La riforma del welfare state italiano è di «cruciale importanza». E «rilanciare la crescita e generare maggiori redditi attraverso un uso più produttivo del lavoro e del capitale è la condizione imprescindibile per preservare il nostro modello di welfare e promuovere il progresso civile». Queste le parole pronunciate dal governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, nell’aprire il convegno Il futuro del welfare italiano tra equità e sviluppo.
L’importanza del welfare per il Paese
Come l’economia risulta importante per la creazione di un welfare equo, a sua volta il welfare state è garanzia di eguaglianza e crescita. Da un lato, il sistema di welfare svolge un ruolo essenziale nel ridurre le diseguaglianze e contrastare la povertà. E l’Italia dimostra di averne bisogno. Se infatti si considerano solo i proventi da lavoro e da proprietà, la distribuzione dei redditi tra le famiglie italiane risulta fortemente diseguale, con un indice di Gini superiore al 52%. Includendo invece le pensioni e gli altri trasferimenti sociali in denaro erogati dalle amministrazioni pubbliche il valore si riduce di circa 10 punti percentuali. E ancora, se si considera anche il valore economico delle principali prestazioni in natura – come sanità, istruzione, asili nido, edilizia popolare – l’indice di Gini si abbassa ulteriormente, di 2,5%.
Per Panetta, il sistema di welfare «non è solo uno strumento di equità sociale, ma anche un motore essenziale per lo sviluppo economico di un Paese». In un «contesto caratterizzato da informazione imperfetta e mercati finanziari incompleti, il welfare riduce l’incertezza, mettendo le persone nella condizione di poter assumere rischi, ad esempio avviando un’attività imprenditoriale innovativa». Allo stesso modo, «un sistema di istruzione pubblica permette a tutti, indipendentemente dalle disponibilità economiche, valorizza il capitale umano della società, contribuendo così ad aumentare il potenziale di crescita dell’economia».
L’equilibrio tra welfare e conti pubblici
Il welfare state però ha ovviamente dei costi, sottolinea Panetta, e in particolare «la generosità del welfare deve necessariamente essere bilanciata con la sostenibilità dei conti pubblici». Questi due aspetti sono strettamente collegati: «regole mal concepite possono disincentivare il lavoro e il risparmio, con effetti negativi sulla crescita economica – a sua volta fondamentale per garantire la sostenibilità del debito pubblico», avverte il governatore.
Nei prossimi anni il debito pubblico già elevatissimo italiano sarà messo ulteriormente sotto pressione: la spesa pensionistica (che ammonta al 16% del pil) è destinata ad aumentare a causa delle sfavorevoli dinamiche demografiche e a ciò «si aggiunge la necessità di destinare più risorse rispetto al passato a difesa, transizione verde e digitale».
Così si eroderà ancora il margine di spesa pubblica per il welfare, laddove già oggi le risorse che lo Stato italiano destina a sanità e istruzione, «pari rispettivamente al 7 e al 4% del prodotto, sono inferiori alla media europea». Difatti, emerge dal Rapporto della Fondazione per la Sussidiarietà, «Sussidiarietà e… welfare territoriale» che la spesa per le prestazioni pensionistiche (vecchiaia, invalidità e reversibilità) assorbono quasi la metà delle risorse del welfare mentre alle politiche sociali (famiglie e minori, disabilità e disoccupazione) è destinato meno del 20%.
Molte diseguaglianze nei servizi a livello territoriale
Un altro equilibrio difficile da garantire ma fondamentale per il sistema Paese è quello tra due esigenze: «Da un lato il decentramento, che consente di rispondere in modo più preciso ai bisogni specifici dei territori e di adottare misure mirate; dall’altro lato, un solido coordinamento centrale, necessario per garantire un uso appropriato delle risorse e un livello uniforme dei servizi essenziali su tutto il territorio nazionale».
Ad oggi i servizi territoriali sono sostenuti principalmente dai bilanci comunali. Difatti, riporta Panetta, «i fondi statali, regionali e di altri enti pubblici coprono solo il 40% della spesa complessiva, e sono sostanzialmente uniformi sul territorio in termini pro capite».
E a causa delle differenze nella capacità fiscale e amministrativa, ciò si traduce nel fatto che l’intervento dei comuni risulta minore proprio nelle aree che ne avrebbero maggiormente bisogno. In media, «la spesa socio-assistenziale pro capite nelle regioni del Centro-Nord è quasi il doppio rispetto a quella del Sud (170 contro 90 euro, rispettivamente)».
Una disparità di spesa che si traduce in diseguaglianze nell’accesso ai servizi. il governatore fornisce qualche esempio: «nelle regioni meridionali i posti negli asili nido coprono appena il 7% dei bambini sotto i tre anni, contro il 19 nelle altre regioni; l’assistenza domiciliare agli anziani raggiunge solo 8 ultrasessantacinquenni su 1.000, rispetto a 19 nelle altre regioni». (riproduzione riservata)
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