Nelle ex miniere ci sono terre rare ma sono poche: estrarle non conviene

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Pietro Gorlani

I geologi Albertelli e Gioia: «Le risorse maggiori alla Torgola (Collio) non bastano per riaprila»

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L’ultima miniera del Bresciano ha cessato la sua attività quasi un quarto di secolo fa, chiudendo l’ultima pagina su una storia millenaria ingemmata di intraprendenza imprenditoriale e duro lavoro. Nel Novecento erano dodici le miniere attive tra Valtrompia (a Bovegno, Collio e Pezzaze) e Valcamonica (a Cerveno, Pisogne, Capo di Ponte). Dalle viscere della montagna si sono estratte migliaia di tonnellate di fluorite, barite, manganese, argento, siderite. Siti abbandonati tranne due, oggi visitabili (ne vale la pena): la Sant’Aloisio di Collio e la Marzoli di Pezzaze. Ora in tempi di rincorsa alle materie prime critiche (tra cui fluorite e barite, presenti nel Bresciano) fondamentali per l’hi-tech il Governo ha intenzione di agevolare la riapertura delle miniere italiane, per diminuire la dipendenza dall’estero.

Un’iniziativa giudicata positivamente anche da alcuni amministratori locali: «Potrebbe essere un bell’aiuto per il Paese ma anche per lo sviluppo economico del nostro territorio» commenta Mirella Zanini, sindaca di Collio, dove si trova una delle miniere che ha ancora più minerale estraibile: la Torgola. Ma le risorse residue sono troppo esigue per garantire la sua redditività. Lo spiegano al Corriere in modo limpido due esperti geologi bresciani, Luca Albertelli (direttore della società Land&Cogeco) e Umberto Gioia, amministratore delegato della Mineraria Gerrei che sta per riattivare l’estrazione di fluorite galena e terre rare nella miniera di Silius in Sardegna.




















































Che minerali ci sono nelle miniere del bresciano?
«Nelle miniere del Bresciano storicamente si sono estratti sia minerali metallici di ferro (siderite), piombo e argento (galena), zinco (blenda) e rame (calcopirite), sia minerali industriali non metallici come fluorite e barite. I primi sono stati coltivati fin dall’epoca preromana, i secondi sono diventati di interesse commerciale a partire dal secondo dopoguerra. Come per gran parte dei giacimenti alpini, si tratta per lo più di piccoli giacimenti di origine idrotermale, organizzati in sciami di filoni e spesso collocati in zone difficili da raggiungere. Fluorite e barite rientrano oggi tra i minerali classificati come critici dall’Unione Europea e recepiti come tali anche dal recente Decreto Materie Prime del ministero delle Imprese: la loro presenza è riconosciuta soprattutto in alta Val Trompia. Nel Bresciano non sono ad oggi noti giacimenti di minerali strategici: tra essi rientrano anche le cosiddette terre rare, presenti diffusamente nell’arco Alpino ma in concentrazioni non sufficienti a garantire l’economicità dell’estrazione».

La Torgola è stata l’ultima a chiudere ed è quella che ha maggiori riserve di fluorite: ha qualche chance di essere riaperta?

«La Torgola è stata la più grande miniera di fluorite dell’arco alpino, arrivando a produrre negli anni ’70 e ’80 centinaia di migliaia di tonnellate di minerale destinato soprattutto all’industria chimica e dell’acciaio. Il filone principale, denominato Santa Barbara, è da ritenersi esaurito. Alla chiusura della miniera, nel 1999, risultavano stimate poco più di 250.000 tonnellate di minerale grezzo residuo, contenuto in filoncelli minori ancora da esplorare, raggiungibili con gallerie oggi franate e non più percorribili. I volumi indicati, peraltro da accertare, non consentono alcuna economicità dello sfruttamento, anche per i costi associati alla realizzazione di un impianto di raffinazione. Qualsiasi ipotesi di ripresa dell’attività dovrebbe essere preceduta da una campagna di indagini tese all’esplorazione delle parti esterne al giacimento conosciuto; qualora i risultati delle prospezioni fossero di un qualche interesse, cosa improbabile, i costi per la realizzazione delle nuove gallerie di preparazione e dei nuovi impianti (si parla di qualche decina di milioni) difficilmente creerebbero le condizioni per l’economicità della coltivazione».

Le 250mila tonnellate di fluorite residua sono insufficienti a rendere vantaggiosa la riapertura?
«Le 250mila tonnellate di fluorite grezza corrispondono a poco più di 100mila tonnellate di minerale commerciale mentre la barite residua non è in quantità di interesse estrattivo».

Per rendere remunerativa la riapertura quanto minerale dovrebbe esserci?
«È molto difficile definirlo. Si può fare un raffronto con la miniera di Silius in Sardegna (uno dei maggiori giacimenti di fluorite europei), dove i costi per le preparazioni sono già stati sostenuti e dove il minerale è pienamente accessibile: ha riserve certificate per quasi 3 milioni di tonnellate, oltre ad un significativo potenziale di espansione».

A rendere diseconomica la riapertura anche le attuali regole ambientali e di sicurezza sul lavoro la riapertura non sarà facile…
Il decreto rende più snelle le procedure autorizzative ma in realtà restano una corsa ad ostacoli: ricordiamo che sono serviti 11 anni per ottenere i titoli autorizzativi all’esercizio della miniera Silius in Sardegna, nonostante il territorio fosse fortemente favorevole alla riapertura e nonostante l’assenza di vincoli ambientali.


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