Informadisabilità » Il turismo accessibile? Non è abbattere le barriere architettoniche

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Roberto Vitali ha 64 anni, quando ne aveva 15 un incidente stradale lo rese paraplegico. Sposato, ha due figli, vive e lavora a Ferrara. Ha un’azienda, Village for all«La maggiore difficoltà del mio lavoro è stata la percezione limitata che molti hanno del turismo accessibile».

Ci racconta cosa è successo quel giorno del 1976?

Ho avuto un incidente stradale, ero in scooter e ho fatto un frontale con un’auto. Il risultato è stato una lesione midollare con una paraplegia, da allora uso una sedia a ruote per muovermi. Quando ho avuto l’incidente lavoravo già con mio padre, che era un artigiano: con le macchine operatrici facevamo canali di irrigazione, aravamo la terra. L’idea era che io avrei portato avanti l’azienda di famiglia, cosa che ovviamente è diventata impossibile dopo gli esiti dell’incidente. Che ha cambiato la vita mia, della mia famiglia e tutti i miei progetti di vita.

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Cosa ha fatto negli anni successivi all’incidente?

Per cinque anni sono andato avanti e indietro dal centro di riabilitazione. Poi ho ripreso da studiare, ho fatto un corso da dattilografo, grazie al quale ho vinto un concorso al Comune di Ferrara e ho lavorato fino al 1999 per l’amministrazione comunale, dove per sette anni ho realizzato il primo ufficio Informahandicap a Ferrara, che era un centro di informazione per l’autonomia e l’indipendenza delle persone con disabilità. Ho cominciato dal 1992 a occuparmi di accessibilità e di inclusione in modo professionale. Poi ho iniziato a lavorare part-time, ho aperto la mia partita iva e ho cominciato a fare attività di consulenza aziendale, fino al 2008.

Cosa è successo nel 2008?

Abbiamo avviato Village for all, nato come progetto sociale. Nel 2010 è diventato una startup innovativa perché abbiamo realizzato e brevettato un software per monitorare e verificare l’accessibilità delle strutture ricettive e delle destinazioni turistiche V4AInside. Nel 2011 ci siamo iscritti alla Camera di Commercio e siamo diventati una società di consulenza. Il progetto Village for all l’ho fondato assieme a Silvia Bonoli, che è ancora la mia socia e direttrice operativa della società di cui io sono ceo.

Quale era l’obiettivo di questo progetto?

Trasformare le persone con disabilità in turisti. Quando io ho cominciato a lavorare per l’ufficio Informahandicap per il comune di Ferrara, nel 1992, ho detto che le persone disabili che fanno turismo sono turisti. Poi, per aggiornamento del linguaggio, è diventato le persone con disabilità che fanno turismo sono turisti. Oggi diciamo che “le persone con esigenze di accessibilità che fanno turismo sono turisti”. Questo a sottolineare il cambiamento culturale che c’è stato con lo sviluppo delle attività e dell’esperienza che abbiamo maturato dal 2008 ad oggi.

L’equivoco più grande è che si pensa che la normativa sia sufficiente a rispondere alle esigenze di chiunque. Non è così

Cosa è Village for all?

Village for all è un incubatore di innovazione per quanto riguarda il settore turistico. Il fatturato attuale si aggira attorno ai 250mila euro all’anno. Abbiamo avuto due riconoscimenti internazionali dall’Organizzazione mondiale del turismo come azienda innovativa per il marchio e per i valori associati e per la realizzazione del software per monitorare le strutture turistiche. Abbiamo ricevuto anche un riconoscimento internazionale dall’Organizzazione internazionale del turismo sociale (Oits), siamo stati inseriti tra le 17 best practice mondiali su turismo sostenibile.

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Oggi Village for all è anche un network di strutture che danno informazioni sulla loro accessibilità, perché possano essere scelte direttamente dai consumatori. Noi non siamo una certificazione di accessibilità, siamo un’azienda che visita e raccoglie direttamente in loco le informazioni in base alle quali le persone potranno valutare l’idoneità della struttura. Grazie a questo metodo potranno scegliere in base alle proprie esigenze personali e non in base alla propria disabilità, evitando di trovare brutte sorprese quando arrivano in vacanza.

La disabilità non va in vacanza, in vacanza ci vanno le persone. Village for all è nata con l’obiettivo di trasformare le persone con disabilità in turisti. La nostra mission è quella di garantire a ciascuno la sua vacanza

Esigenze di che tipo?

Non solo legate ad una disabilità motoria, ma anche sensoriale o cognitiva, e ancora in base alle esigenze, alimentari e non solo. C’è tutto un mondo di esigenze di accessibilità che è più ampio e vario delle disabilità. Lo dico da tanti anni: la disabilità non va in vacanza, in vacanza ci vanno le persone. È importante la nostra mission, che è quella di garantire a ciascuno la sua vacanza.

Oggi il network Village for all, che si conosce sotto il marchio V4A, riunisce un centinaio di aziende attorno alle quali ruota il marchio e dal 2018 abbiamo messo sul mercato Destination4All: un protocollo di lavoro e un marchio per rendere accessibili le destinazioni turistiche. La carta dei valori di Destination4All ha avuto il patrocinio della Federazione italiana per il superamento dell’handicap – Fish. Oggi abbiamo nel nostro network Bibione, che è stata la prima destinazione e che ancora oggi continua a lavorare con noi sul turismo accessibile. E poi ci sono Peccioli, borgo dei borghi 2024 e bandiera arancio del Touring Club, Cortina, che sarà protagonista delle Olimpiadi e Paralimpiadi del 2026, e altre destinazioni stanno arrivando.

In quanti lavorate in Village for All?

Oggi siamo tre dipendenti e collaboriamo con professionisti, principalmente. Il tipo di lavoro che abbiamo scelto di fare noi è un lavoro che richiede un’alta specializzazione e una professionalità che andiamo a prendere con collaborazioni esterne e che poi adattiamo alla nostra filosofia di lavoro. Noi siamo sempre il filtro attraverso il quale passano competenze condivise con altri professionisti, ma che poi seguono la nostra linea. Potremmo dire che la nostra caratteristica è quella di fare un lavoro sartoriale sulle esigenze del nostro committente.

Per quanto riguarda l’accessibilità, come è la situazione in Italia?

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Sull’accessibilità, io credo che ci siano dei grandissimi equivoci. L’equivoco più grande è che si pensa che la normativa sia sufficiente a rispondere alle esigenze di chiunque. Noi abbiamo un grande gap culturale che nasce dal fatto che, sul tema dell’accessibilità, le normative che i professionisti prendono come riferimento sono solo normative dimenticando, ad esempio, la legge 18/2009 di conversione della Convenzione Onu dei diritti delle persone con disabilità che ha reso giuridicamente esigibili i principi citati. Oggi è possibile che un tecnico applichi il vecchio Decreto ministeriale 236 del 1989 e non si renda conto che ci sono delle indicazioni tecniche, delle prescrizioni che sono superate perché è una normativa che ha più di 35 anni di vita alle spalle e che, chiaramente, ha bisogno di essere aggiornata.

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