Il Paradosso della solidarietà in Italia: Equità o Distorsione?

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La progressività fiscale è un principio cardine del sistema tributario italiano, sancito dall’art. 53 della Costituzione, con l’obiettivo di garantire una giusta redistribuzione della ricchezza. Tuttavia, l’attuale configurazione dell’IRPEF ha generato profonde distorsioni, penalizzando in particolare la fascia di reddito tra i 50.000 e i 200.000 euro, mentre favorisce sia i redditi più bassi – giustamente protetti per motivi di equità ma che nascondono un’economia in nero imbarazzante – sia quelli superiori, che beneficiano di strumenti di ottimizzazione fiscale.

La recente sentenza della Corte Costituzionale (n.19 del 2025) sulla perequazione delle pensioni rafforza l’idea che chi è stato leale e trasparente nel contribuire venga poi penalizzato da uno Stato debole con gli evasori e forte con chi ha rispettato le regole. Il messaggio che ne deriva è devastante: per proteggersi, diventa necessario nascondere i propri guadagni, perché essere onesti significa esporsi a un sistema che non premia la correttezza, ma la punisce.

Se la pensione diventa sempre meno proporzionata al reddito, sempre più lontana nel tempo e sempre meno rivalutata rispetto all’inflazione, a cosa serve contribuire? La decisione della Corte mina l’interesse alla crescita professionale e all’impegno, negando il giusto riconoscimento alla carriera e alla responsabilità assunta nel corso della vita lavorativa. Questo non è solo un problema previdenziale, ma un segnale pericoloso per l’intero sistema economico e sociale che ha ancora troppi problemi di equità da risolvere.

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In Italia l’economia sommersa dovrebbe essere fonte di grande inquietudine. Secondo l’ISTAT, nel 2022 questa ha raggiunto i 201,6 miliardi di euro, pari al 10,1% del PIL. Di questa cifra, circa 182 miliardi derivano da attività economiche legali ma non dichiarate, mentre le attività illegali ammontano a quasi 20 miliardi. Nel 2022, le unità di lavoro irregolari sono state stimate in circa 2,986 milioni, un dato che difficilmente sarà in calo.

Spendiamo tanto in assistenza, 173.609 miliardi secondo Itinerari Previdenziali nel 2023 (dal 2013 spesa è aumentata di circa 95 miliardi) ma senza preoccuparci di fare adeguate verifiche e senza produrre effetti positivi poiché, dati alla mano, abbiamo raddoppiato la spesa in assistenza ma aumentano i poveri. Al di fuori degli studi di Alberto Brambilla, che indignano ad ogni uscita periodica sui giornali, nessuno ha il coraggio di intervenire sul fatto evidente: più leghiamo l’assistenza alle dichiarazioni dei redditi e all’Isee più produciamo lavoro irregolare, blocchiamo la crescita, la produttività e l’occupazione. Un perverso intreccio dettato dalla logica del “meno dichiari e più ti aiuto”.

Così agendo, l’Italia ha una delle spese per la protezione sociale più alte d’Europa, ma il peso fiscale grava su una minoranza di contribuenti. Secondo il Rapporto C.R.E.A. Sanità, per esempio il SSN è finanziato dal 20% della popolazione, mentre il restante 80% versa meno di quanto riceve dallo Stato. L’ingiustizia aumenta se si considera che tra questi ultimi si annidano quanti possono nascondere i loro redditi al fisco. Ecco spiegato il miracolo della solidarietà all’italiana dove il 46% degli italiani “mantiene” il restante 56% ed, in particolare, il 15,26% di cittadini che dichiarano redditi da 35mila euro in su pagano il 63,39% dell’intera Irpef.

In questo scenario, diventa sempre più chiaro che l’attuale sistema fiscale penalizza chi contribuisce regolarmente. La flat tax per gli autonomi, diventata per alcuni una bandiera politica, e la scarsa efficacia dei controlli favorisce chi sottrae risorse al sistema, mentre chi dichiara tutto viene costantemente vessato. Un sistema così sbilanciato non è sostenibile.

Tornando al nocciolo del problema sulle retribuzioni medio alte, l’IRPEF prevede un’aliquota del 43% già oltre i 50.000 euro, senza una significativa progressione per i redditi anche di molto più elevati. Chi guadagna 100.000 euro lordi annui paga circa 44.600 euro di tasse e contributi previdenziali, senza accedere alle detrazioni fiscali riservate ai redditi più bassi.

Gli effetti negativi di questa configurazione sono:

  • Disincentivo alla crescita professionale, perché l’aumento del reddito non porta benefici tangibili.
  • Fuga di talenti e capitali, con professionisti e imprenditori che cercano Paesi con regimi fiscali più favorevoli.
  • Incremento dell’evasione fiscale, con molti contribuenti che cercano strategie per ridurre il carico fiscale.

Se la progressività è severa per chi guadagna tra 50.000 e 200.000 euro, i redditi anche notevolmente superiori beneficiano di strumenti fiscali vantaggiosi, tra cui:

  • Flat tax sulle rendite finanziarie (26% contro il 43% del lavoro).
  • Uso di società e holding per ridurre l’imposizione fiscale.
  • Regimi fiscali agevolati per grandi patrimoni, che attraggono ricchi stranieri con tassazioni fisse molto inferiori.

Per riequilibrare il sistema fiscale e previdenziale, in Manageritalia pensiamo sarebbe opportuno:

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  • Ridurre la pressione fiscale sulla fascia 50.000-200.000 euro per renderla più equa e attraente per i talenti che, ricordiamo, creano ovunque opportunità per l’intera economia.
  • Mai più penalizzare le pensioni costruite con sistemi di calcolo che hanno già, al loro interno, dei termini solidaristici importanti e ogni volta ignorati.
  • Eliminare le distorsioni tra redditi da lavoro e rendite finanziarie, senza penalizzare la previdenza complementare.
  • Incentivare la previdenza e assistenza integrativa, per ridurre il carico sul welfare pubblico.
  • Rendere obbligatorie assicurazioni LTC e Dread Disease, per tutelare gli anziani.
  • Favorire politiche di age management e inclusione lavorativa di giovani e donne, per allargare la base contributiva.
  • Incentivare la formazione continua e la transizione digitale e green, con una visione specificamente italiana.

Invece di aprire una discussione su questi argomenti che crediamo sensati, risulta assurdo che il dibattito politico attuale sia ancora fermo a discutere se sia meglio una rottamazione delle cartelle esattoriali o una riduzione dell’Irpef. Continuare a proporre sanatorie e condoni per chi ha evaso, mentre si discute se alleggerire il peso fiscale per chi paga regolarmente, è l’ennesima conferma di una politica fiscale che premia chi si sottrae ai propri doveri e punisce chi contribuisce in modo leale. Senza un cambio di paradigma, il sistema continuerà a incentivare l’evasione invece che il lavoro e la crescita professionale.

Il sistema fiscale italiano, pur formalmente progressivo, ha creato un meccanismo distorto che colpisce solo i contribuenti più noti e non va a cercare le risorse dove si evade di più. Il risultato è un sistema che disincentiva il lavoro onesto, favorisce l’evasione e rende insostenibile il welfare. Serve una riforma fiscale strutturale che riduca la pressione sulla classe medio-alta, equilibri il prelievo tra redditi da lavoro e rendite e incentivi la crescita economica. Altrimenti, continueremo a vedere uno Stato forte con i deboli e debole con i forti.

Massimo Fiaschi



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