La decisione del Presidente dell’Emilia Romagna di abbandonare il percorso per l’autonomia regionale differenziata, avviata dal predecessore Bonaccini, è la logica conclusione di quanto aveva affermato nella campagna elettorale che ha portato alla sua elezione. Da sottolineare la coerenza del comportamento dopo le dichiarazioni.
Ora la Lega è più sola nel continuare a rivendicare un regime speciale per alcune regioni a scapito di altre. In pratica la separazione di alcune regioni più forti del Nord, guarda caso del Nord, dal resto dell’Italia e in particolare dalle regioni del Mezzogiorno. Un evidente tentativo di compiere uno strappo istituzionale ed economico con la legge 86/24 Calderoli sull’autonomia regionale differenziata.
Le sentenze della Corte Costituzionale
Le sentenze della Corte costituzionale hanno già comunque limitato fortemente l’impatto potenziale della legge sull’A.R.D. voluta testardamente da Calderoli. Ora questa decisione dell’Emilia Romagna toglie di mezzo un alibi propagandistico usato a piene mani dai leghisti, cercando di mettere in imbarazzo l’opposizione, questo è un fatto senza dubbio positivo.
Forse ancora più importante è l’invito del Presidente dell’Emilia Romagna di rimettere mano al titolo V della Costituzione, che contiene – come è noto – ambiguità ed errori. Il Presidente dell’Emilia Romagna ha ragione, il parlamento dovrebbe prendere molto seriamente questa indicazione e impegnarsi a riscrivere alcune parti degli articoli dell 116 c.3 e del 117, di fatto già modificati dalla Corte costituzionale che ne ha limitato drasticamente gli ambiti di applicazione.
In verità ci sono anche altri aspetti che andrebbero rivisti, incorporando anzitutto la rilettura fatta dalla Corte costituzionale del titolo V alla luce dei principi fondamentali della Costituzione e andrebbe rivista la parte sui Comuni che dovrebbero essere valorizzati, nonché riscritta la parte dei poteri dello Stato. Sono infatti necessari chiarimenti anche sulla primazia del ruolo dello stato per fare tornare i conti, che è indispensabile per garantire l’esigibilità dei diritti civili e sociali a tutte e a tutti, senza distinzione territoriale e contrastando le disuguaglianze.
La legge costituzionale di iniziativa popolare
Il Coordinamento Democrazia Costituzionale aveva già tentato di porre il problema della modifica del titolo V, insieme ai principali sindacati della scuola, raccogliendo 106.000 firme in calce ad una legge costituzionale di iniziativa popolare. La proposta di legge è arrivata alla discussione prima in commissione, poi nell’aula del Senato grazie ad un regolamento del Senato, voluto fortemente da Pietro Grasso, ma purtroppo – la maggioranza bloccata da un patto scellerato di potere – l’ha respinta grazie ai rapporti di forza parlamentari.
Se fosse stata approvata la legge costituzionale del Cdc Calderoli non avrebbe avuto spazio per le sue avventure legislative. Così si è perso tempo e si è fatta molta confusione. Calderoli ha quindi tentato un “golpe” legislativo (non riuscito) con la legge 86/24, censurata duramente dalla Consulta e oggi l’intero progetto dell’autonomia regionale differenziata è fortemente in sofferenza, malgrado le continue pressioni di Zaia e Fontana.
Il governo avrebbe ora l’occasione per cambiare strategia e accantonare definitivamente la legge 86/24 e al contrario consentire un lavoro parlamentare per correggere il titolo V, puntando a correggere gli errori nel testo del 2001.
In fondo l’obiettivo del referendum abrogativo era chiudere il capitolo inaccettabile e aprirne uno tutto nuovo. La Corte costituzionale purtroppo non ha ammesso, sbagliando, il referendum che avrebbe consentito alle elettrici e agli elettori di scegliere con il Si o con il No sulla legge 86/24. Per di più la Consulta è arrivata a questa conclusione contraddicendo il quesito referendario preparato e firmato da 25 giudici della Corte di Cassazione.
L’ambiguità del quesito referendario
In sostanza ha prevalso un giudizio troppo pessimistico sulla maturità degli elettori nell’esprimersi in un referendum e questo è sempre un errore, chiunque lo commetta, tanto più in epoca di disaffezione dal voto. La Corte costituzionale infatti non ha portato argomentazioni giuridiche ma ha bocciato la presunta ambiguità del quesito referendario, preparato dalla Cassazione, che avrebbe potuto trarre in inganno gli elettori e perfino riverberare sullo stesso articolo 116 c3 della Costituzione. Un giudizio come si vede ben diverso da quelli normalmente emessi dal “giudice delle leggi “, come viene chiamata la Corte costituzionale.
Comunque la decisione dell’Emilia Romagna è importante perché toglie di mezzo un’ambiguità che ha pesato sull’opposizione e che per un certo periodo ha creato più di un imbarazzo, nello stesso tempo dice con chiarezza che questo è il momento di ripensare a tutto il titolo V, guardando con maggiore attenzione al ruolo dei Comuni, e quindi di finirla con le provocazione di tentare di strappare poteri, e soldi, ad ogni costo da parte di alcune regioni a scapito delle altre.
Occorre tornare in Parlamento
Del resto la stessa sentenza della Corte del 10 gennaio 25 dice con chiarezza che tutte le funzioni da trasferire che riguardano diritti sociali e civili sono soggette a Lep (Livelli essenziali di prestazione) anche oltre i Lep già previsti dalla legge 86/24.
A questo punto anche il trasferimento di altre funzioni non è possibile se riguarda diritti civili e sociali perché le normative sui Lep di Calderoli sono state cancellate dalla Corte costituzionale e questo impedisce di trasferire anche anche funzioni non Lep.
Piaccia oppure no, occorre tornare in parlamento e cambiare strada e ritornare sul titolo V potrebbe essere il modo migliore per non perseverare nel diabolico tentativo di avviare il percorso di attuazione della legge 86/24 che è stata definita efficacemente “secessione dei ricchi”, per di più a danno degli stessi.
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