L’Italia arretra nella lotta alla corruzione, e non è la sola in Europa

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L’Europa si scopre sempre più fragile di fronte alla corruzione e alle pressioni delle lobby. A rivelarlo è il nuovo Indice di percezione della corruzione (Cpi) di Transparency international. Il punteggio cala a sessantaquattro punti su cento, uno in meno rispetto all’anno scorso. Il problema è che anche Germania e Francia che arretrano, il Regno Unito scende addirittura undici, e gli stessi Paesi nordici, da sempre simbolo di trasparenza, vedono crollare la loro posizione: la Svezia ha perso nove posti dal 2015. E il Cpi 2024 registra per l’Italia il diciannovesimo posto in Europa. Il primo calo dal 2012: colpevoli, secondo Transparency Italia (Ti), «l’inefficacia del sistema di prevenzione della corruzione nel settore pubblico e la mancanza una normativa chiara sul conflitto di interessi tra pubblico e privato». 

In Europa a preoccupare sono anche i grandi scandali negli appalti pubblici, da Malta all’Ungheria – sotto il governo di Viktor Orbán, Budapest ha visto il suo Cpi crollare di quattordici punti dal 2012 a oggi – , e i flussi di denaro illecito che transitano in centri finanziari come Lussemburgo e Svizzera, dove sanzioni non adeguate e meccanismi deboli di sorveglianza coprono traffici illegali ormai fuori controllo, non rivelati dall’indice.

«La corruzione fa male a tutti», ha commentato Giuseppe Busia, dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), alla presentazione di Ti dell’indice a Roma l’ l1 febbraio «i costi della corruzione sono costi che si diffondono alla generalità delle istituzioni e che fanno perdere credibilità al Paese e quindi tutti noi dobbiamo lavorare per combattere la corruzione. Ogni passo che si fa è un passo in cui ne guadagnano i diritti, ne guadagna la crescita economica, ne guadagna la democrazia del Paese». E Michele Calleri, presidente di Ti Italia, dice che «prevenzione, regolamentazione e cooperazione» devono essere i pilastri della lotta alla corruzione, evidenziando in particolare come, in Italia, ci sia bisogno di «una regolamentazione efficace di questioni strategiche come conflitto di interessi e lobbying».

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I dati si basano su da tredici diversi tipi di sondaggi e valutazioni differenti sulla corruzione, effettuati da fonti autorevoli quali la Banca mondiale e il Forum economico mondiale. Le fonti di dati utilizzate per elaborare il Cpi analizzano diverse forme di corruzione nel settore pubblico, tra cui:Tangenti, appropriazione indebita di fondi pubblici, sfruttamento della carica pubblica per interessi personali, capacità dei governi di contrastare la corruzione nella pubblica amministrazione, nomine nepotistiche nel servizio civile, norme che obbligano i funzionari a dichiarare il proprio patrimonio e i potenziali conflitti di interesse, protezione legale per chi denuncia casi di corruzione e concussione, controllo dello Stato da parte di interessi ristretti e privilegiati, accesso alle informazioni su affari pubblici e attività di governo.

Lo stesso indice, però, è soggetto a limiti precisi: non valuta la corruzione nel settore privato, non affronta il tema del segreto bancario e non prende in esame la corruzione transnazionale, In più si basa esclusivamente sulle percezioni di esperti e imprenditori riguardo alla corruzione nel settore pubblico. Secondo Ti, nonostante ciò, prima del 2023, questo punteggio era rimasto stabile per circa un decennio, avvertendo quindi come «alcuni governi lavorino per minare o politicizzare i sistemi anti corruzione e favorire l’indebolimento dello stato di diritto«. Tra le trentuno nazioni prese in considerazione, solo sei ottengono infatti risultati migliori, mentre diciannove evidenziano un peggioramento.

«La corruzione rappresenta un gigantesco ostacolo alla risoluzione della crisi climatica» si legge ancora nel rapporto. Diverse inchieste rivelano problemi nei sistemi di trasparenza, soggetti alle pressioni delle lobby. Questo è stato reso evidente dal lavoro di grandi compagnie petrolifere per ridimensionare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica in Europa, mentre, dalla parte ambientalista, è emerso come una rete di cinquanta organizzazioni abbia investito sessantaquattro milioni di euro per rafforzare la propria influenza sul Green deal europeo.

Il quotidiano dei Paesi Bassi Telegraaf ha rivelato, a proposito, che l’Unione europea avrebbe segretamente pagato associazioni e gruppi ambientalisti per favorire riforme promosse dall’allora Commissario Frans Timmermans: notizia su cui ora si stanno facendo indagini più precise, non tanto sulla veridicità dei fatti che sembra essere stata confermata anche dall’Unione, ma sulle modalità con cui gli scambi siano avvenuti per verificarne la legalità.

Dall’altro lato, in Francia, diversi gruppi aziendali hanno esercitato pressioni durante la discussione di una legge sul clima, smorzando l’ambizione iniziale di ridurre i voli domestici. Mentre in Germania è avvenuto di recente un caso di nepotismo sull’allocazione di risorse destinate alla ricerca sull’idrogeno che ha costretto il ministero dei trasporti a licenziare il funzionario responsabile e a chiuderne il dipartimento.

Il monitoraggio sui flussi di denaro illecito solleva poi interrogativi su Paesi quali Lussemburgo e Irlanda – rispettivamente al quinto e al decimo posto – che figurano spesso come destinazioni di trasferimenti sospetti: basti pensare che l’ottanta per cento dei fondi di investimento privati in Lussemburgo non rende nota l’identità dei beneficiari. E solo lo scorso novembre, come rivelato dall’Progetto di investigazione sulla corruzione e il crimine organizzato (Occrp) centinaia di conti di una grande banca lussemburghese sono stati implicati in un trasferimento di centosettantacinque milioni di dollari sottratti a un istituto di credito azero, poi reinvestiti in immobili nel Regno Unito. Tuttavia, a fronte di questi illeciti, le sanzioni restano in molti casi modeste, prive del peso necessario a fermare i fenomeni di corruzione.

Nel 2023, Singapore ha imposto a due banche multe per soli 2,3 milioni di dollari (0,018 per cento dei loro profitti annui), mentre a Hong Kong le sanzioni per violazioni alle norme antiriciclaggio hanno raggiunto solamente 3,2 milioni di dollari. In Svizzera, l’autorità di vigilanza bancaria non può imporre misure determinanti ma si deve limitare a ordini di adeguamento o a rinvii davanti ai giudici penali, finendo così per perpetuare un sistema che favorisce la sopravvivenza di pratiche opache.

Nonostante tutto, qualche iniziativa incoraggiante si fa strada. L’Estonia, con un nuovo registro centralizzato di e-procurement, ha migliorato la trasparenza e facilitato l’accesso ai dati, potenziando i controlli sui contratti pubblici. Anche la Germania sta provando a invertire la tendenza con l’istituzione di un registro obbligatorio delle lobby, imponendo così alle compagnie petrolifere di rendere pubbliche le proprie iniziative in materia climatica.

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In Italia, si rischia invece di rendere più deboli i meccanismi di contrasto a rapporti illeciti, sventando i passi avanti fatti dalla Legge anticorruzione 190/2012 alla Legge 179/2017 per la tutela dei whistleblower, fino alla trasposizione della Direttiva europea sul whistleblowing con il D.Lgs. 24/2023. Riguardo alle nuova Direttiva europea anticorruzione, Giuseppe Busia ha infatti fatto notare come «il Consiglio, dove siedono i governi, ha tirato molto il freno a queste proposte. Anche l’Italia ha contribuito su questo, anche sull’abuso d’ufficio» – commentando anche come – «Noi abbiamo bisogno di regole armoniche in Europa perché abbiamo bisogno di più Europa… e abbiamo bisogno di rafforzare le istituzioni europee. E le istituzioni europee non si rafforzano se non si ha fiducia nelle istituzioni, se non si hanno regole di prevenzione della corruzione adeguate o anche di repressione nei casi più gravi».



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