La petroliera a Savona e il giallo delle due bombe: indagini su tre attentati nel Mediterraneo

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di
Alessandro Fulloni e Andrea Pasqualetto

L’armatore greco era finito nella black list delle autorità ucraine: era sospettato di contrabbando di greggio a favore della Russia. Lo specialista ellenico ascoltato dalla Procura: «Poteva essere un disastro ambientale»

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Con quello di sabato notte al porto di Savona, la certezza è che, da gennaio, sono quattro gli attentati ai danni delle«petroliere-fantasma» sospettate di trasportare, o di averlo fatto in passato, greggio con destinazione Russia, in barba alle sanzioni occidentali. Uno è avvenuto nel mar Baltico e gli altri tre nel Mediterraneo.

Proprio su questi ultimi vuol far luce la Digos che ha chiesto le carte alle autorità giudiziarie della Libia e della Turchia dove sono avvenuti gli attentati, oltre a quello nella rada del mar Ligure. Dove adesso il livello di sicurezza, tra Savona e Genova, è passato dal livello 1 al 2 (in una scala in cui il massimo è 3). Ciò perché nel porto, oltre alla Seajewel, il colosso del mare (245 metri di lunghezza, stazza lorda di 62.ooo tonnellate, armatore greco, Thenamaris, e battente bandiera maltese), preso di mira l’altra notte, è comparsa mercoledì pure una «gemella», la Seacharm, stesso armatore ma bandiera delle Marshall. Anche questa, il 17 gennaio scorso, è stata bersaglio di un attentato mentre era all’ancora in Turchia, nel porto di Ceyhan.




















































In queste ore motovedette delle forze dell’ordine pattugliano le acque davanti a Genova e Savona e anche le operazioni di scarico del greggio, da parte della stessa Seacharm, previste oggi, saranno attentamente sorvegliate, pure con dei robot dotati di telecamere, dall’intelligence italiana.

Quanto alla Seajewel, martedì e mercoledì sei palombari del Comsubin (gli specialisti della Marina militare), coordinati dal loro team leader, hanno setacciato la chiglia della petroliera per ultimare i controlli chiesti dal procuratore di Genova Nicola Piacente che coordina l’indagine. C’era da cercare elementi sul tipo di esplosivo utilizzato, il posizionamento: una «firma» che potrebbe essere stata lasciata da chi ha piazzato gli ordigni. Il fascicolo giudiziario prefigura infatti l’ipotesi del «naufragio» organizzato con «finalità terroristiche».
 
Tra le domande a cui dare una risposta:
quando sono stati sistemate le due bombe che hanno provocato uno squarcio di circa 120 centimetri per 70 sulla fiancata sommersa della Seajewel? Chi ha pianificato il raid, voleva affondare la petroliera, salpata dall’Algeria? Oppure voleva solo indirizzare un avvertimento? L’ipotesi prevalente è che il raid sia opera di un team di sommozzatori, aiutati da una «copertura» orchestrata da terra. Gli incursori potrebbero essere giunti da riva, forse con un gommone. Gli investigatori stanno cercando elementi tra i video della security portuale. Altre indicazioni potrebbero giungere dall’analisi della scatola nera per ricostruire con precisione le rotte precedenti della Seajwel. Conclusi, infine, anche gli interrogatori dell’equipaggio dai quali era giunto l’allarme.

Un altro nodo è il futuro della stessa Seajewel: non potendo essere portata in secca a Savona per problemi di spazio, per le riparazioni potrebbe essere trasferita a Palermo o in Francia. La decisione spetterà all’armatore. Proprio quello di Thenamaris — con decine di petroliere, colosso ellenico nel trasporto del greggio — è un nome finito nella black list delle autorità ucraine che lo sospettavano di contrabbandare greggio a favore della Russia. Nel 2024 Thenamaris avrebbe chiarito di non aver rapporti con Mosca. E nel 2025 i due attentati. Secondo Il Secolo l’armatore avrebbe inviato a Savona uno tra i massimi specialisti mondiali in fatto di trasporto di petrolio. Agli inquirenti, avrebbe detto che l’attacco solo per «10 metri in linea d’aria» non ha rischiato d’affondare la nave. Altrimenti sarebbe stato «un disastro ambientale».

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