Marburg in Tanzania: l’identikit del virus e la risposta

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Riflettori puntati sui virus esotici. Questa volta i ‘tre moschettieri dell’epidemiologia’ Francesco Branda (Campus Bio-Medico di Roma), Massimo Ciccozzi (Campus Bio-Medico di Roma) e Fabio Scarpa (Università di Sassari) si concentrano sul virus di Marburg, al centro di un focolaio in Tanzania, nel distretto di Biharamulo (regione di Kagera).

Virus misteriosi: un database per la sorveglianza integrata

Questo evento, sottolineano gli scienziati in un articolo che sarà pubblicato su ‘Pathogens and Global Health’, è stato confermato il 20 gennaio e rappresenta la seconda epidemia nella stessa regione dopo il caso del marzo 2023 nel distretto di Bukoba. La regione di Kagera, situata a 1.450 km da Dar es Salaam, è l’epicentro dell’epidemia. Ma un fenomeno simile si era verificato in Ruanda nel settembre 2024.

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“Questa situazione – sottolineano i ricercatori – mette in luce l’urgenza di una sorveglianza per contenere la diffusione di una malattia che è altamente infettiva”. “Anche perché “il tasso di mortalità di questo virus, a seconda del focolaio, varia dal 22,7 all’88%”, ricorda a Fortune Italia Massimo Ciccozzi.

Che cos’è il virus di Marburg

Si tratta di un filovirus parente stretto dell’Ebola, trasmesso dai pipistrelli della frutta e diffuso attraverso l’ingestione di animali che ospitano il Marburg, oppure contatto diretto con fluidi corporei di animali o individui infetti. La sua elevata mortalità e l’efficienza di trasmissione rappresentano una sfida significativa per la salute.

I sintomi

L’esordio della malattia è improvviso, con febbre alta (39-40 °C), cefalea, brividi, malessere e dolori muscolari. A distanza di tre giorni possono comparire crampi e dolori addominali, nausea, vomito e diarrea che può durare anche per una settimana. Poi il quadro clinico può aggravarsi con la comparsa di petecchie, emorragie mucosali e gastrointestinali. Successivamente possono manifestarsi anche sintomi e segni neurologici (disorientamento, agitazione, convulsioni e stato comatoso).

La risposta

Per contrastare l’epidemia, la Tanzania ha attuato una serie di programmi integrati. In primo luogo, la collaborazione tra le parti interessate, comprese le comunità locali, il personale sanitario,  le organizzazioni internazionali e locali. “Dal punto di vista epidemiologico individuazione e monitoraggio dei casi sospetti e confermati sono prioritari per isolare le infezioni e ridurre il rischio di trasmissione”, ricordano gli autori. Allo stesso tempo, sono stati messi in atto miglioramenti significativi nel settore delle riserve idriche e dell’igiene, con particolare attenzione ai punti di ingresso nel Paese e a quelli di uscita. Sensibilizzando la  popolazione con campagne di comunicazione sui rischi, con trasmissioni radio, videoclip e distribuzione di manifesti informativi in lingua kiswahili, con messaggi che ricordano un po’ quelli diffusi nei Paesi occidentali ai tempi di Covid-19.

Le informazioni si concentrano “sul riconoscimento precoce dei sintomi, l’importanza del controllo delle infezioni e l’adozione di buone pratiche, quali l’uso di dispositivi di protezione individuale e la sepoltura sicura delle vittime della malattia. Un’altra risposta è stata la rapida distribuzione di forniture mediche essenziali per sostenere gli operatori sanitari in prima linea, oltre a una maggiore capacità diagnostica”, ricorda Ciccozzi.

Parallelamente, sono stati avviati studi sull’epidemia in modo da generare dati utili per la pianificazione di interventi futuri. Ma anche misure di controllo dei viaggiatori come la compilazione di un modulo di sorveglianza sanitaria per chi esce dal Paese, con controlli della temperatura ai punti di ingresso e valutazioni supplementari per coloro che hanno sintomi febbrili, spiegano gli scienziati.

Ai viaggiatori sono stati forniti materiali informativi per il monitoraggio dei sintomi e un numero verde dedicato per segnalare qualsiasi evento. Insomma, l’epidemia di Marburg in Tanzania “evidenzia ancora una volta l’importanza di risposte tempestive e coordinate per affrontare le febbri emorragiche virali nell’Africa sub-sahariana. La combinazione di interventi, il coinvolgimento della comunità e la collaborazione sono sempre cruciali per contenere i fenomeni e prevenire future crisi sanitarie”, concludono i ricercatori.

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