cosa sta succedendo in uno dei quartieri più difficili della Sicilia

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Mecenate d’arte, ma soprattutto devoto alla condivisione, Antonio Presti, fondatore dell’omonima Fondazione Antonio Presti, da oltre quarant’anni svolge in Sicilia attività sociali impegnate all’istituzione di musei a cielo aperto, dove condividere bellezza e costruire una comunità non frammentata in cui il pubblico è il principale artista. Dopo aver costituito nel 1983 la Fiumara d’Arte, famoso parco di installazioni distribuite lungo gli argini del fiume Tusa in provincia di Messina, nell’ultimo ventennio Presti si è concentrato in attività didattiche e laboratoriali che hanno coinvolto le scuole del quartiere Librino di Catania, dove tramite artisti e cittadini sta costruendo uno dei più grandi musei a cielo aperto in Italia. Secondo il mecenate tra i virtuosi obiettivi dei musei a cielo aperto vi è l’attivazione di opportunità di sviluppo sociale e della coscienza collettiva, avvicinandosi così alla bellezza che un’opera d’arte può trasmettere attraverso la partecipazione collettiva. Lo abbiamo incontrato per conoscere da vicino la sua missione e scoprire i progetti futuri.

Tano Festa, Monumento per un poeta morto (Fiumara d’Arte)

Chi è Antonio Presti e come si definisce?

«Credo sia un essere al servizio della bellezza, con lo scopo di condurla verso luoghi complessi, credendo ancora nel valore dell’essere essenza».

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Dove e in quale momento nasce il suo interesse per l’arte?

«Quando scomparse mio padre nel 1983 ereditai un’impresa di appalti pubblici con meccanismi di lavoro particolarmente ambigui. Fu il momento esatto in cui scelsi di fondare un’altra tipologia di impresa, quella della bellezza e del dono, in cui ritrovo il vero senso della vita».

Prova amore o passione per l’arte?

«Sono certo che la mia sia una passione che rintraccia una forma profonda di sacralità di ciò che è arte nella devozione».

Mauro Staccioli, La piramide 38mo parallelo (Fiumara d’Arte)

Come descriverebbe la bellezza?

«In una società egocentrica e autoreferenziale come la nostra, la bellezza è una visione che mette in contatto l’occhio e il cuore, ma la si può ricercare solo al di fuori dell’egocentrismo. Allora per poterla riscoprire è necessario abbandonare l’idea di essere solo ego».

Lei parla spesso di bellezza in termini di necessità, ma quali criticità intercetta nel contemporaneo per cui la bellezza può essere una risoluzione?

«Ogni contemporaneità ha la sua necessità. L’artista non può operare con la visione di ciò che è stato in passato, ma con la visione della bellezza da offrire alle necessità di un tempo come il nostro, sopraffatto dalla solitudine e dalla distopia generate dalle nuove tecnologie».

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Oggi cos’è un’opera d’arte e come applica il suo valore?

«Oggi l’opera d’arte è il mezzo di un processo artistico che deve avere alla base la condivisione. Grazie all’esperienza nelle scuole di Librino mi sono reso conto che la condivisione corale produce grandi cose, vere e proprie opere d’arte. “La Porta Della Bellezza” è soltanto un esempio. È stata realizzata da ventimila persone e che trova il suo valore d’essere nell’etica della comunità. La meraviglia, lo stupore e la visione del futuro sono cose che l’arte può ancora restituire e che possono essere insegnate dalle suole elementari ai licei».

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Didattica e laboratorio di terracotta (Librino, Catania)

Si vede come un attivatore o come artista relazionale?

«Io mi sento un conduttore di opera, un medium. Oggi l’artista è il pubblico e questo va rianimato.

Questo spirito da conduttore è lo stesso che l’ha portata all’istituzione della Fiumara d’Arte, ma come è iniziato quel progetto?

«Quarant’anni fa ho semplicemente chiamato i più grandi artisti dell’epoca e dopo aver individuato dei luoghi mistici della mia terra e gli ho chiesto se volessero trasformare l’idea di manufatto artistico in qualcosa che si aprisse nei confronti dell’unire».

E tra i primi ad accettare?

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«Consagra fu il primo di tanti grandi artisti che capirono le intenzioni del progetto».

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Italo Lanfredini, Labirinto di Arianna (Fiumara d’Arte)

E adesso come individua gli artisti con cui lavorare?

«Adesso bisogna contattare le nuove generazioni, ma ogni artista è figlio di un accadimento. Anche questo può portare alla partecipazione di un artista».

Chi sta partecipando adesso?

«Per ora lavoro a Librino con Paolo Bini che ha recentemente realizzato un’installazione di trentacinque colonne policrome e inserite in un viale di Librino».

Cosa è Librino e come arriva l’arte in questo luogo?

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«Librino è quel non-luogo a procedere. Una di quelle che vengono definite periferie della contemporaneità, ma che sono sempre state abbandonate e consegnate alla delinquenza. Però si parla sempre del degrado, ma non si parla mai delle persone. Le periferie non sono palazzi e strade, sono persone che hanno bisogno di essere educate alla bellezza, missione di cui mi occupo ormai da vent’anni. Il popolo dell’arte dovrebbe avere degli impegni etici e venire a Librino come atto politico. Librino è la risposta politica che quando l’arte rigenera il rispetto, l’amore e la meraviglia, si può innestare una coscienza critica e partecipata nei cittadini. Quindi la condivisione è l’opera più importante che un artista e la cultura possano realizzare».

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Didattica e laboratorio di terracotta (Librino, Catania)

Che tipo di impatto può avere secondo lei l’arte sul piano sociale?

«L’arte deve restituire sempre una visione. Se le opere realizzate a Librino hanno coinvolto numeri elevatissimi di persone, significa che l’impatto dell’arte è stata la visione della condivisione. Librino da questo punto di vista è un modello unico. Non si può parlare di questi casi solo nell’ottica arrogante dell’inclusione e alla rigenerazione urbana perchè la vera rigenerazione può avvenire solo a livello delle coscienze».

In che modo viene condiviso un progetto della Fondazione Antonio Presti?

«Ogni progetto viene puntualmente presentato nelle scuole, dalle elementari ai licei. Non c’è bambino o famiglia che non sia a conoscenza dei progetti. Immediatamente vengono attivati dei laboratori, veri e propri momenti di condivisione, in cui si può partecipare direttamente alla realizzazione dell’opera».

Quale sarà il futuro di Librino?

«Mi sto impegnando per fare riconoscere istituzionalmente Librino come museo a cielo aperto. Attualmente sarebbe il più grande museo a cielo aperto d’Italia. Questo garantirebbe una centralità che attualmente Catania non ha, offrendo a chi viene per scopi culturali, di avvicinarsi a questo luogo dove il pubblico deve tornare ad essere attivo. È un museo che dono al futuro e che prescinde dalla mia persona».

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Porta delle Farfalle (Librino, Catania)

Qual è la necessità di creare musei a cielo aperto?

«Quando si crea un museo a cielo aperto con la gente che lo abita, il vero patrimonio è la gente stessa. Oggi contemporaneo è tutto ciò che va per strada, ma che soprattutto parla direttamente al cuore della gente».

Cosa immagina che succederà dopo la scomparsa di Antonio Presti?

«L’eredità di un artista non è ciò che si è fatto, ma ciò che si farà. La mia speranza è lasciare un progetto per il futuro, una condivisone più grande tra le parti».

E quali saranno i prossimi progetti della Fondazione Antonio Presti?

«Librino è un progetto continuo, invece tra le nuove opere alla Fiumara d’Arte appariranno quelle di Giancarlo Neri e Davide Dormino e poi un museo a cielo aperto sull’Etna, dove la centralità verrà restituita dalla sacralità del vulcano. In dialogo con le istituzioni c’è il desiderio di istituire una triennale della contemporaneità, dove questi musei come Librino, la Fiumara d’arte e quello sull’Etna si rigenerino attraverso processi laboratoriali ed educativi, incaricando al tempo stesso le istituzioni di proteggere queste opere».

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Paolo Bini, Cromatismo emozionale (Librino, Catania)

Che soluzione pensa per risolvere le criticità del nostro tempo?

«L’unica via in questo momento di ipnosi della coscienza è la rigenerazione l’anima delle nuove generazioni, che altri sistemi invece stanno spegnendo. La vera emergenza è risolvere l’analfabetismo sentimentale dei ragazzi, incoraggiandoli a sognare, a desiderare e ad amare. Ma soprattutto bisogna far comprendere di non essere soltanto un io, ma di essere un noi».



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