L’America dei primati: il paradiso della libertà, l’inferno dei dimenticati

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Non so se i più ne sono a conoscenza, ma nella terra che ha visto il nascere del grande sogno americano, la stessa dove si è compiuto, a danno delle popolazioni native, il più grande genocidio della storia dell’uomo, si consumano più medicinali che in tutto il resto del pianeta, infatti, là dove si produce tanta “democrazia” da essere “costretti” ad esportarla, la più diffusa causa di morte è quella per overdose da farmaci, segue quella per malattie cardiache, quella per cancro e quella per abuso di droghe. Che dire, certamente un “bel Paese”, non a caso, più o meno consapevolmente, scimmiottato quasi ovunque. Un’altra cosa, nella terra a stelle e strisce, tolti i paesi “sottosviluppati” dove i nipotini dello Zio Sam, ormai da lungo tempo, sperimentano di tutto, ovviamente con l’intento primario della salvaguardia della salute umana e poi, non sia mai detto, sempre per distribuire libertà e democrazia a piene mani, si detiene anche un altro record, quello della vita media più breve al mondo.

Ciò nonostante, si continua a guardare all’America come esempio virtuoso, come alla terra delle grandi occasioni, quasi fosse la terra promessa. In America i ricchi e i potenti sono sempre grandi filantropi, mentre in Russia e in Cina sono sempre dei pericolosi oligarchi, chissà, forse perché non sono ricchi abbastanza, o forse perché a est, semplicemente, sono tutti cattivi.

Comunque gli Stati Uniti d’America, a questo ci tengono davvero tanto, sono descritti ovunque come il Paese più ricco al mondo, primi per benessere, primi per inventiva, primi per tecnologia, primi per lo sviluppo, primi per gli armamenti, primi nella lotta al terrorismo, primi nel cinema, nella musica, nello sport, primi nella ricerca scientifica e in tutto il resto, loro sono sempre i primi, sempre a caccia di nuovi primati.

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A ben vedere, però, detengono anche altri record, meno sbandierati, anzi, sapientemente occultati, infatti, all’interno del più imponente arsenale di democrazia esistente sul pianeta Terra vivono anche più di 100 milioni di “fantasmi”. Un terzo abbondante della popolazione statunitense sopravvive nell’indigenza più completa, in roulotte abbandonate, in auto, in case di cartone, in capanne di lamiera, in tende di coperte e sotto i ponti. Oltre 100 milioni di poveri, che paradossalmente crescono col crescere della ricchezza della nazione e che, pensate, non impediscono agli americani di distinguersi nel continuare ad essere i più generosi, i più buoni ed i più giusti. Hanno mille problemi, anzi, più di cento milioni di “problemi” che non riescono a far fronte alle più elementari esigenze quotidiane e che spesso muoiono di fame, di stenti, di malattie, di droga e di alcolismo e ciò nonostante, da quando hanno rinchiuso in “accoglienti riserve” gli ultimi nativi rimasti in vita, continuano a distinguersi per essere i più grandi portatori sani di democrazia. 

Pensate cosa saremmo potuti diventare se non fossero giunti gli americani ad insegnarci a vivere, gente con un cuore grande, che non ha mai fatto una guerra, lo abbiamo anche visto in Libia, Iraq e Afghanistan, se non per cause di forza maggiore. Lo sanno bene i nativi, poco più di 700 mila persone, soprattutto vecchi, donne e bambini, scampati, secondo il censimento dell’epoca, ad un olocausto, che non ha mai trovato paragone da quando, circa 6000 anni fa, nacque e si sviluppò la prima forma di organizzazione della civiltà umana. Olocausto cancellato dalla memoria dei più, certamente ricordato da nessuno, forse perché cosa proibita, o forse perché non conviene. Comunque, anche a chiarire questo ci tengono molto, gli americani non hanno mai fatto una guerra per convenienza, ma purtroppo sulla Terra ci sono ancora posti dove non c’è giustizia, libertà, democrazia e dove le popolazioni oppresse attendono da anni i distributori automatici di Coca-Cola, quindi, meno male che ci sono gli americani. Gente che ha regalato al mondo e soprattutto alla nostra Italia, semplicità, immediatezza, allegria, internet, azione e rock and roll, gente orgogliosamente non intaccata dalla cultura, soprattutto dalla nostra, ritenuta vecchia, elaborata e complessa. Altroché Leonardo, Dante, Giotto, Machiavelli, Verrocchio, Michelangelo, Brunelleschi, Raffaello, Manzoni, Verdi, Paganini, Ariosto, Tasso, Carducci, Petrarca, Foscolo, Leopardi, o addirittura Ovidio, Virgilio e Lucano, loro sono un popolo che crea, che costruisce ponti, grattacieli, autostrade, aerei, carri armati, navi, bombe e missili intelligenti, satelliti e navicelle spaziali; loro vivono a colori, hanno inventato la società multirazziale, hanno inventato il cinema, quello vero, non quello dei fratelli Lumière; loro sono i buoni, sempre! E qualche volta pare facciano anche i miracoli, infatti, i nostri Presidenti del Consiglio, soprattutto dal dopo tangentopoli, non perdono occasione per andare in pellegrinaggio in quel di Washington dove, all’interno delle mura discrete del grande tempio bianco, possono battersi il petto e chiedere grazia, genuflettendosi di fronte al Presidente americano di turno.

Pensate, a proposito di primati, statisticamente detengono anche il primato della maggior ricchezza pro capite, infatti, ogni americano risulterebbe possedere oltre 350 mila dollari, ma poi la realtà è ben diversa e allora, senza neanche scavare tanto in profondità, ci si accorge che la povertà assoluta nella quale versano più di 100 milioni di cittadini statunitensi è una povertà artificiale, creata, perché loro sono grandi creatori. Creata come la pelle artificiale, la pioggia artificiale, la neve artificiale, gli uragani, i terremoti e le maree artificiali. È una povertà artificiale, frutto di ponderate scelte politiche e dell’intreccio fra mercato e diritto. È il diritto che fornisce al mercato gli strumenti per funzionare ed è il diritto che tutela le dinamiche del mercato americano, che avvantaggia il più forte senza offrire nessuna salvaguardia per chi non riesce a tenere il passo e alla fine risulta essere il perdente, espulso da qualsivoglia processo sociale. 

Il diritto statunitense, nulla cambiando presto sarà così anche da noi, non si accontenta di creare il povero, dopo averlo reso tale lo perseguita, lo criminalizza, gli dà la caccia e gli nega il diritto di vivere. I poveri di strada, che a milioni invadono i centri urbani americani, sono quotidianamente presi di mira da un diritto penale crudele, che li sanziona se dormono per strada, se vi siedono, se vi lasciano i loro carrelli traboccanti di miserie, se piantano una tenda sotto i ponti dell’autostrada o sulle rive di un fiume, se dormono di notte nei parchi pubblici o perfino nella propria macchina, se chiedono l’elemosina, se si stendono sulle panchine, se hanno con sé una coperta o fanno i loro bisogni fuori dalle toilette pubbliche, ormai per loro inaccessibili perché quasi tutte a pagamento. Sono tutti colpevoli del “Reato contro la qualità della vita”, la loro colpa, ritenuta gravissima, è quella di non avere nulla e di vivere per strada. Tale reato produce circa 500 mila carcerazioni all’anno, un business miliardario per le prigioni americane, quasi tutte private.

E pensare che sono i più grandi produttori di libertà e democrazia, roba che che donano a tutti, roba originale, made in U.S.A., che ti portano a casa anche se non la vuoi, te la trasmettono, te la attaccano, quasi fosse un virus, però mai isolato, inguaribile ma curabile, col quale si può solo convivere, più o meno rassegnati, con l’aiuto di farmaci, alcol e droghe. In grande, molto in grande, ricordano “Hotel California”, brano del 1976 degli Eagles.

Forse sarà la troppa “libertà”, forse la troppa “democrazia”, ma non sia mai detto che il diritto made in U.S.A. favorisca lo stupro dei più fondamentali diritti umani. 

Il nostro compito è quello di plaudire ogni loro scelta e di copiare quanto più possibile il loro stile di vita e a ben vedere ci stiamo riuscendo benissimo: disoccupazione reale in continuo aumento, assistenza sanitaria e medicinali solo per chi se li può permettere, giustizia solo per chi può pagarsi l’avvocato più bravo, buste paga sempre più leggere, lavoro nero e caporalato in continua espansione, tassazione che colpisce le classi meno abbienti e città invase da povera gente in cerca di elemosina che, fra il fastidio e l’indifferenza dei più, trova riparo nelle stazioni o sotto i portici, su giacigli di cartone, arrotolata in coperte sporche.

Ciò nonostante, non si può non voler essere come loro, sempre pronti a prodigarsi in slanci d’altruismo, sempre pronti a cacciare tiranni ovunque questi si manifestino. La loro non è voglia di guerra e non conta il fatto che in poco più di 240 anni di esistenza ne abbiano fatte oltre 200, la loro è una smodata voglia di pace, purtroppo, ma sempre per colpa degli altri, sempre cattivi, ottenibile solo con la guerra. 

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Qualche strappo nella “gloriosa” Stars and Stripes, però, comincia ad intravvedersi e non pare più rammendabile, infatti, Matthew Desmond, professore di Sociologia all’Università di Princeton, insignito di numerosi premi letterari fra cui, per “Sfrattati”, il Pulitzer del 2017, inserito dal “New York Times” nella lista dei 50 americani più influenti nel dibattito politico statunitense, a proposito del diritto a stelle e strisce e di ciò che genera ha scritto: “Si tratta di un diritto che serve a creare odio e paura nei confronti del debole, utile a smorzare ogni moto di indignazione e di protesta contro l’evidente ingiustizia di una società caratterizzata da disuguaglianze tanto profonde. Il paradosso tutto americano della lotta per la sopravvivenza in mezzo alla ricchezza non è radicato in misteriose alchimie economiche o incomprensibili cause sociali. Le sue ragioni sono state studiate e puntano tutte a una tesi tanto scomoda quanto evidente. Una larga fetta di americani vive nel bisogno perché al resto della popolazione conviene che sia così”. 

Sarà pure la patria dell’Uomo Ragno e di Capitan America, perché anche negli eroi loro sono “super”, ma nei fatti, l’America che si nasconde dietro la statua della Libertà è il risultato di una società che sfrutta i più poveri, riducendo i loro salari e costringendoli a pagare cifre insostenibili per una casa, per l’assistenza sanitaria e per accedere al credito. E’ il Paese dove in molti Stati della federazione si è sdoganato il lavoro minorile, dove i ragazzi e le ragazze di 14 anni possono lavorare nelle celle frigorifere delle macellerie; dove a 15 anni possono essere impiegati nelle catene di montaggio e dove a 16 anni possono servire alcolici nei bar, nelle discoteche e lavorare nei cantieri edili. E’ il Paese che ha scelto di far crescere la ricchezza di pochi invece di alleviare la povertà di molti. E’ il Paese che ha progettato uno stato sociale che offre di più a coloro che hanno meno bisogno.

Era il 1956 quando Renato Carosone ironizzava sull’italico processo di americanizzazione con “Tu vuò fa l’americano”, ma ora non c’è più nulla su cui fare ironia, “le Camel comprate con i soldi della borsetta di mammà” si sono rivelate oltremodo nocive e così sul nostro territorio, di fatto occupato, ospitiamo 120 basi N.A.T.O., 20 basi statunitensi, circa 20 mila militari U.S.A., molti con familiari al seguito e quasi 9 mila civili impiegati nelle basi militari e nelle sedi diplomatiche, il tutto a carico, per centinaia di milioni di euro, dei contribuenti italiani. 

Ma a noi che ci frega, da noi batteva forte il cuore per Biden e ora batte forte per Trump, del guazzabuglio della politica nostrana non frega niente a nessuno, l’importante è avvicinarsi al grande successo della società multicolor e multietnica americana, dove tutti sono liberi; dove tutti sanno che il nemico è sempre a est; dove tutti sanno che il terrorista è sempre arabo-musulmano; dove tutti sono convinti di poter fare la storia; dove la fantasia non ha confini e dove le disuguaglianze non contano. Poi se tutta questa meraviglia si traduce in stipendi in calo; in ore non pagate; in lavoro nero; in aumento dei controlli e della tassazione; in ospedali che chiudono; in mancanza di medici; in liste d’attesa, anche superiori a 12 mesi, per esami diagnostici e prestazioni ambulatoriali; in aumento degli incidenti, spesso mortali, sul posto di lavoro e nel dilagare della delinquenza, va bene, d’altronde è così anche New York, Los Angeles e San Francisco. E allora viva l’America e se una recente ricerca di ADP “Workforce View in Europe”, avvalorata dall’istituto di ricerca “European Trade Union Institute”, ci racconta di un 30% di italiani che lavorano tra le 6 e 10 ore a settimana senza retribuzione e di un 11% che è costretto, pena la perdita del lavoro, a regalare al datore di lavoro dalle 11 alle 15 ore a settimana, vuol dire che presto potremo sentirci , finalmente, tutti americani.

E come non chiudere con le parole di Giorgio Gaber, cantautore, drammaturgo, attore e regista teatrale: “A me l’America non mi fa niente bene, troppa libertà, bisogna che glielo dica al dottore, a me l’America, mi fa venir voglia di un dittatore uuuuhh. Si di un dittatore, almeno si vede, si riconosce. Non ho mai visto qualcosa che sgretola l’individuo come quella libertà lì, nemmeno una malattia ti mangia così bene dal di dentro. Come sono geniali gli americani, te la mettono lì. La libertà è alla portata di tutti, come la chitarra, ognuno suona come vuole, e tutti suonano come vuole la libertà”. 







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