La nuova versione del Piano pandemico, trasmessa oggi alle Regioni, contiene alcuni importanti cambiamenti rispetto alla precedente bozza: solo una legge (e non un Dpcm) potrà disporre un lockdown in caso di pandemia e i vaccini, seppur ritenuti “efficaci”, “non potranno essere considerati gli unici strumenti” di contrasto.
Il nuovo Piano nazionale pandemico è stato trasmesso alla conferenza delle Stato-Regioni per l’approvazione e illustra la strategia messa a punto dal governo Meloni in caso di emergenze come quella causata dal Covid-19. Una prima bozza era circolata il mese scorso, ma il testo è stato modificato nelle parti considerate più “delicate” per la maggioranza, in particolare per l’alleato leghista, come ad esempio i vaccini.
A cinque anni dalla pandemia Covid e dopo la scadenza, nel 2023, del vecchio Piano, il nuovo testo avrà una valenza di quattro anni, cioè dal 2025 al 2029. Si ispira “ai valori fondativi del nostro Servizio sanitario nazionale”, in particolare “la giustizia, l’equità, la non discriminazione e la solidarietà”, si legge.
Cosa prevede il nuovo Piano in caso di lockdown
Il testo esclude “l’utilizzo di atti amministrativi per l’adozione di ogni misura che possa essere coercitiva della libertà personale o compressiva dei diritti civili e sociali”. Nel caso di una pandemia di carattere eccezionale, come il coronavirus (di cui il 20 febbraio del 2020, esattamente cinque anni fa, si scopriva il paziente 1 a Codogno) “si può presentare la necessità e l’urgenza di adottare misure relative ad ogni settore e un necessario coordinamento centrale, valutando lo strumento normativo migliore e dando priorità ai provvedimenti parlamentari”.
Dunque, non sarà possibile ricorrere a interventi coercitivi se non tramite “leggi o atti aventi forza di legge” che “nel rispetto dei principi costituzionali” potranno prevedere “misure temporanee straordinarie ed eccezionali in tal senso”. In sostanza, il nuovo Piano proibisce l’uso di atti come i Dpcm, usati durante il governo Conte per disporre i vari lockdown e contestati da Meloni, che ora non potranno più essere utilizzati. Solo una legge o un atto con la stessa forza (un decreto legge ad esempio) potrà prevederlo.
Il passo indietro sui vaccini
Il nuovo Piano riconosce l’importanza dei vaccini seppur con un importante passo indietro rispetto a quanto inserito nella prima bozza. Quest’ultima infatti, li considerava le misure “preventive più efficaci” per contrastare simili emergenze sanitarie. Ora il testo recita: “i vaccini approvati e sperimentati, risultano misure preventive efficaci” e “contraddistinte da un rapporto rischio-beneficio significativamente favorevole”. Nella nuova versione quindi, il “più” accanto a “efficaci” è scomparso, ma non solo. Viene puntualizzato anche che i vaccini “non possono essere considerati gli unici strumenti per il contrasto agli agenti patogeni, ma vanno utilizzati insieme ai presidi terapeutici disponibili”. Un dietrofront quello del ministero guidato da Orazio Schillaci che va incontro alle esigenze della Lega, da anni vicina alle istanze della galassia No-Vax.
Quali sono le altre novità previste dal nuovo Piano pandemico
Il testo consiste in 150 pagine, in cui vengono presi in esame le varie fasi di risposta all’emergenza, dalla pianificazione e il finanziamento fino al coordinamento, il controllo, l’organizzazione dei servizi sanitari e formazione del personale. Il principio guida del Piano, si legge, è “l’efficacia”. Gli interventi” prospettati “sono fondati su un solido razionale scientifico e metodologico”, e dovranno essere “motivati da una condizione di necessità. Per tale motivo ogni intervento è guidato anche dai principi di precauzione, responsabilità, proporzionalità e ragionevolezza“.
In caso di pandemia, “il conflitto che potrebbe eventualmente insorgere tra la sfera privata e quella collettiva rende necessario operare in ottemperanza al principio di trasparenza”. Per questo, “le informazioni saranno divulgate dalle istituzioni preposte, tanto al personale medico-sanitario quanto ai non addetti ai lavori, in maniera tempestiva e puntuale, attraverso piani comunicativi pubblici e redatti in un linguaggio semplice e chiaro. Ogni persona deve essere informata sulla base di evidenze scientifiche in merito alle misure adottate”, si precisa. Di fronte a reale e grave rischio per la salute pubblica, “sarà necessario disporre di misure combinate che includano test, isolamento dei casi, tracciamento dei contatti e la messa in quarantena degli individui esposti“, ma occorrerà “aggiornare o modificare le decisioni o le procedure qualora emergano nuove informazioni rilevanti e fondate su evidenze scientifiche”.
Tutte le istituzioni coinvolte nella risposta a un’eventuale emergenza sanitaria “devono essere dotate di risorse necessarie e impiegarle in maniera efficiente ed efficace, rendicontando pubblicamente il proprio operato”, riporta la bozza. Si evidenzia che “la preparazione e la necessaria pianificazione operata punta a ridurre al minimo l’eventualità che si verifichi una scarsità di risorse in caso di evento pandemico”. Se questo dovesse accadere, “ogni scelta di allocazione deve essere trasparente e guidata dal principio deontologico e giuridico della uguale dignità di ogni essere umano, dall’assenza di ogni discriminazione e dal principio di equità”, viene ribadito.
Quanto al finanziamento, l’ultima legge di bilancio “ha autorizzato, per l’attuazione delle misure del piano pandemico nazionale per il periodo 2025-2029, la spesa di 50 milioni di euro per l’anno 2025, di 150 milioni di euro per l’anno 2026 e di 300 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2027”.
Il testo rivolge l’attenzione anche alle categorie più fragili. “In base alle rispettive competenze statali e regionali gli interventi di sanità pubblica mirano ad essere inclusivi e rispettosi delle caratteristiche di ogni contesto sociale, nella piena consapevolezza che ogni tipo di misura possa gravare in maniera differente su gruppi di popolazione diversi tra loro per tratti sociali, economici, culturali, clinici”, si legge. Tra le popolazioni particolarmente fragili e vulnerabili cui è opportuno prestare specifica attenzione” a “i grandi anziani, coloro che sono ospitati all’interno di Rsa, le persone affette da patologie rare, psichiatriche, oncologiche, da comorbidità severe o immunodeficienze, le persone che vivono in condizioni di particolare fragilità sociale o economica, le persone migranti e le persone in regime di detenzione”. In ogni caso “risulta assolutamente centrale la sensibilizzazione delle persone attraverso una comunicazione semplice ed efficace dei benefici e dei rischi correlati”, si sottolinea. E “in nessun modo – si avverte – la campagna di informazione dovrà utilizzare toni drammatici, generare discriminazioni e stigma sociale”.
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