Mafia, Sospetti su una cantina di Giv: «Bancomat per Cosa Nostra»

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Annamaria Schiano

La siciliana Rapitalà coinvolta in un’inchiesta della Dda. La difesa: «Noi estranei»

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Rapitalà, storica impresa vinicola siciliana di Camporeale (Palermo) entrata far parte della galassia di Giv, il veronese Gruppo italiano vini, che nel 1999 ne ha rilevato le quote di maggioranza, è stata investita nei giorni scorsi da un’indagine della Dda di Palermo per presunti legami con gli esponenti locali di Cosa Nostra.

Giv è il più importante gruppo vinicolo italiano, con sede a Calmasino di Bardolino, sul lago di Garda, a cui fanno riferimento numerose cantine, autonome nella loro produzione. «Il patrimonio del Gruppo è costituito da 15 cantine storiche, dai marchi ben noti e presenti in tutto il mondo, inserite in suggestivi vigneti di proprietà e situate nelle zone vitivinicole più prestigiose d’Italia», scrive Giv sul proprio sito.




















































L’inchiesta della Dda di Palermo ha portato a sei arresti di personaggi vicini alla cosca mafiosa di Camporeale, che vedeva al comando Antonino Scardino, reggente del mandamento durante la detenzione dello storico capomafia locale Antonino Sciortino. Tra gli indagati risulta anche il sindaco di Camporeale, Luigi Cino.

«Asservita a Cosa Nostra», che l’avrebbe utilizzata come un bancomat: così scrivono i giornali siciliani in riferimento alla cantina Rapitalà. I rapporti tra parte del gruppo dirigente dell’azienda vinicola ed esponenti mafiosi del clan di Camporeale, vengono dettagliati così dagli atti dell’inchiesta: «L’attività di indagine dei carabinieri – scrive il gip nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere – ha fatto emergere gli interessi economici di Cosa Nostra camporealese anche nel settore della produzione e della vendita di prodotti vinicoli, attraverso le diverse cantine della zona. Tra queste, senza dubbio la più importante per fama e grandezza è la Cantina Rapitalà, società per azioni del Gruppo italiano vini».

Rapitalà produce circa 2,6 milioni di bottiglie l’anno e si sviluppa su una tenuta di oltre 200 ettari, con vigneti sparsi tra le province di Palermo, Agrigento e Trapani. Tra i dipendenti della cantina – riportano gli investigatori – risultano undici persone «vicine per legami di parentela alla famiglia mafiosa di Camporeale». Nello specifico, l’inchiesta condotta dalla Dda di Palermo accusa il clan di ricevere mensilmente sia somme di denaro contante che altri beni (vini e nafta) provenienti dalla cantina Rapitalà, tramite alcuni suoi dipendenti contigui al sodalizio mafioso. Denaro che, secondo gli inquirenti, sarebbe andato in particolare ad Anna Maria Colletti, moglie del boss detenuto Antonino Sciortino. La donna avrebbe, quindi, utilizzato i soldi anche per pagare le spese legali da affrontare per il marito.

La Tenuta Rapitalà era stata fondata nel 1968 dalla famiglia di origini francesi Gatinais e per anni è stata gestita dal conte de la Gatinais e dalla moglie Gigi Guarrasi. La gestione è poi passata al figlio Laurent Bernard de la Gatinais, oggi presidente e amministratore delegato dell’azienda, che respinge ogni accusa: «In relazione all’operazione giudiziaria che ha portato all’esecuzione di misure cautelari nel comprensorio di Camporeale, Tenuta Rapitalà afferma la propria estraneità a contesti mafiosi e dichiara di essere a disposizione di investigatori e inquirenti per ogni accertamento opportuno e necessario». 

Mentre la direzione di Giv preferisce non rilasciare alcuna dichiarazione in questo momento, poiché riferisce di non avere ricevuto alcun atto giudiziario e di non sapere nulla della vicenda, se non di avere appreso dai giornali quanto accaduto alla controllata siciliana.

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20 febbraio 2025

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