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Hanno cementato i letti a terra, per evitare che venissero usati a mo’ di arieti per sfondare le sottili pareti e i portoni blindati («infrastrutture non adatte a un penitenziario», dicono adesso, come se non ci fosse più alcuna differenza). A decine li hanno trasferiti in altri istituti d’Italia, anche se lì a Milano avevano messo radici. E molti, superata la soglia della maggiore età, sono finiti addirittura nelle carceri per adulti. Hanno rafforzato le misure di contenimento; sono arrivati a dover vietare il possesso di accendini ai reclusi, per paura che appiccassero incendi. Ma il Dipartimento non fornisce accendini agli agenti, e non tutti sono disposti a munirsene come fosse uno strumento di lavoro, cosicché può accadere che la voglia di fumare di qualche adolescente irascibile non venga soddisfatta. E poi, hai voglia a parlare di «rivolte».

C’È STATO UN TEMPO in cui l’Istituto penale per minorenni (Ipm) di Milano (oggi solo maschile) era all’altezza del nome che portava. Intitolato a Cesare Beccaria, a cui si deve la rivoluzione illuministica della pena, da vent’anni circa ormai ha perso però quel lustro che lo rendeva l’orgoglio italiano in Europa nel campo della giustizia minorile. Un lasso di tempo durante il quale nell’Ipm sono cambiati direttori e comandanti tanto frequentemente che si fa fatica a tenere il conto. In più, tutti i dirigenti chiamati a guidare l’istituto lo hanno sempre fatto “a scavallo” – come si dice – con altri carceri per adulti. Il primo direttore a tempo pieno e specializzato in giustizia minorile, Claudio Ferrari, che fin dal suo arrivo a fine 2023 ha lavorato per sanare le irregolarità del luogo, è durato appena 11 mesi, trasferito perché non in possesso dei requisiti di anzianità necessari per guidare l’Istituto milanese che nel frattempo – guarda un po’ – era stato upgradato nella classificazione criminologica. Il ministero di Giustizia che improvvisamente ha scoperto il bug, evidentemente però tollera il fatto che neanche il nuovo comandante della polizia penitenziaria Raffaele Cristofaro (arrivato 5 mesi fa) abbia la qualifica adatta, come egli stesso ammette durante la visita del manifesto al Beccaria.

Un giovane rinchiuso nel carcere Beccaria – Foto Dino Fracchia

Lunedì scorso, il sottosegretario alla giustizia Andrea Ostellari, inaugurando in Lombardia tre comunità sperimentali socio-rieducative per minori in esecuzione penale o in misura cautelare, ha ricordato di quando – fino all’estate scorsa – il Beccaria era al centro delle cronache per due evasioni e per le non poche proteste culminate anche in momenti di forte tensione, con materassi dati a fuoco e devastazioni. E, a fronte, la polizia penitenziaria che temeva di intervenire, prefigurandosi chissà quale accusa di violenza. «Ora è sicuramente migliore rispetto a come l’abbiamo trovato nel 2022», ha detto in sottosegretario leghista quasi rivendicandone (immotivatamente) il risultato. Ha sorvolato però sul terremoto giudiziario che sconvolse nell’aprile scorso l’Ipm, con 13 agenti arrestati e altri otto sospesi con l’accusa di aver commesso o coperto, a vario titolo, violenze sui detenuti tra il 2022 e il 2024. L’inchiesta ancora prosegue e alcuni di quei poliziotti penitenziari sono anche stati reintegrati, in altre sedi.

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Ma visitando altri Ipm d’Italia può capitare anche di sentir raccontare di quanto siano sempre stati «nervosi e intrattabili», i minori detenuti trasferiti per sovraffollamento dall’istituto di Milano; e di quanto lo ridiventavano ogni volta che trascorrevano alcuni giorni al Beccaria per gli incontri con il magistrato di sorveglianza. «Ora non è più così: abbiamo risolto il problema disponendo il trasferimento del detenuto per le udienze nella stessa giornata», riferisce Cristofaro secondo il quale il nervosismo sarebbe stato dovuto al malcontento dei giovani reclusi che non avrebbero voluto essere allontanati da Milano, perché lì ci sarebbe «il loro centro di interesse criminale». Ma il comandante – trent’anni di esperienza nelle carceri per adulti e per la prima volta in un minorile, assegnato all’Ipm milanese in modalità provvisoria in attesa della nomina di un titolare con tutti i requisiti giusti – testimonia che al Beccaria «sono decisamente evidenti molti disturbi psichiatrici». D’altronde le associazioni Altroconsumo e Antigone hanno calcolato che al Beccaria «tra il 2020 e il 2022 l’acquisto di benzodiazepine, sedativi e antipsicotici è cresciuto del 291%».

NEI 48 POSTI LETTO realmente disponibili (in due padiglioni) nell’istituto guidato dallo scorso novembre dall’ex vicedirettrice Raffaella Messina, il 10 febbraio scorso erano ristretti 71 giovani, di cui 42 minorenni e 29 maggiorenni. Da notare che in questo Ipm, non solo a causa del sovraffollamento, non c’è posto per separare gli alloggi degli adolescenti da quelli dei giovani adulti, e questo non aiuta né i ragazzi né gli operatori nel percorso di recupero. Dei 71 reclusi, sono 50 gli extracomunitari, di cui 25 arrivati in Italia come minori non accompagnati.

L’ASSORTIMENTO degli ospiti del Beccaria racconta meglio di tante parole le mutazioni di una metropoli come Milano, uno dei passaggi obbligati dei migranti che vogliono raggiungere il nord dell’Europa ma anche spesso centro di gravità permanente per gli «erranti» (nel senso di «espulsi dal loro contesto originario, già disadattati alla partenza e senza un mandato», come spiega la direttrice Raffaella Messina citando lo psicoantropologo Isam Idris) che anelano ad uno status inarrivabile, ai loro occhi. Anche se poi, a parte il brand in bella vista, i soldi in tasca per «contare», il coltello «per sicurezza», e solo più raramente «la pistola, che sporca (già usata, ndr) costa poco, ma solo se devi risolvere un problema grosso», di una reale disponibilità economica questi giovani non saprebbero proprio cosa farsene. Perché in loro non c’è un vero disegno criminale, non ci sono ambizioni, c’è solo smarrimento. «Hanno bisogni che non sono in grado di verbalizzare e quindi agiscono attraverso azioni violente», riferisce la direttrice. Ed è perfino comprensibile, per ragazzi che in alcuni casi (nessun nome, per tutela della privacy) a 14 anni sono partiti da città del nord Africa e hanno attraversato via terra, nascosti in camion o con altri mezzi di fortuna, nove Paesi europei e sono sopravvissuti alla vita di strada in decine di città prima di finire nelle mani sbagliate e quindi nella rete della giustizia minorile. «Prima però c’erano tante comunità – racconta Fabrizio Bruni che da 14 anni forma al lavoro i detenuti del Beccaria – e quando un ragazzo arrivava qui era perché aveva fallito tutti i percorsi terapeutici. Ora invece con i tagli sul sociale le comunità sono poche ed è aumentato pure il ricorso alla custodia cautelare».

Sono reclusi nella struttura sovraffollata 71 giovani, di cui 42 minori di 18 anni. Sono 50 gli extracomunitari, di cui 25 arrivati come minori non accompagnati

«I RAGAZZI NON SCAPPANO, se non vogliono scappare», afferma con illuminante franchezza Raffaella Messina ricordando che «la vulnerabilità di questi adolescenti devianti magari c’è sempre stata, ma ora dipende più dalla relazione sbagliata con chi li ha in carico». Un altro «elemento destabilizzante» di un Ipm come il Beccaria, sostiene ancora Messina, sta nel fatto che anche «i giovani poliziotti sono cambiati e avrebbero bisogno di più formazione». Inoltre, «la maggioranza degli agenti viene dal sud Italia e non vuole vivere a Milano, quindi le richieste di trasferimento sono all’ordine del giorno. Il nostro è un lavoro delicato, difficile metterci impegno se sei solo di passaggio».

Da mesi però, ad affiancare la direzione, il Dap ha messo una dirigente Uiepe, dell’esecuzione penale esterna per adulti. «È un supporto», assicura Raffaella Messina, non un commissariamento, come sostengono i maliziosi.



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