Diaconato permanente: “Un ministero della coppia”. L’esperienza di Claudio e Clara Valletti

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In occasione del Giubileo dei diaconi, Claudio Valletti racconta la sua vocazione e il ruolo del diacono nella Chiesa e nella società. Insieme alla moglie Clara, sottolinea l’importanza della dimensione familiare e della pastorale coniugale, evidenziando il valore del servizio vissuto in coppia

(Foto SIR)

“Il diaconato è un ministero del servizio, ma soprattutto della coppia”. Claudio Valletti riassume così la sua visione del diaconato permanente, una vocazione che non si può vivere da soli, ma che coinvolge anche la famiglia e in particolare la moglie. In occasione del Giubileo dei diaconi, l’intervista a Claudio e alla moglie Clara Della Matrice diventa un’opportunità per approfondire il ruolo del diacono nella Chiesa e nella società di oggi.

Come è nata la vocazione al diaconato?
Abbiamo sempre condiviso tutto, già da fidanzati. Grazie al nostro parroco abbiamo capito che il nostro rapporto era particolare, segnato dalla presenza di Gesù. Fin da bambino frequentavo l’oratorio e mi sarebbe piaciuto diventare catechista. Ho seguito questo percorso, diventando prima allievo catechista e poi catechista a tutti gli effetti.

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La chiamata al diaconato è arrivata dal viceparroco della nostra parrocchia, Nostra Signora di Guadalupe a Monte Mario, che un giorno, mentre restituivamo le chiavi della chiesa, mi propose questo cammino. Avevo 47 anni.

Pensavamo che avrebbe potuto dividerci, essendo abituati a fare tutto insieme. Per tre anni il formatore del percorso diaconale continuò a chiamarci per sapere se avessimo cambiato idea. Alla fine, nel 1999, abbiamo iniziato la formazione, e nel 2004, a 56 anni, sono stato ordinato diacono.

Cosa significa essere diacono oggi?
Ora, a causa di problemi di salute, ho ridotto il mio servizio, ma negli anni ho avuto diverse esperienze. Siamo cresciuti con sacerdoti missionari, e la loro testimonianza ci ha segnato. Un nostro parroco, padre Francesco, partì da Roma per la Patagonia. Seguendo il suo esempio, siamo andati otto volte in Perù per sostituire un diacono nella missione di Lima. Anche a Roma abbiamo servito in diverse parrocchie su richiesta del vescovo di settore.

Ho portato il ministero anche nel mio ambiente lavorativo, creando un gruppo di preghiera per i colleghi, che si riuniva ogni mercoledì dopo il lavoro.

Come conciliare la vita familiare con il ministero?
Non abbiamo trovato difficoltà perché i nostri due figli hanno seguito il nostro percorso. Valeria ha fatto i corsi catechistici, Pietro è diventato animatore dei gruppi giovanili in parrocchia. Tutto si è svolto in armonia con ciò in cui credevamo. Certo, il problema principale è il tempo da dedicare a tutto, ma la famiglia è sempre stata al centro della nostra esperienza.

La Chiesa valorizza abbastanza la famiglia nel diaconato?
Clara: Spesso si dimentica che il diacono è sposato. In passato, durante le ordinazioni, la moglie era accanto al marito, con i figli, partecipando pienamente. Oggi le mogli sono relegate tra l’assemblea.

Eppure, senza la nostra autorizzazione il marito non può essere ordinato.

Claudio: La Chiesa sta aprendo alla partecipazione delle donne, ma il loro ruolo è sempre stato centrale, soprattutto nella catechesi e nella pastorale. La pastorale familiare andrebbe valorizzata di più, perché il diacono con la sua famiglia può essere testimone vivo di ciò che la Chiesa insegna. Le coppie diaconali potrebbero svolgere un ruolo importante nella formazione dei futuri sacerdoti, aiutandoli a comprendere meglio la vita familiare. Anche nei percorsi di preparazione al matrimonio, la presenza di famiglie diaconali potrebbe offrire una testimonianza concreta.

Come bilanciare il ruolo ecclesiale e la vita personale?
Ho vissuto la mia vocazione nella maniera più normale possibile. Sono stato portato in chiesa a 5 anni da mia zia e non ne sono mai uscito. Ho vissuto da vicino il Concilio Vaticano II e i suoi cambiamenti, vedendo la Chiesa trasformarsi. Alcuni processi si sono rallentati, ma il mio entusiasmo è rimasto. Ho sempre cercato di vivere la mia fede in ogni ambito, portandola anche nel lavoro e nel quotidiano.

C’è il rischio che il diaconato venga visto solo in funzione liturgica?
Il diacono deve essere testimone della fede nella società, non solo nelle celebrazioni. Papa Francesco ha parlato di cristiani “fastidiosi”, che portano il Vangelo fuori dalle chiese, ed è ciò che dovremmo fare. Dobbiamo essere fermento, e il fermento non può rimanere confinato.

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Il diacono deve vivere nel mondo del lavoro, nella comunità, nella strada.

Non può essere solo servizio ai poveri o presenza all’altare. Il Papa ha detto che “il diacono nella Chiesa non è un sacerdote in seconda, è un’altra cosa; non è per l’altare, ma per il servizio”. Il nostro ruolo è essere ponte tra la Chiesa e il mondo. La formazione deve essere più profonda e mirata, non limitarsi a corsi teorici. Il diaconato potrebbe avere un ruolo chiave nella pastorale familiare, coinvolgendo direttamente la vita di coppia e l’educazione alla fede dei figli, testimoniando il Vangelo nella quotidianità della famiglia.





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