Valerio Verbano, un’idea non muore

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Il 22 febbraio 1980, nel quartiere del Tufello a Roma, un commando neofascista uccise un giovane di 19 anni, Valerio Verbano, nel modo più atroce e grave che l’umanità possa concepire: davanti ai suoi genitori. Ancora oggi, la morte e la vita di Valerio Verbano rimangono lucide nella memoria collettiva: Valerio è simbolo dell’antifascismo, di uno stile di vita basato sulla presenza e sulla resistenza fisica, reale, materiale, senza velleità. Sebbene la memoria può dirsi ancora solida, ogni anno dimostrata dall’enorme corteo che invade il quartiere Tufello, non si può dire lo stesso della verità giudiziaria. Un assassinio rimasto infatti senza alcun colpevole, con numerosi insabbiamenti, misteri e falsità, che hanno reso e rendono ancora oggi la ricerca storiografica estremamente complicata.

Valerio Verbano: ucciso dalla violenza fascista

Era l’ora di pranzo e un gruppo di ragazzi suonò alla porta della famiglia Verbano, in via Monte Bianco: tre uomini armati, ancora oggi mai identificati, entrarono violentemente nell’appartamento e immobilizzarono i genitori di Valerio, Carla e Sardo. L’obiettivo non erano i genitori, né tantomeno i risparmi o i gioielli: i tre uomini erano lì per Valerio Verbano e i documenti che, nel corso dei mesi precedenti, il giovane aveva prodotto.

Valerio era uno studente del liceo Archimede ed era un ragazzo impegnato nei collettivi autonomi del liceo romano. I documenti che aveva realizzato nei mesi prima, e che i suoi assassini cercheranno e ruberanno il giorno della sua morte, facevano parte di uno studio di inchiesta e dossieraggio sui gruppi eversivi di destra, sulle forze dell’ordine e sugli intrecci politici che i neofascisti avevano con gli apparati statali. 

Quella mattina del 22 febbraio, Valerio tornava a casa da scuola. Non appena entra nell’appartamento, si accorge della presenza dei tre individui, dunque cerca di fuggire. Nel tentativo di raggiungere la finestra, viene raggiunto da un colpo di pistola, che lo prende alla schiena. Morirà poco tempo dopo, in un’ambulanza, mentre veniva trasportato verso l’ospedale più vicino.

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Nella serata, arrivò una chiamata di rivendicazione dai membri neofascisti dei NAR – nuclei armati rivoluzionari -, che ribadiranno il loro omicidio anche nei giorni a venire. Alla morte di Valerio Verbano non è mai stata data alcuna verità: come diceva la madre, Carla, “Valerio è morto due volte”, perché ancora oggi i suoi assassini non si conoscono.

Valerio Verbano era un ragazzo antifascista, un militante comunista che frequentava gli ambienti dell’Autonomia Operaia romana. L’omicidio politico è infatti parte integrante di un processo di repressione molto grande: Valerio, con i suoi fogli e la sua macchina fotografica, girando per Roma, aveva avviato uno studio accurato sulle “trame nere”, cioè sull’integrazione dei gruppi fascisti nelle posizioni dominanti dello Stato. Il documento più importante che realizzò – successivamente denominato “Dossier Verbano” fu dapprima sequestrato dalle Forze dell’Ordine, per poi sparire definitivamente.

I giorni successivi alla morte di Valerio

La notizia della morte di Valerio Verbano fu data da una delle Radio di movimento di quegli anni, Radio Proletaria, che chiamò la città a raccolta in quello stesso giorno e nei giorni a venire. Ovviamente, la stampa nazionale trattò l’omicidio Verbano come l’ennesima vittima di una guerra tra bande, una guerra civile che a Roma stava causando molti morti.

La repressione politica dello Stato di quegli anni si materializzò anche attraverso l’informazione: tutte le testate più importanti tentarono di delegittimare la morte di Valerio, carica invece di un significato politico che ancora oggi si fa fatica a riconoscere. La stampa italiana usava un solo appellativo per descrivere Valerio – talvolta neanche chiamandolo per nome -, delineando una tonalità dispregiativa, distante, come se quello che facesse fosse una vergogna: Valerio era un autonomo.

Anche le testate che facevano riferimento alla sinistra parlamentare, come l’Unità, tentarono di sminuire l’enorme lavoro d’inchiesta durante la vita, seppur breve, di Valerio; c’è chi lo chiamò “delatore”, c’è chi invece lo dipinse come un soggetto insicuro, che voleva ritirarsi dalla vita politica. Nessuno parlò mai, invece, del Dossier e dell’attività che fino a quel momento aveva condotto, eliminando di fatto il senso politico che Valerio stava dando alla sua vita.

“Ciò che è avvenuto dopo l’uccisione di Valerio, sia sulla stampa di regime che nelle piazze, ha infatti dimostrato che non solo ai fascisti era stato suggerito e permesso di prendere l’iniziativa, ma che l’assassinio stesso di Valerio veniva gestito dallo stato come un ammonimento per i compagni.

Eppure Valerio era stato ucciso inerme, dentro casa sua, davanti ai genitori”

Così scriveva la rivista romana de “I Volsci”, fonte di informazione del movimento del ’77.

Fu proprio quello stesso movimento, attraverso i comitati, le assemblee, i collettivi di scuola, le radio e i giornali che mise in moto una reazione gigantesca contro la repressione statale e contro la violenza fascista. Dopo la morte di Valerio ci furono cortei, tutti duramente mutilati dalle forze dell’ordine. Non fece eccezione quello per il funerale di Valerio, tenutosi al Verano qualche giorno dopo. Gli agenti seguirono gli amici e i compagni politici fin dentro al cimitero, caricando duramente il corteo anche con gas lacrimogeni e idranti.

Il lavoro di inchiesta e contro-informazione di Valerio Verbano

La fine degli anni ’70 è stato un periodo di profonda crisi sociale e politica. Il clima era opprimente, sopratutto per le organizzazioni che si rifacevano alla sinistra extraparlamentare. L’offensiva securitaria si inserisce sopratutto dopo il gennaio 1978 e gli episodi di Acca Larentia, a cui seguirono molteplici morti di militanti di sinistra e di destra. La morte di Valerio Verbano si inserisce in un contesto di totale annullamento e omologazione che i partiti istituzionali stavano cercando di portare avanti, con l’obiettivo di reprimere ogni spinta che non si conformasse alla propria linea.

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La vita, ma sopratutto la morte, di Valerio Verbano servono a comprendere meglio la vera risposta dello Stato. Il lavoro del giovane si è sempre concentrato su una pratica di autodifesa militante: Valerio, prima di tutto, schedava, riconosceva e identificava i neofascisti con l’obietto di tutelare il movimento romano.

Senza cadere nella mitizzazione della figura di Valerio Verbano, ad oggi la sua pratica di vita quotidiana è d’insegnamento alle generazioni più anziane ma sopratutto a quelle più giovani. In un clima di tensione così forte, in cui il rischio di un colpo di Stato – i cui piani, d’altronde, non sono mai stati oscuri – era molto alto, Valerio ha portato avanti una pratica di difesa e resistenza antifascista, che allo stesso tempo si è riuscita a tramutare in uno spunto di riflessione e un’occasione di attacco contro un sistema interamente marcio.

Un sistema così marcio che, d’altro canto, è riuscito a nascondere bene le sue complicità e le sue colpe: il Dossier Verbano era una grande fonte d’informazione, avrebbe potuto aprire molte piste, avrebbe potuto portare a compimento la messa in crisi di un sistema corrotto. Nessuno indagherà su quei documenti, se non il Sostituto procuratore della Repubblica di Roma, Mario Amato, che nel giugno del 1980, sarà ucciso dagli stessi NAR.

Perché Valerio Verbano è ancora nelle lotte del presente

Dal 1980, e non solamente ogni 22 febbraio, la memoria e la consapevolezza della vita e della morte di Valerio Verbano hanno accompagnato assemblee, cortei e consapevolezze politiche a Roma e in Italia. Quella stessa memoria che, attraverso le generazioni, si è trasformata in forza, rabbia, portando avanti le lotte antifasciste.

Per la 45esima ricorrenza dalla morte di Valerio Verbano sarà perciò indispensabile interrogarsi cosa significa, ad oggi, antifascismo e quali sono le pratiche più giuste da portare avanti; ma sopratutto, in resistenza a chi? Una domanda da un milione di euro, qualcuno direbbe.

La resistenza antifascista dell’oggi e del domani potrebbe non essere più quella contro le “squadracce” nere di antica memoria, ma nuove forme di fascismo, oppressione e discriminazione che viviamo nei territori. Il razzismo sistemico, le deportazioni dei migranti, il genocidio in Palestina, chi subisce torture nelle carceri nel silenzio più agghiacciante. E ancora, il classismo e i diritti di base che vengono negati ogni giorno agli abitanti dei quartieri popolari, trattati come persone di serie B, ma anche tutti i disegni di legge e i decreti d’urgenza che mirano ad aumentare le pene detentive, a reprimere le lotte e ad imporre un nuovo stile di vita a chi viene reputato “non idoneo”.

È nelle pratiche di resistenza a questo modello di vita che si colloca la memoria e l’insegnamento di Valerio Verbano. Il suo non è stato solamente un lavoro di resistenza, ma anche di esistenza e di presenza sul territorio, tra le persone, negli spazi: è per questo che la sua idea vive ancora nella città di Roma. La soluzione che ha tentato di portare avanti è quella di creare spazi liberi da ogni oppressione, manipolazione, revisionismo storico.

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Per questo e per altro, la memoria di Valerio Verbano rimane ancora viva e forte con l’obiettivo di continuare una lotta che, anche se in un contesto e un periodo diverso, è anche la sua.

“Sta nei sogni dei teppisti,

e nei giochi dei bambini”

Lucrezia Agliani

 

 

 



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