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di Claudio Vercelli
I corpi della famiglia Bibas, ci dicono molto. Se l’Islam è una rivelazione monoteista, che segue storicamente a quella ebraica, così come a quella cristiana, l’islamismo ideologico è invece una falsificazione. Cerchiamo da subito di capirci. Non confondiamo l’afflato religioso – per come esso si è storicamente espresso tra le popolazioni divenute musulmane – con la sua sopravvenuta manipolazione politica. Quindi, se da ciò partiamo, non parleremo mai e comunque di “Islam” bensì del suo disinvolto, ferale e ferino, uso politico da parte di movimenti politici che, nel corso del tempo, si sono succeduti. Per affermare il loro potere temporale. Di vita come, anche e soprattutto, di morte. Solo per capirci appieno: la natura di questi ultimi nulla ha a che fare con un ordinamento spirituale che si riflette sulla vita civile. Semmai ne costituisce la sua perversione.
Ogni monoteismo, per sua stessa natura, detta leggi e regole rispetto al consesso umano. Proprio per ciò incorpora in sé un presupposto imprescindibile: la preservazione della vita viene prima di tutto il resto. La “legge” non tutela, nel suo essere sé stessa, le sue medesime norme, bensì le condizioni di vita in comune. Ossia, a conti fatti, l’esistenza singolare in quanto consapevolezza che sussista un senso ultimo, nell’universo di sollecitazioni e sofferenze, che stiamo condividendo. La legge, infatti, è cornice dell’esistenza umana come tale. Civile, biologica, sociale, politica e così via. Ciò che invece non sia tale, nega i suoi stessi presupposti.
Beninteso, la vita non è un antidoto alla morte, e neanche un suo precedente cronologico. Poiché se c’è un deposito essenziale nell’ebraismo, affermatosi rispetto ai politeismi antecedenti, è soprattutto l’unicità dell’esistenza come tale. Non degli ebrei bensì dell’essenza umana. Come tale. A prescindere. Quella noachita così come anche di quelle completamente inconsapevoli di sé stesse.
Sforziamoci di capire tutto ciò, poiché stiamo vivendo un trapasso storico tra l’umano (noi stessi) e il “disumano” (la condizione di scarnificazione ideologica e digitale) che ci accompagna. Il nostro tempo non è quello dell’Apocalisse. Dopo di noi, infatti, altri sopravverranno. Nel disegno della storia, così come in quello divino (per i credenti), non sussiste qualsivoglia unicità. Facciamocene una ragione. Dopo di noi, altri quindi sopravverranno. Ognuno di noi, pertanto, è transeunte. Ovvero, transitorio.
Ma tutto ciò non può bastare per capire quanto stiamo dolorosamente vivendo sulla nostra pelle. Non solo di «ebrei» (e cosa ciò vorrebbe semmai dire, se non il consegnarsi ad un’eterna condizione di minorità?) bensì di esseri umani. Poiché l’islamismo radicale, quello dei suoi diversi movimenti terroristici di massa, nel suo fingersi appieno una diversa forma di consapevolezza politica, invece sta ingannando il mondo intero. In quanto simula di essere l’alternativa allo stato di cose esistenti quando, invece, ne è parte integrante. Appieno.
Non anela ad un diverso ordinamento sociale. Quand’anche simuli altrimenti. Semmai intende beneficiarne delle peggiori diseguaglianze vigenti per sé stesso. Quindi, a proprio, inconfessabile vantaggio. Cerchiamo di ragionare su questo ed altro: ad oggi, l’islamismo radicale, che si finge veicolo di mobilitazione dei subalterni, dei “dannati della terra”, degli espropriati, dei sottoproletari e così via, è invece uno strumento, un soggetto, un protagonista dell’assoggettamento dei “poveri” ai “ricchi”. Punto e a capo. In quanto finge di essere elemento di mobilitazione delle “masse” musulmane, contrassegnate dalla loro strutturale condizione di minorità, rispetto alle ingiustizie vigenti. Ciò facendo piega il codice maomettano – e non solo questo – ad una perversione senza pari. Poiché costituisce il grado zero di ogni forma di relazione tra viventi.
Hamas, Hezbollah, Houti e così via sono quindi parte integrante di un tale disegno: richiamano il «popolo» nel momento stesso in cui lo negano. Non per questo un qualsivoglia governo di Gerusalemme ha ragione a prescindere. Di errori ne sono commessi tanti. Ma almeno deve rispondere ad una qualche coscienza collettiva, nel passato, adesso come in avanti. Anche questa, a conti fatti, è ciò che definiamo faticosamente con il nome di «democrazia». Il resto è necrofilia.
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