guidata da Francesco Greco, nel 2017 aveva pagato 306 milioni di euro per non affrontare contestazioni fiscali relative al 2009-2013. In quel periodo molte altre web-compagnie investigate, da Apple ad Amazon, avevano accettato versamenti di entità apparentemente significativa ma in realtà quasi impercettibile per i propri volumi: e soprattutto era andata presto in fumo l’aspettativa che da allora in poi le compagnie pagassero in Italia chissà quali reali tasse, visto che ad esempio ancora nel 2022 le principali società Big Tech erano riuscite a pagare imposte per appena 162 milioni su un fatturato complessivo di 9,3 miliardi. 




















































Il rebus della infrastruttura tecnologica

L’oggetto del nuovo contendere su Google, come spesso in questi casi, è l’esistenza o meno in Italia – sostenuta nel giugno 2023 dall’Agenzia delle Entrate e invece negata da Google – di una «stabile organizzazione materiale non dichiarata» dalla compagnia californiana nella sua diramazione giuridica in realtà di diritto irlandese Google Ireland Ltd tra il 2015 e il 2020. La Guardia di Finanza di Milano ricavava questa «stabile organizzazione occulta» dalla presenza di dipendenti della consociata italiana Google Italy srl, e soprattutto dalla infrastruttura tecnologica in Italia indispensabile a fornire i servizi venduti dalla compagnia. La quale, invece, da un lato giustificava il personale italiano con il solo supporto alle vendite ai grandi clienti fino all’autunno 2019, e dall’altro soprattutto spiegava di utilizzare in Italia centri dati di una società appartenente al gruppo ma con programmi informatici gestiti dalla Google irlandese tramite contratti di servizi. Un dedalo talmente complicato e particolare che la stessa Agenzia delle Entrate si rassegna ad ammettere «elementi di incertezza interpretativa» e ad apprezzare la «trasparente» spiegazione di Google, alla quale infine comunque contesta non di avere violato le regole tributarie sulla stabile organizzazione in Italia, ma di averle aggirate in un modo che avrebbe finito «per non rispecchiare in pieno la realtà economica generata dall’insediamento fisico» in Italia, generando vantaggi fiscali non dovuti benché non frutto di evasione fiscale in senso tecnico. 

L’accordo riservato tre mesi fa

Alla fine, in un accordo stipulato il 5 novembre 2024 e sinora rimasto riservato, Google Irlanda, pur continuando a contrastare la tesi dell’Agenzia delle Entrate, mette mano al portafoglio per 326 milioni di euro, e in cambio porta a casa il fatto che le operazioni di elusione fiscale non determinino fatti punibili dalle leggi penali tributarie: ragione per la quale ora la Procura di Milano, tanto più alla luce degli elementi di «incertezza interpretativa» riconosciuti proprio dall’Agenzia delle Entrate, rileva l’impossibilità di pronosticare quella ragionevole previsione di condanna richiesta dalla riforma Cartabia come parametro per esercitare l’azione penale, e chiede dunque l’archiviazione dell’accusa di «omessa dichiarazione dei redditi» 2016-2022 per la quale era indagata una manager di Google irlandese, Margaret Elizabeth Cunningham.
lferrarella@corriere.it

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