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Sembra da un secolo che le tre confederazioni viaggiano in ordine sparso, e che l’unità sindacale si dà per finita. In realtà l’ultima piattaforma unitaria risale a meno di due anni fa, aprile 2023, destinata al confronto col governo Meloni sulla manovra. Confronto che, scrivevano all’epoca Cgil Cisl e Uil, non rispondeva per niente alle loro esigenze. Sostenevano, addirittura, che non ci fosse un vero confronto: “I provvedimenti che il Governo sta mettendo in campo in queste settimane non vanno in questa direzione né nel merito né per il metodo: le Organizzazioni Sindacali sono di fatto escluse da un confronto preventivo e vengono semplicemente informate delle decisioni di volta in volta assunte dal Consiglio dei Ministri”, si legge in quella piattaforma. Dalla quale era poi nata una mobilitazione unitaria, con manifestazioni in diverse città.

Altre piattaforme unitarie c’erano state in precedenza: nel 2020 (governo Conte) sul fisco, chiedendo di ‘’ridurre le tasse a chi le paga, aumentando le detrazioni”, e aumentando, per contro, anche la pressione sugli evasori; nel 2021 (governo Draghi) sulle pensioni, per la riforma della Legge Fornero; nel 2022 (governo Draghi) per la salute e la sicurezza sul lavoro. Infine quella appunto del 2023, destinata al governo Meloni, a cui venivano avanzate queste richieste: tutela dei redditi dall’inflazione, aumento del valore reale delle pensioni, rinnovo dei contratti nazionali dei settori pubblici e privati; riforma del fisco, tassazione degli extraprofitti e delle rendite finanziarie; aumento dei finanziamenti e del personale del SSN; misure per migliorare il mercato del lavoro, riducendo la precarietà e aumentando la formazione, politiche attive, ammortizzatori sociali; riforma del sistema previdenziale; sicurezza sul lavoro; politiche industriali e d’investimento finalizzate alla transizione ecologica ed energetica, con particolare attenzione al Mezzogiorno. Tutti temi assolutamente condivisi, che tuttavia hanno portato a divisioni altrettanto assolute: la Cgil, assieme alla Uil, su queste piattaforme ha proclamato ben quattro scioperi generali, la Cisl no: Cgil e Uil ritenendo che le risposte del governo fossero insufficienti o nulle, la Cisl considerando invece in primo luogo gli obiettivi raggiunti, seppure non del tutto appaganti.

Ancora oggi queste sono esattamente le richieste che i sindacati fanno ai governi: e si potrebbe quindi dire che, per quanto riguarda i contenuti, non c’è distanza visibile tra le confederazioni. Non ci sono distanze nemmeno su temi non strettamente sindacali come l’immigrazione, tanto che sia la Cgil che la Cisl chiedono la riforma della legge sulla cittadinanza. E scendendo più in profondità, cioè dove il sindacato fa il suo mestiere primario, ovvero la contrattazione: sono unitarie tutte le piattaforme per i rinnovi contrattuali delle categorie dell’industria e dei servizi, cosi come unitari sono tutti gli scioperi di categoria, a partire da quelli dei metalmeccanici (tra l’altro: proprio in occasione della protesta delle tute blu si sono visti nuovamente insieme su un palco i tre leader Landini, Sbarra e Bombardieri, ed era appena quattro mesifa). Sono unitarie le vertenze aziendali, cosi come unitaria è la gestione delle varie crisi industriali che approdano sui tavoli dei ministeri dove Cgil, Cisl e Uil lavorano regolarmente fianco a fianco.

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Con pochissime eccezioni, due in particolare. Per quanto riguarda le crisi industriali, c’è un atteggiamento diverso delle categorie Filctem Cgil e Femca Cisl per quanto riguarda la questione Versalis, ovvero gli impianti della chimica di base che l’Eni sta chiudendo: dura la Filctem, che si oppone alla chiusura, più soft la Femca, orientata principalmente alla difesa dell’occupazione, e infatti le iniziative si svolgono separatamente. L’altro caso di rottura – questo si decisamente grave – è sui contratti pubblici, che vedono i sindacati su schieramenti opposti e incompatibili. Tanto incompatibili che i contratti non si riescono a chiudere, in primo luogo quello della sanità, che anche ieri ha registrato l’ennesima fumata nera all’Aran. Con Cgil, Uil e Nursin Up che ritengono le cifre offerte dal governo troppo basse, e dunque non firmano, e la Cisl che invece sarebbe pronta a firmare, accusando le altre sigle di comportamenti dettati dalla politica più che dal merito.

Altre divergenze ci sono su questioni di metodo, o forse di filosofia: cioè “vogliamo la stessa cosa, ma la vogliamo attraverso sistemi diversi”. Esempi: tutte le tre confederazioni (e anche la stessa Confindustria) concordano sulla necessità di definire regole sulla rappresentanza, per sconfiggere il fenomeno dei contratti pirata. La Cgil, cosi come la Uil, ritiene necessaria una legge, mentre la Cisl non vuole sentirne parlare, fedele alla propria regola che tutto ciò che riguarda il lavoro, i salari, gli orari, eccetera, vada affidato solo alla contrattazione, con una sola eccezione, e cioè la legge sulla partecipazione, presentata dalla Cisl e in via di approvazione, che completa l’articolo 46 della Costituzione. Legge che invece la Cgil, pur favorevole a interventi legislativi su orari e salari, in questo specifico caso considera lesiva proprio della contrattazione. E ancora: la Cgil ritiene che le soluzioni si ottengano col conflitto, la Cisl con la concertazione, o quanto meno il dialogo. La segretaria Daniela Fumarola, appena eletta, ha rilanciato infatti l’idea di un patto sociale a tre, per il bene del paese; la Cgil invece considera la concertazione ormai archiviata. E ancora: la Cgil porta le sue battaglie nelle piazze, la Cisl punta su uno stile differente, fuori dai riflettori, lavorando il governo ai fianchi, per portare a casa risultati. Ultimo caso la manovra 2024, sul cui esito la Cisl ha predisposto una relazione di 50 pagine, illustrando punto per punto i successi ottenuti, mentre sulla stessa manovra la Cgil ha indetto uno sciopero generale, peraltro il quarto in quattro anni.

Il succo, in sostanza, è che per la Cisl l’operato del governo – questo come i precedenti- va giudicato cercando sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno, in nome della ‘’responsabilità’’ e sperando di strappare, in futuro, qualcosa in più. Il giudizio della Cgil è invece sempre sferzante, anche quando magari non servirebbe: come nel caso del maxi recupero fiscale annunciato dall’Agenzia delle Entrate nei giorni scorsi, bollato da Corso Italia come “surreali festeggiamenti per i risultati di condoni e concordati preventivi”. Giudizio forse ingeneroso, perché, malgrado i condoni, i dati dell’Agenzia dimostrano la crescita della compliance, cioè dei comportamenti corretti da parte dei contribuenti. Merito certo non del governo, ma del serio lavoro dell’Agenzia. Sul fisco comunque ha la stessa posizione netta della Cgil anche la Cisl: nella sua prima relazione la nuova segretaria Fumarola ha bocciato severamente condoni, rottamazioni e concordati vari, sostenendo che ‘’ci vogliono più cartelle, non meno: le tasse le devono pagare tutti, non soltanto pensionati e lavoro dipendente’’.

Insomma, guardando alle questioni concrete, si direbbe che le distanze tra i sindacati non lo siano poi cosi tanto, e infatti quelle piattaforme unitarie restano valide ancora oggi. In altri tempi le divergenze -di metodo, di impostazione, o di principio che fossero- si sarebbero appianate confrontandosi, cercando una mediazione, restando il più possibile uniti, e dunque forti. Ma erano appunto altri tempi. Sarà qualunquista dirlo, ma sembra che la vis polemica tipica della politica si sia trasferita, o meglio, abbia contagiato, anche le rappresentanze dei lavoratori. E questo non fa bene a nessuno: non ai sindacati, non ai lavoratori, e alla fine nemmeno alla politica. Un sindacato diviso non è utile, e sbaglierebbe chi pensasse di trarne qualche vantaggio, come forse pensa il governo, visto che Giorgia Meloni ha definito la Cisl un sindacato ‘’amico’’ e la Cgil un sindacato ‘’tossico”: giudizio decisamente errato, in entrambi i casi.

 Nunzia Penelope



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