Fine vita e suicidio assistito: regioni in ordine sparso e Puglia in religioso silenzio

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Decidere sul fine vita è un diritto soggettivo che, date certe condizioni (quelle stabilite dalla sentenza Cappato-DJFabo 242/2019), deve essere garantito su tutto il territorio nazionale. Non così per la classe politica italiana, dove pulsano tendenze ataviche. Opportunisticamente rilanciate dai pollai mediatici, servono ad aizzare varie tifoserie in vista della prossima tornata elettorale. Tanto più nella pantomimica settimana della Sancta Sanctorum kermesse sanremese, come sempre governata da beneplaciti conduttori, ossequiosi intellettuali e immortali cortigiani. Il risultato più evidente è una signorile caciara, ornata da massime strabilianti. Alcune hanno enfaticamente risuonato a seguito dell’approvazione da parte della Regione toscana della legge di iniziativa popolare su «procedure e tempi per l’assistenza sanitaria al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza costituzionale 242/2019».

Basti dire di quelle provenienti da parlamentari filogovernativi, intenti a ricalcare l’ecumenico vocabolario delle associazioni pro-life: «l’eutanasia e il suicidio sono un abominio»; «la legge toscana è antropologicamente sbagliata»; «la fragilità e il dolore vanno degnamente onorati». Non da meno le opinioni vergate da esponenti di opposizione, dove a prevalere è la libertà di coscienza.

E di coscienze ne registra diverse il Pd. Spicca quella che reputa «discutibile la legge toscana in assenza di un quadro normativo nazionale». Questioni di metodo, sembrerebbe di capire, se non fosse che qui la comprensione è offuscata da sortite ridicole, quando non inutilmente dannose.

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Quella dell’ex Ministro Marianna Madia, ad esempio, si riconosce per una indecente aspirazione poetica, per cui è meglio «la zona grigia che affidi alla comunità amante del malato quel passaggio così misterioso». Discorsi liricamente imbarazzanti e per certi versi divertenti, se non impattassero rovinosamente sulla vita e sulla dignità di essere umani alle prese con irreversibili patologie.

Legislatori più seri dovrebbe perciò lasciarli da parte per concentrarsi su una domanda tanto semplice e banale quanto concreta, drammatica e reale: accertate le condizioni stabilite dalla Consulta, come assistere una persona malata che liberamente decide di morire? La risposta la fornisce l’articolo 117 della Costituzione, per cui in questa materia i principi fondamentali sono posti da una legge nazionale, alla quale si deve poi allineare la legislazione regionale. Fatto sta che, affetto da sciatteria istituzionale e mutilato dell’organo sintattico, il Parlamento si è differenziato per una deprecabile inerzia, oltremodo sottolineata dal doppio intervento della Corte costituzionale (ordinanza 207/2018 e sentenza 242/2019). Ma, se letta con attenzione, questa giurisprudenza non può a cascata giustificare l’indifferenza delle Regioni. Le quali non devono discutere di scienza, etica, filosofia, filologia e antropologia. Né tanto meno devono far ricorso a norme di nuovo conio.

Per questo c’è già la sentenza Cappato-DJFabo che, producendo diritto per tutto lo Stato italiano, chiama gli organi regionali a darvi attuazione. E questo non vale solo per il suicidio assistito, ma anche per la legge statale (n. 38/2010) sulle cure palliative e sulla terapia del dolore: una legge che, come ha evidenziato la stessa sentenza 242/2019, rimane per molta parte inefficace e inattuata.

Solo che, specchio dell’agonia civile in cui versiamo, le Regioni hanno deciso di solcare il sentiero tracciato dai miopi e posticci statisti nazionali. Intente ad alimentare le ciarle dogmatiche, hanno fino ad ora prodotto una strategia a macchia di leopardo, dietro la quale non è raro assistere alla regressione intellettuale; un vero e proprio monito, si potrebbe aggiungere, contro il progetto calderoniano dell’autonomia differenziata. In alcuni Consigli regionali, infatti, giace una proposta di legge che non ha mai iniziato l’iter formale. In altri la caduta anticipata delle Giunte ha imposto di ricominciare tutto daccapo. In due Regioni il manufatto legislativo è stato bocciato con la motivazione che spetti al Parlamento intervenire. Nelle Marche un testo è ora all’esame della Commissione salute. In Sardegna, ove imperversa il caso Todde, progetti del genere sono stati più volte calendarizzati. Per non parlare del Veneto, dove il voto contrario di una consigliera del Pd ha decretato il fallimento di una proposta legislativa, nonostante la potente sponsorizzazione di Luca Zaia. In Emilia-Romagna, poi, vigono delibere amministrative (DGR 194/2024 e determina direttoriale 2596/2024), le quali sono state prontamente impugnate dal Presidente del Consiglio e dal Ministro della Salute.

In Puglia, va detto, le cose vanno diversamente. Qui pesano le dichiarazioni del Presidente Michele Emiliano che, in disaccordo con i consiglieri di maggioranza, si oppone alla legge regionale e si affida al provvedimento amministrativo. Quello che, emesso dalla Giunta regionale il 18 gennaio 2023 dopo l’ennesima bocciatura di una proposta di legge sul suicidio medicalmente assistito, impone alle strutture sanitarie di «dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale». La via legislativa, aggiunge Emiliano, «è solo una sottolineatura polemica alle inadempienze del Parlamento; una delle possibilità che la Toscana ha deciso di percorrere, ma non aggiunge nulla a ciò che in tutte le Regioni già si può fare grazie alla decisione della Consulta del 2019». Una posizione ragionevole, se la delibera del 2023 non fosse affetta da insostenibile genericità e insopportabile indeterminatezza: lo dimostrano, tra le altre, le norme relative al Comitato etico, chiamato ad esprimersi «nel più breve tempo possibile». Sicché, come si è affermato su questo giornale (11 febbraio 2023), ferma restando la natura ordinatoria dei termini, indicazioni più precise potrebbero imprimere maggiore certezza al diritto stabilito con la sentenza Cappato-DJfabo. Resta che dal 2023 sul punto la Giunta pugliese e il suo Presidente si sono contraddistinti per un religioso silenzio. Nel frattempo la proposta di legge a prima firma del consigliere Amati è stata iscritta per la 35ª volta all’ordine del giorno del Consiglio regionale con il sostegno del Pd, del M5S e – inutile dirlo – l’ostilità del centrodestra.

Insomma, se c’è una lezione da imparare da questa pasticciata storia normativa è che il diritto ha una logica refrattaria agli alchimisti di ogni risma e orientamento. Tanto più alla luce della quotidiana fatica dell’esperienza umana di persone malate e delle loro famiglie.



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