Vertici di pace senza Kiev, Trump stravolge tutto

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Stupisce lo stupore; in quanto agli stupiti: ci sono, ci fanno o entrambe le cose? Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump fa esattamente quello che aveva annunciato e promesso di fare; è appena all’inizio del suo “programma”: la sua agenda l’aveva esposta con chiarezza ai suoi elettori e al mondo. Non solo: la maggior parte degli analisti e degli osservatori di cose americane aveva tempestivamente avvertito sia il carattere e gli interessi dell’uomo, sia cosa sarebbero stati disposti a fare i collaboratori di cui si è circondato.

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Trump sull’Ucraina (non solo sull’Ucraina) è un bugiardo seriale, un incompetente arrogante, un presuntuoso ignorante. Trasforma le vittime in carnefici, gli invasi in invasori, il presidente eletto un dittatore impopolare: lui, che ammira Hitler, perdona i golpisti di Capitol Hill, simpatizza per Putin, manda il suo vice Vance a impartire agli europei lezioni di democrazia. Lui che nelle sue conferenze stampa dove possono parlare solo i giornalisti graditi, stravolge la storia del conflitto ucraino. Lui che convoca a Riad vertici di pace e trattativa con gli autocrati russi tagliando fuori ucraini ed europei: lui che addirittura stabilisce che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky deve andare in esilio, e decide anche in quale paese, la Francia; a prescindere da come la pensano i francesi.

L’invasione russa iniziata all’alba del 24 febbraio 2022, le forze di Mosca attraversano i confini ucraini da nord, est e sud, bombardano Kyiv e altre città principali come Kharkiv e Odessa. Un’offensiva che arriva otto anni dopo l’occupazione della penisola di Crimea, nel marzo 2014, quando le truppe russe senza insegne (gli “omini verdi”) prendono il controllo della regione. Trump sostiene invece, al pari del Cremlino, che l’Ucraina «ha avuto tre anni per negoziare» e avrebbe potuto evitare il conflitto accettando un accordo che le avrebbe garantito «quasi tutto il territorio». In realtà, i tentativi di dialogo sono stati numerosi: i colloqui di Belarus del febbraio 2022, quelli di Istanbul nell’aprile dello stesso anno, fino alle proposte di pace in dieci punti presentate da Zelensky al G20 di Bali nel novembre 2022. Tutte iniziative naufragate di fronte alle richieste russe di annessione dei territori occupati.

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La Russia ha cercato di giustificare l’invasione accusando l’Ucraina di discriminare la popolazione russofona nel Donbass, la regione orientale che comprende le province di Donetsk e Luhansk, e di commettere un presunto genocidio. Queste accuse sono state esaminate e respinte dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aja in una sentenza del marzo 2022.

Trump sostiene che «la maggior parte delle città ucraine sono rase al suolo, gli edifici sono crollati, sembra un enorme sito di demolizione». La Banca mondiale nel gennaio 2025 racconta una storia diversa: i danni alle infrastrutture civili, per quanto gravi, riguardano il 18% degli edifici nelle aree urbane, concentrati principalmente nelle regioni orientali di Donetsk, Luhansk e nella città di Mariupol.

Trump sostiene che Zelensky governa con un gradimento del 4 per cento. L’ultimo sondaggio condotto dal Kyiv International Institute of Sociology tra il 29 gennaio e il 9 febbraio 2025, mostra che il 57 per cento degli ucraini continua a sostenere il suo presidente. Si tratta di un calo rispetto al picco del 90 per cento registrato nel maggio 2022, quando l’esercito ucraino riuscì a respingere l’attacco russo su Kyiv, resta comunque un livello di consenso significativo per un paese in guerra.

Per quel che riguarda le elezioni presidenziali, originariamente previste per marzo 2024, Trump sostiene che la loro sospensione è una scelta arbitraria. In realtà la legge marziale che impedisce lo svolgimento delle votazioni è stata introdotta il 24 febbraio 2022, il giorno stesso dell’invasione russa. Il quadro normativo di questa legge era stato definito già nel 2015 sotto la presidenza di Petro Poroshenko, in risposta alle minacce russe dopo l’annessione della Crimea e l’inizio del conflitto nel Donbass: all’epoca Zelensky non era nemmeno entrato in politica. Inoltre, un sondaggio dell’International Republican Institute mostra che il 60 per cento degli ucraini si opporrebbe a delle eventuali elezioni a marzo.

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Vertici di pace, Volodymyr Zelensky

Volodymyr Zelensky

Di Trump sapevamo che considera l’Unione Europea esattamente come a metà Ottocento il cancelliere austriaco Klemens von Metternich considerava l’Italia: “un’espressione geografica”. Tutto ci è consentito, meno che di sorprenderci. Quanto alla sua diplomazia: è nota la sua “simpatia” per gli autocrati, nota la sua allergia per la democrazia. Nulla gli importa del destino dell’Ucraina; è un intralcio, un ostacolo da rimuovere e risolvere il prima possibile, poco importa se si tratterà di accordarsi con Vladimir Putin e legittimare le vocazioni imperialistiche di un Cremlino che non nasconde di voler tornare ai fasti dell’era sovietica. Ancor meno gli interessa la sorte dei palestinesi, che considera un fastidio, esattamente come sono ritenuti da un po’ tutti i “fratelli” arabi; se la veda Benjamin Netanyahu, lo faccia Israele il “lavoro sporco”. 

La vera partita per Trump e i suoi seguaci è quella che si gioca con la Cina. Può piacere, o no, così è. 

A Polonio Shakespeare fa dire, nel famoso colloquio con Amleto, che «sarà pazzia, eppure c’è del metodo in essa» («Though this be madness, yet there is method in’t»). Alla Casa Bianca non c’è Amleto e neppure un saggio Polonio. Abbonda però una metodica follia, pericolosissima.  

Nel suo discorso di commiato (era il 1961) l’uscente presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower, repubblicano moderato, mette in guardia il suo paese e il mondo dal potere e dallo strapotere del complesso militare-industriale. Sapeva quello che diceva: era il generale che aveva piegato Hitler. Nella versione originale del discorso c’è anche “congressuale”. Poi Eisenhower ha un sussulto, gli sembra eccessivo, depenna quel termine. Ora con Trump e Musk, i suoi enormi interessi legati con la NASA, il Pentagono, le comunicazioni, ci siamo: Trump comanda alla Casa Bianca, gli altri poteri che dovrebbero “bilanciare” sono nelle sue mani: Senato, Camera, Corte Suprema. Flebili le opposizioni, i Democratici allo sbando.    

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Giunti a questo punto, messi con le spalle al muro, chissà: grazie a questi Stati Uniti, l’Europa forse può trovare un po’ di quello spirito che animava i padri fondatori: gli Adenauer, i De Gasperi, gli Schuman; quel sogno coltivato dai Rossi e dagli Spinelli, dai Silone e perfino da un vecchio leone come Churchill (illuminante un suo discorso agli studenti di Zurigo); una sua ragion d’essere, insomma. Forse troverà una comune lingua che consenta di non essere vassallo di Trump e la capacità di opporsi credibilmente alle mire di Putin. Un primo banco di prova è l’Ucraina: cosa impedisce di accogliere la richiesta, già avanzata, di far parte dell’UE? È realizzabile, grazie alla prevista “procedura speciale”. Solo che si voglia, si può. Se si può, perché no? Sarebbe un segnale chiaro e forte per Trump, Putin e i loro vassalli.



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