leggere è tornato di moda

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Strano (o forse no) ma vero. A sorpresa e a dispetto della schizofrenia a 100 all’ora dei social, leggere è tornato di moda. Soprattutto negli Stati Uniti, lo scorso anno, si è registrata una crescita del 23 per cento dei club di lettura, con un incremento ancora maggiore, pari all’82 per cento, per i club specializzati in tematiche queer, fantasy o memoir. A favorire questo successo hanno contribuito, guarda un po’, anche le piattaforme social: dai club di lettura organizzati da celebrity come la modella Kaia Gerber, figlia di Cindy Crawford, fino agli spazi dedicati su TikTok, dove l’hashtag #BookTok raccoglie discussioni e analisi sui volumi letti dagli utenti. Non è difficile intuire il rischio che questo fenomeno possa trasformare la letteratura in un trend guidato dall’estetica – con una romanticizzazione del tempo di lettura e un prestigio social ottenuto solamente attraverso la performance dell’essere lettori – ma in questa tendenza c’è anche il potenziale per democratizzare lo spazio intellettuale, rendendolo più accessibile. Nascono infatti, un po’ come una volta, sempre più occasioni per trasformare questa attività in un pretesto d’incontro. Ci sono i cosiddetti reading parties che hanno preso piede nelle grandi città americane, e che invitano i lettori a trasformare questo hobby solitario in un momento conviviale: ore di lettura organizzate in bar alla moda si alternano a momenti di confronto e allo scambio di idee. Una tendenza che sembra sgomitare per uscire dagli spazi limitati e distanti dei social media, riflettendo la crescente necessità delle nuove generazioni di incontri “disconnessi” e autentici.

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Henry Clarke//Getty Images

Con il mondo dei libri che torna a occupare un ruolo centrale nella cultura di massa, aumenta anche una curiosità genuina della moda di espandersi nell’universo intellettuale. Ne sono un esempio le reading hours dello stilista Marc Jacobs, avviate sul suo account social; la collezione Autunno/Inverno 2024 di Anna Sui, presentata a The Strand, la libreria indipendente newyorkese, e ispirata alla scrittrice Virginia Woolf e alla Miss Marple di Agatha Christie; oppure la collezione uomo Primavera/Estate 2024 di Valentino, con frasi tratte dal romanzo Una vita come tante di Hanya Yanagihara utilizzate come decorazioni sugli abiti.

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Allo stesso tempo, è riemersa tra gli scaffali delle librerie e sulle passerelle del glam anche la figura della it-girl letteraria, ovvero di quelle autrici che vivono al confine tra il mondo della letteratura e quello della moda: sono donne e ragazze dotate di una prosa eloquente, contenuti di argomentazione stimolanti, ma sono anche radicalmente immerse nel contesto sociale che le circonda, puntualmente presenti agli eventi di stile e in dialogo con il pubblico social. Allie Rowbottom, autrice del memoir Jell-O Girls e del romanzo Aesthetica, considerata emblema di it-girl letteraria, riflette sul dibattito generato dalla definizione e classificazione di queste autrici. “Si tratta solo di un termine trendy, non più sciocco o intelligente di tanti altri. Naturalmente, poiché riguarda donne che ricoprono più di una categoria di ruoli, il termine è anche controverso. Ma l’idea che gli scrittori possano scrivere bene e allo stesso tempo promuovere se stessi e il loro lavoro non è certo un fenomeno contemporaneo. Anche le generazioni passate organizzavano eventi per festeggiare l’uscita dei propri libri”

portrait of joan didionpinterest
Henry Clarke//Getty Images

Joan Didion

E infatti, tra le scrittrici oggi considerate esempi originali di it-girl letterarie ci sono Joan Didion e Eve Babitz, autrici statunitensi che rivoluzionarono il panorama della scrittura femminile americana negli anni ‘70, diventando archetipi della figura della scrittrice. Nel libro Didion & Babitz, Lili Anolik mette a confronto le due icone. Da un lato, Joan Didion: disciplinata, riflessiva, una lista di cose da mettere in valigia così minimalista da diventare virale. Vincitrice del National Book Award nel 2005 per L’anno del pensiero magico, Didion era un enigma, sempre con lo sguardo celato dietro grandi occhiali da sole scuri, iconici al punto da essere ripresi da Céline in una campagna pubblicitaria nel 2015. “Nessuno è stato più astuto di Joan Didion nel creare e coltivare una personalità pubblica. Il suo unico pari nel XX secolo letterario, sotto questo aspetto, è stato Hemingway”, dice Anolik. Dall’altro lato, invece, Eve Babitz: ribelle, provocatoria, figlioccia di Igor Stravinsky e compagna di Jim Morrison, fu ritratta nuda mentre giocava a scacchi con l’artista Marcel Duchamp, e fotografata in lingerie e boa per la copertina del suo primo libro, Eve’s Hollywood. “Penso che il motivo per cui Eve non ha avuto successo nel suo tempo sia stato perché sembrava non avere una forte personalità. Era troppo costruita per preoccuparsi di mostrare una sua sostanza autentica. Nel mio primo articolo su di lei ne ho tratteggiata una io, rivelando anche la lettera d’amore che scrisse a Joseph Heller quando era adolescente, e l’incendio che appiccò e che quasi la bruciò viva quando aveva 50 anni. Di fatto Babitz aveva sì una personalità ben distinta, ed era era l’anti Didion”, conclude Anolik. Due figure che, in modi contrastanti, influenzano ancora oggi il modo in cui una donna viene percepita nel mondo della letteratura. “Didion si vestiva per essere presa sul serio, indossava abiti semplici e neutri che nascondevano il suo corpo, la sua femminilità, mettendo così in primo piano la sua intelligenza. Babitz, al contrario, non faceva nessuna di queste cose: era conosciuta per il suo stile di vita festaiolo ed era vista, praticamente ovunque, come un oggetto piuttosto che come un’artista,” aggiunge Rowbottom.

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Il fenomeno delle it-girlletterarie, infatti, invita inevitabilmente a riflettere sulla percezione delle scrittrici nella società contemporanea. Il termine stesso è altamente genderizzato, quasi a indicare la convinzione che una scrittrice non possa scindere l’essere donna dal suo mestiere, ma anzi debba usarla come strumento di marketing e chiave per il successo. “Per alcune di noi “it girls,” la promozione del nostro lavoro include una rappresentazione di noi stesse come scrittrici (principalmente sulle piattaforme social), che implica inevitabilmente anche una performance del nostro stesso gender, in relazione ai temi di cui scriviamo.” scrive Rowbottom sul magazine By Line. “Difficile immaginare scrittori uomini classificati con un’etichetta altrettanto infantilizzante, così come è difficile immaginare scrittori uomini trasformare un’etichetta del genere in un simbolo di emancipazione, come le donne hanno imparato a fare,” conclude Rowbottom.

Che si tratti di Emily Ratajkowski, modella e autrice di Sul Mio Corpo, o di Marilyn Monroe fotografata da Eve Arnold nel 1955 su una spiaggia di Staten Island, con un costume a righe colorate e una copia di Ulisse di James Joyce in mano, la critica superficiale che raggiunge velocemente l’opinione pubblica si chiede sempre se queste donne, la cui estetica le ha precedute, siano davvero amanti della letteratura o se sia solo un’apparenza. Una critica, questa, che è figlia di una società che associa il valore intellettuale delle donne alla loro immagine esteriore, in un pregiudizio che fatica ancora oggi a svanire del tutto.

Ma entrando in conversazione con la letteratura, la moda ha l’occasione di recuperare voci femminili a lungo ignorate. Ne è un esempio il Club di Lettura organizzato lo scorso aprile a Milano da Miu Miu, uno spazio dedicato a scrittrici italiane quasi dimenticate come Alba De Céspedes e Sibilla Aleramo. Grazie alla partecipazione del premio Pulitzer Jhumpa Lahiri e della finalista al premio Strega Claudia Durastanti, il pubblico ha avuto l’occasione di riflettere su una scrittura che diventa testimonianza del nostro passato femminile, e quindi della nostra forza e indipendenza. Un’eredità andata perduta che oggi torna alla luce, insieme alla donne di ieri, per indicare la strada alle donne di domani.



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