Il fine vita non è un reato, ma neanche un diritto per tutti

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A fine gennaio in Lombardia c’è stato il primo caso di suicidio assistito, il sesto in tutta Italia. A livello puramente burocratico, e anche politico, il tema è molto complesso. Con la riforma costituzionale del 2001 sul Titolo V, le Regioni italiane hanno assunto nuove competenze dallo Stato, tra cui, per l’appunto, quella della sanità. Questo però ha portato a frammentare alcune pratiche, tra cui il suicidio assistito (introdotto in Italia dal 2019). Ogni Regione ha la necessità di formulare la propria legge sul tema (anche se chi, come la Lombardia, invoca a un intervento nazionale), portando a regole molto diverse tra una zona e l’altra del Paese.

Prima di parlare delle leggi regionali, occorre fare un passo indietro. Nel 2019 la Corte costituzionale emette una sentenza storica (la numero 242): una parte dell’articolo 580 (istigazione o aiuto al suicidio) del Codice penale viene dichiarata incostituzionale. Senza entrare nelle norme, concretamente da questo momento il cosiddetto “fine vita” non è più un reato. In più la Corte delinea anche i quattro requisiti che una persona deve soddisfare per accedere alla pratica: patologia irreversibile, sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, consapevolezza nelle decisioni e dipendenza da sostegni vitali.

Da qui la palla passa alle Regioni, le quali devono emanare una legge per regolare il suicidio assistito. Ma negli anni successivi la sentenza rimane solo sulla carta. Al punto che a luglio 2024, la Corte ha dovuto pronunciarsi nuovamente per specificare il requisito di «dipendenza da trattamenti di sostegno vitale», sollecitata dal gip di Firenze, per una richiesta pervenuta all’Asl del capoluogo toscano.

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La questione però è che a quasi sei anni dalla sentenza, solo la Toscana (un mese fa) ha approvato una norma che regola il suicidio assistito. E in tutte le regioni l’input di avviare l’iter è stato dato quasi sempre dall’Associazione Luca Coscioni che, attraverso una raccolta firme, ha proposto la legge “Liberi Subito” nei vari Consigli. «Chiediamo che vengano stabilite delle norme sui tempi», spiega il tesoriere Marco Cappato. «In cui le Asl sono obbligate a dare delle risposte positive o negative per accedere al suicidio assistito».

Infatti, a oggi, il caos burocratico risale proprio su questo punto. A parte in Toscana, in tutte le altre regioni d’Italia, chi fa richiesta al Sistema sanitario nazionale (Ssn) per accedere alla pratica, non ha certezza, anche se ne ha il diritto, su quando riceverà un riscontro da parte dell’Asl di riferimento. E per regolare questo serve una legge regionale.

I Consigli di tutto il Paese, però, anche con le raccolte firme, non hanno quasi mai portato avanti la questione. In Molise, Sicilia e Trentino-Alto Adige la proposta di legge non è ancora nemmeno stata depositata. Di conseguenza le Asl non hanno paletti da rispettare sui tempi.

Ma anche se l’iter è più avanzato in altre regioni, la strada è ancora lunga. In Abruzzo l’iniziativa dell’Associazione è stata depositata, con undicimila firme a fronte di ottomila richieste. Ma il Consiglio non ha incardinato il testo e il rinnovo del Consiglio (avvenuto nel 2024) ha bloccato l’iter.

Queste dinamiche, anche se con sfumature diverse, si sono ripetute spesso. In Umbria, il testo era stato presentato a inizio 2024, ma a causa delle elezioni di novembre, il testo dovrà essere nuovamente riproposto. In Basilicata, la legge era stata portata in Consiglio, da nove Comuni, tra cui Matera. Ma anche in questo caso la palla è stata passata alla legislatura successiva. In Liguria, dopo che la raccolta firme era stata deposta a febbraio di un anno fa, lo scandalo che ha portato alle dimissioni dell’ex presidente Giovanni Toti ha messo la questione lontano dagli impegni urgenti del Consiglio. Lo stesso vale per la Sardegna, in cui le vicende giudiziarie della presidente Alessandra Todde rischiano concretamente di far slittare la discussione.

La prima Regione a cercare di adeguarsi alla sentenza della Corte costituzionale nel gennaio del 2023 è stata la Puglia, attraverso una delibera di Giunta che impone alle Asl un massimo di venti giorni per verificare le condizioni per accedere al suicidio assistito. In questo caso però il problema è da identificare nella forma del provvedimento: non trattandosi di una legge regionale, il prossimo Governatore potrà cambiare la direttiva o anche eliminarla, senza il bisogno dell’approvazione del Consiglio. Sul tema la Città metropolitana di Bari ha chiesto alla regione di discutere la proposta di regolamentazione dell’Associazione.

Un caso simile si può trovare anche in Emilia-Romagna, dove la Giunta di Stefano Bonaccini, a seguito della raccolta firme, nel 2023 si è limitata a emanare delle linee di indirizzo per le Asl. Anche questa forma, come denuncia l’Associazione Luca Coscioni, non permette di avere tempi certi. E infatti sulla questione il gruppo consigliare di Forza Italia ha chiesto un intervento del Tar.

Ma tra gli ostacoli burocratici, c’è anche chi si oppone al suicidio assistito. La prima Regione a farlo è stata il Veneto: dopo che la proposta di legge era stata depositata con nove mila firme, la discussione si è tenuta a gennaio 2024. Per un solo voto la norma non è stata approvata. Caso simile anche in Lombardia. Dopo che all’unanimità l’Ufficio di presidenza ha dichiarato ammissibile la proposta, a novembre 2024 il Consiglio ha deciso di votare una questione pregiudiziale di costituzionalità, dichiarandosi incompetente a normare la materia, impedendo di fatto la discussione e rimandando la questione al Parlamento.

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Stessa linea anche in Friuli-Venezia Giulia dove la proposta di legge è stata respinta dalla commissione Sanità nel 2023 e, dopo essere stata nuovamente depositata, il Consiglio ha votato una pregiudiziale (che concretamente ha rinviato la discussione a data da destinarsi). Stesso metodo utilizzato a marzo 2024 in Piemonte, in questo caso per questioni di costituzionalità. Nelle Marche invece, dopo il caso di Federico Carboni (primo caso di suicidio assistito in Italia) a cui la regione non ha fornito il medico e il materiale per accedere alla pratica, nel 2022 è partita una discussione, che però si è conclusa con un nulla di fatto.

In Valle d’Aosta, la questione è stata affrontata da due consigliere di una lista d’opposizione (Progetto civico progressista) Erika Guichardaz e Chiara Minelli, le quali hanno depositato il testo, che però non può essere discusso per mancanza di altri membri disposti a sottoscrivere il documento.

Per quanto riguarda le altre regioni, le varie proposte di legge sono in corso di valutazione. In Campania i consiglieri Luigi Abbate (Partito socialista italiano) e Maria Muscarà (Misto) hanno portato a marzo il testo in Commissione sanità, il quale ha istituito un tavolo tecnico. In Calabria il Partito democratico ha presentato una norma per i soli pazienti terminali, che dovrà essere discussa. Nel Lazio Alleanza verdi e sinistra e Italia viva hanno preso in carico la proposta “Liberi Subito”, che dovrà essere portata in aula (anche se non è ancora stata calendarizzata).



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