Agenzia delle Entrate. Il Fisco non risponde all’autotutela e “gonfia” inutilmente il contenzioso

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Interesse degli uffici è di incassare le imposte effettivamente dovute, non certo quello di generare inutili liti che procurano più spese che incassi.

Francofonte, 23 febbraio 2025. La confusione fiscale degli ultimi anni mette in difficoltà i cittadini e gli uffici dell’agenzia delle Entrate. Capita perciò che gli uffici, nonostante gli interventi del legislatore e dell’agenzia delle Entrate Centrale di Roma, non correggono i loro errori, lasciando “lettera morta” le istanze in autotutela presentate dai contribuenti. Per i contribuenti, il silenzio degli uffici è peggio di una risposta negativa. In tema di autotutela, in presenza di un errore dell’amministrazione, lo sgravio non è facoltativo e l’agenzia delle Entrate, come tutta la pubblica amministrazione, <<deve conformarsi alle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione>> (sentenza Cassazione, 6283/2012, depositata il 20 aprile 2012). L’ufficio deve annullare gli atti sbagliati, nel rispetto dei principi di correttezza che stanno alla base del rapporto “Fisco – contribuente” improntato alla trasparenza, che esige la massima correttezza.
E’ così che insegna la Cassazione quando afferma che “la Pubblica amministrazione e anche l’amministrazione finanziaria dovrebbe improntare lo svolgimento della propria attività, non a trarre profitto dall’errore del cittadino e del contribuente, ma a principi di correttezza, imparzialità e buona amministrazione così come prevede l’articolo 97 della Costituzione” (Cassazione, sezione prima civile, sentenza 4878 dell’8 agosto 1988). Autotutela significa soprattutto autocorrezione e correttezza, come insegna la stessa Corte di Cassazione, che, nella storica sentenza 2575 del 29 marzo 1990, afferma: <<in uno Stato moderno, il vero interesse del Fisco non è affatto quello di costringere il contribuente a soddisfare pretese sostanzialmente ingiuste profittando di situazioni contingenti favorevoli al Fisco sul piano amministrativo o processuale, bensì quello di curare che il prelievo fiscale sia sempre in armonia con l’effettiva capacità contributiva del soggetto passivo, sì da non compromettere per il futuro la fonte del gettito e, al tempo stesso, da stimolare il contribuente alla lealtà fiscale>>.
In definitiva, come dalle norme costituzionali emerge l’obbligo di pagare le imposte secondo la propria capacità contributiva, allo stesso modo emerge che il contribuente deve pagare le imposte nei limiti previsti e nella misura fissata dalla legge e non certo in un ammontare superiore a quello effettivamente dovuto.

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Stop all’autotutela con sentenze passate in giudicato. L’annullamento in autotutela dell’atto illegittimo o infondato ha un solo limite: che esista una sentenza passata in giudicato favorevole all’ufficio; deve però trattarsi di una sentenza che abbia pronunziato sul “merito” del rapporto tributario e non nella forma o nel tempo. Il legislatore e l’agenzia delle Entrate centrale di Roma sperano di mettere fine all’eterna guerra tra guardie (gli uffici) e ladri (i contribuenti). Per fare questo, hanno introdotto un’autotutela a tutto campo, per ripristinare un rapporto di correttezza tra Fisco e contribuenti e ridurre il contenzioso. Sono questi gli obiettivi più importanti che si intendono raggiungere, grazie alla nuova autotutela. Basta con le liti inutili. Il contribuente non è “ladro – evasore” a prescindere, e l’ufficio non deve emettere accertamenti o altri atti impositivi, senza “provare” l’evasione. Con il decreto legislativo 30 dicembre 2023, n.219, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n.2 del 3 gennaio 2024, in vigore dal 18 gennaio 2024, sono state introdotte nuove regole in tema di autotutela, apportando modifiche alla legge 27 luglio 2000, n.212, cioè allo statuto dei diritti del contribuente. Le novità più rilevanti sono costituite dall’inserimento di due articoli, 10 – quater “esercizio del potere di autotutela obbligatoria” e 10 – quinquies “esercizio del potere di autotutela facoltativa”. I primi chiarimenti dell’agenzia delle Entrate sono stati forniti con la circolare 21/E del 7 novembre 2024, nella quale sono dettate le regole per l’istanza, le differenze tra le due discipline, la sospensione, le difese in caso di diniego e la responsabilità limitata dei funzionari. Insomma, l’invito per gli uffici è chiaro: basta con le liti inutili.

L’autotutela obbligatoria. L’autotutela è obbligatoria nei casi di errori manifesti, nonostante la definitività dell’atto. E’ infatti previsto che l’amministrazione finanziaria procede in tutto o in parte all’annullamento o alla rinuncia all’imposizione, senza necessità di istanza del contribuente, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, nei seguenti casi: errore di persona; errore di calcolo; errore sull’individuazione del tributo; errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’amministrazione finanziaria; errore sul presupposto dell’imposta; mancata considerazione di pagamenti eseguiti; mancanza di documenti successivamente sanata, non dopo i termini, se previsti a pena di decadenza. L’ufficio deve rispondere all’istanza di autotutela obbligatoria entro il termine di 90 giorni dalla sua ricezione. L’ufficio non procede all’annullamento o alla rinuncia all’imposizione nel caso di sentenza passata in giudicato, favorevole all’ufficio, nonché decorso un anno dalla definitività dell’atto viziato per mancata impugnazione.

L’autotutela facoltativa. L’articolo 10-quinquies “Esercizio del potere di autotutela facoltativa”, dispone che fuori dei casi previsti per l’autotutela obbligatoria, l’ufficio può procedere all’annullamento, in tutto o in parte, di atti di imposizione, ovvero alla rinuncia all’imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in presenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione. L’autotutela facoltativa “può”, pertanto, essere esercitata dall’ufficio in presenza di vizi dell’atto o dell’imposizione non riconducibili ad alcuna delle fattispecie elencate nella norma dell’autotutela obbligatoria o in relazione ai quali, comunque, non ricorre la condizione della manifesta illegittimità. Come per le ipotesi di autotutela obbligatoria, anche l’autotutela facoltativa non può più essere esercitata in presenza di un giudicato sostanziale favorevole all’amministrazione finanziaria o quando l’atto di imposizione è stato oggetto, anche parzialmente, di qualunque forma di definizione, anche agevolata (ad esempio, accertamento con adesione, acquiescenza, conciliazione). Gli uffici non sono comunque tenuti a fornire risposte alle istanze di autotutela facoltativa che riguardano questioni già trattate in sede di contraddittorio, o procedimenti che già comportano una partecipazione preventiva del contribuente.

Ricorso entro 60 giorni in caso di diniego. Contro il diniego dell’istanza in autotutela può essere proposto ricorso, di norma, entro 60 giorni dal diniego. E’ stato infatti inserito nell’elenco degli atti impugnabili, mediante l’aggiunta delle lettere g-bis) e g-ter) all’articolo 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546, il rifiuto espresso o tacito sull’istanza di autotutela obbligatoria e il rifiuto espresso sull’istanza di autotutela facoltativa. Il ricorso contro il rifiuto tacito dell’istanza di autotutela obbligatoria può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di autotutela. Non è invece impugnabile il rifiuto tacito sull’istanza di autotutela facoltativa.

Limitate le responsabilità dei funzionari. Per gli annullamenti in autotutela, la responsabilità dei funzionari è limitata alla sola condotta dolosa. In questo modo, il legislatore e l’agenzia delle Entrate intendono agevolare la nuova autotutela. Per addossare responsabilità al funzionario, che ha annullato l’atto o ha rinunciato all’imposizione, in assenza dei presupposti previsti dall’autotutela obbligatoria e/o facoltativa, il fatto dannoso deve essere sorretto dall’intenzione di procurare un danno all’erario, cioè alla volontà cosciente di infrangere la legge. Se, invece, l’erroneità delle valutazioni di fatto deriva da una grave violazione degli obblighi di diligenza, prudenza e perizia (cioè da colpa grave), la responsabilità è del tutto esclusa. Resta quindi ferma l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali.

L’errore aritmetico va corretto subito. E’ da notare che quando l’errore fiscale è di aritmetica, non è nemmeno il caso di richiamare l’istituto dell’autotutela, perché l’errore aritmetico è più grave dell’errore sulla normativa. Vale sempre il principio generale ed assoluto per tutti in ogni applicazione di regole aritmetiche: due più due fa sempre quattro e quattro meno due fa sempre due.

E’ interesse del Fisco evitare liti inutili. Interesse degli uffici è di incassare le imposte, non certo quello di generare contenziosi che procurano più spese che incassi. Al riguardo, in un articolo “Accertamenti fiscali a perdere”, pubblicato su Italia Oggi del 27 giugno 2017, si legge che <<il 48% delle imposte accertate dalle Entrate negli ultimi 5 anni non è stato né pagato né impugnato dai contribuenti. Incassati 370 milioni su 93 miliardi contestati>>. Insomma, su 93 miliardi di euro di contestazione, lo Stato incassa meno dello 0,4 per cento. Per rendere meglio l’idea, è come se, ad esempio, su 500mila euro di evasioni accertate dal Fisco, pari a circa un miliardo delle vecchie lire, l’erario incassa meno di 2mila euro, cioè meno di 4milioni delle vecchie lire! Con l’aggravante che, dopo il 2017, la situazione è peggiorata.

Mimma Cocciufa, Tonino Morina“Esperti fiscali del Sole 24 – Ore”

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