Conte torna “Giuseppi” e spiazza Elly Schlein

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Sopire e troncare, adelante con juicio. La linea di Elly Schlein sugli attacchi indiretti – ma neanche tanto – di Giuseppe Conte, che elogia la sincerità «ruvida» di Donald Trump contro «la propaganda bellicista dell’Occidente» pro Kiev, ergo anche i dem italiani, è prudente. Neanche a dirlo. Giovedì, nel mezzo dei malumori dei suoi contro l’ex premier, Schlein ha parlato, sì, ma per chiedere le dimissioni del sottosegretario Delmastro, condannato per rivelazione di segreto d’ufficio. Sul Conte «trumpiano» è rimasta indecisa fino a sera.

C’è chi fa il parallelo fra il silenzio di cui Elly Schlein accusa Giorgia Meloni su Trump che insulta Zelensky, e il silenzio di Schlein davanti al ritorno di fiamma trumpiana dell’alleato. C’è chi invece assicura che dirà la sua alla direzione del Pd, convocata giovedì 27 febbraio. Con calma.

Ma questo silenzio già reggeva poco nel Pd, in giro per capannelli di Montecitorio. Dove veniva fatto notare: primo, che il Pd ha un giudizio opposto su Trump e sull’invasione dell’Ucraina; secondo, che Conte stavolta l’ha sparata grossa anche per i suoi perché «Trump è quello che vuole trasformare la Palestina in “Gaza resort”». Ma in realtà solo la senatrice Mariolina Castellone dice chiaro che le parole del presidente Usa «sono pericolosissime»: altro che smascheramento «della propaganda bellicista».

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Picierno vola a Kiev

Lo scontro durissimo fra la vicepresidente dell’Europarlamento Pina Picierno e l’ultrà grillino Gaetano Pedullà rimette sul tavolo il tema dell’alleanza di centrosinistra. Picierno sostiene che fra Lega e M5s c’è «una sintonia ritrovata» sulla Russia, Pedullà ribatte che lei è «un’infiltrata dei fascisti nella sinistra».

C’è un contesto: l’eurodeputata rappresenta l’estrema dell’ala atlantista nel Pd, e nel suo rispingere Conte nelle braccia di Salvini c’è anche la polemica con la segretaria che giudica non abbastanza netta a fianco dell’Ucraina. Picierno domenica sarà a Kiev, con il collega francese Raphaël Glucksman e una delegazione di verdi e socialisti europei.

Ancora: sempre nelle parole dell’eurodeputata c’è anche un buffetto tutto interno alla corrente riformista del Pd, troppo morbida con Schlein e con il M5s. Dal canto suo Pedullà è l’estremista grillino, con licenza di urlo anche quando gli altri stringono accordi.

Ma al di là della singolar tenzone, la questione è di fondo: per Schlein è ancora possibile mettere sotto il tappeto le divisioni del centrosinistra, nascondendosi dietro il mantra di un Pd «testardamente unitario»?

Fin qui Schlein ha sperato nella costruzione di uno straccio di alleanza. E ha considerato il «correre da soli» proposto da Dario Franceschini – con accordo solo per l’uninominale – un piano B, extrema ratio alla vigilia del voto politico, consumata ogni alternativa migliore. Con la speranza che presto la guerra in Ucraina – la madre di tutte le divisioni fra Pd e M5s, con tutto il ragionamento che porta con sé, dalla Nato alle spese militari – sarebbe in qualche modo finita. E le distanze si sarebbero in qualche modo attenuate.

Anche la pace li divide

Ora, con l’indigeribile cambio di fronte degli Usa di Trump su Zelensky, Schlein deve prendere atto che se la guerra era divisiva nel centrosinistra, la pace può essere una bomba.

Questa consapevolezza è trasversale in tutte le correnti Pd. Rompere con i Cinque stelle significa condannarsi alla sconfitta, è aritmetica. Per questo, a parte la solidarietà a Picierno, in pochi attaccano direttamente Conte. Lo fa Giorgio Gori: «Aldilà di ogni giudizio morale, quale politica estera pensiamo di condividere con lui?». Per la senatrice Simona Malpezzi quelle del presidente M5s sono «dichiarazioni gravi» che «non condivido assolutamente, a titolo personale». Qui sta il punto: perché ancora una volta la segretaria non parla chiaro a nome di tutto il partito?

«La nostra segretaria ha un compito difficile: promuovere con pazienza e spirito unitario le condizioni per un percorso comune delle opposizioni. Questo non impedisce che si ricordi a Conte che i progressisti stanno dalla parte delle democrazie liberali», suggerisce Alessandro Alfieri, coordinatore dei riformisti, a Open. Fuori dal Pd c’è Carlo Calenda: «Il momento di decidere è arrivato: Elly Schlein, non puoi continuare a fingerti morta».

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La piazza di Conte

Schlein deve decidere che fare anche con la manifestazione convocata da Conte, alla quale lei, di getto, si era detta «pronta a organizzarla insieme». La vicenda si è rivelata una trappola, come avverte Riccardo Magi di +Europa: bene tutti in piazza «se i temi sono sanità, lavoro, diritti.

Ma di fronte a quello che accade nel mondo, la narrazione di una piazza non può essere che Trump va contro la “retorica bellicista”, l’unico bellicismo che abbiamo visto è quello di Putin». Molti riformisti del Pd parteciperanno invece ai cortei pro Ucraina del prossimo sabato, nel terzo anniversario dell’invasione russa.

Schlein ha confidato ai suoi di «non aver deciso» se partecipare o no alla piazza di Conte: nei prossimi giorni l’ex premier potrebbe lanciare un invito alla partecipazione, aperto a tutti. Ribadendo così di essere lui il padrone di casa, e che le parole d’ordine sono le sue. Partecipare, per il Pd, è un rischio: in questa fase l’ex premier cerca di riprendersi l’elettorato populista.

Ed è imprevedibile. Schlein si è già scottata in una situazione simile: quando nel giugno del 2023 andò – da ospite – a un corteo M5s e si ritrovò Grillo sul palco che invitava i suoi a mettere «il passamontagna» per mettere «a posto marciapiedi, aiuole, tombini». Un’espressione tutt’altro che sovversiva, con cui però la destra montò una cagnara per giorni.

Resta che è una piazza lanciata in solitaria. Non a caso. Dunque dopo due anni di lavoro «testardamente unitario» della segretaria, siamo ancora lì, alla coalizione ancora all’anno zero.

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