Valentina, i suoi 5 anni e una malattia rarissima. La speranza di una cura (che ad oggi non esiste)

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di
Vera Martinella

La piccola ha la Sindrome Proteus, di cui soffrono solo 200 bambini al mondo Cosa accade quando la diagnosi arriva in famiglia

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Quella di Valentina (nome di fantasia, ndr) è una storia «esemplare» perché rispecchia ciò che accade quando la diagnosi di una malattia non solo rara, ma persino ultra-rara, irrompe nella vita di una famiglia, colpisce come un fulmine una bimba piccola e stravolge tutto ciò che fino a quel preciso istante era la «normalità». Poi, nulla sarà più come prima.

I primi sospetti

La storia inizia ad agosto del 2020: «Non preoccupatevi, è solamente la fontanella che non si chiude in modo perfetto: resterà una piccola gobba sul cranio. Capita. Per fortuna è femmina e la nasconderà bene con i capelli». Così il radiologo tranquillizza la famiglia quando, a 8 mesi, è comparsa la prima piccola «stranezza» di Valentina una lieve bozza in mezzo alla testa, sulla parte anteriore. 
Poi si sono aggiunte varie anomalie che sembravano insignificanti: due piccole masse morbide sull’addome, minuscole chiazze color caffelatte sotto il mento e dietro la nuca, un occhio verde e uno marrone. Per il resto la bimba è un vivace batuffolo che non desta preoccupazioni: mangia, dorme, cresce ignara della pandemia di Covid-19 che tormenta il mondo. 
A giugno 2021 la pediatra, però, si insospettisce e prescrive una serie di visite. Da qui l’approdo nelle mani di Gian Vincenzo Zuccotti, direttore del Dipartimento di Pediatria all’Ospedale dei Bambini Buzzi di Milano che, dall’alto della sua esperienza, sceglie la via più rapida: «Ricoveriamo e facciamo tutti gli esami e gli approfondimenti necessari». 





















































La diagnosi

Dalle indagini è chiaro che qualcosa non va ma, per arrivare a dare un nome preciso alla malattia di Valentina, ci vogliono mesi (interminabili mesi di attesa, notti insonni, lacrime, paure infinite) e il referto di un sofisticato test del Dna. Anche questa, quando si parla di malattie rare, è la normalità. Anzi, è la migliore delle situazioni possibili: medici esperti e tempi «rapidi» per il contesto
A settembre 2021 la diagnosi: «Valentina ha una malattia ultra-rara, la sindrome Proteus — dice Zuccotti, che si prende quasi due ore per il primo colloquio con i genitori, un tempo lunghissimo (anche se non sarebbe bastata una settimana per rispondere alla valanga di domande e alleviare lo sgomento della famiglia) —. Una patologia caratterizzata da crescita progressiva e incontrollata di diverse parti del corpo: può interessare ossa, cute, tessuto adiposo, sistema nervoso centrale, vasi sanguigni e vari organi interni. Colpisce meno di una persona su un milione, sono circa 200 i casi diagnosticati al mondo». 
Il che significa, purtroppo, che la maggior parte delle domande non ha risposta e che non esiste una terapia, come per il 94% delle malattie rare, che colpiscono soprattutto i bambini. Per tutto il resto c’è Luigina Spaccini, responsabile della Genetica Clinica al Buzzi, la dottoressa di Valentina, l’angelo custode di tutti i dubbi: «Qualche progresso nell’ultimo decennio, però, lo abbiamo fatto — racconta —. Sappiamo che la sindrome Proteus è dovuta alla mutazione nel gene AKT1, che non è ereditaria e che può essere più o meno grave».

Il primo intervento e i controlli periodici

«A ottobre del 2021, quando non aveva ancora compiuto due anni, le è stato asportato l’ovaio sinistro (aveva un adenoma benigno) e nella primavera del 2023 tonsille e paratiroidi, pure quelle diventate troppo grandi — racconta mamma Clara —. Ogni anno, più o meno a marzo, abbiamo la risonanza magnetica total body per valutare eventuali nuovi iper-accrescimenti. Lei cresce serena, è una bimba felice e intelligente. Per ora le preoccupazioni sono tutte di noi genitori: viviamo con un’ansia costante, migliaia di dubbi e pochissime certezze, perché la scienza sulle malattie rare procede a rilento». 
Nonostante abbia un faldone ospedaliero alto come due volumi delle vecchie enciclopedie di carta, Valentina è andata al nido e all’asilo come tutti i suoi coetanei e a settembre 2025 inizierà la prima elementare. 

Il peso della burocrazia 

«Grazie all’aiuto concreto della dottoressa Spaccini abbiamo completato tutto l’iter per la richiesta del riconoscimento dell’invalidità civile, fondamentale per avere accesso alle agevolazioni fiscali, a quelle lavorative per i genitori e al sostegno scolastico — sottolinea papà Gianluca —. Quello a cui nessuno ci ha preparato è l’enorme peso, sia psicologico che della burocrazia». 
Uffici, insegnanti, medici non sempre si confrontano fra loro, anche perché sono sommersi di lavoro e pazienti. Poi ci sono le spese extra, altro grande problema per tante famiglie con malati rari: secondo un’indagine condotta da Uniamo-Federazione italiana malattie rare le famiglie devono sostenere costi correlati alla patologia, diretti o indiretti, che arrivano anche a 1.500 euro mensili per visite, esami, farmaci o altri presidi medici. In aggiunta a questo ci sono i malati che devono ridurre o interrompere l’attività professionale (il 57% degli interpellati nel sondaggio) e i caregiver costretti a limitare il lavoro o a rinunciarvi (72%) per soddisfare le esigenze di salute o sociali del paziente. Insomma, in queste famiglie si spende di più e si guadagna meno (c’è un calo degli introiti in oltre il 54% delle case) e questo comporta un impoverimento e una documentata difficoltà ad arrivare a fine mese (per quasi il 40% degli intervistati).

Riabilitazione

Altro capitolo cruciale, la riabilitazione: «Valentina è molto miope e un occhio percepisce quasi solo le ombre — continua il papà—. Per lei un sostegno è fondamentale (fa fisioterapia, psicomotricità e logopedia più volte a settimana); fortunatamente abbiamo trovato posto col Servizio sanitario all’Istituto Don Gnocchi, un’eccellenza in questo settore, altrimenti ci sarebbe anche un bel carico economico da dover sostenere. In ogni caso serve tempo per accompagnarla, e questo influisce molto sulla gestione delle nostre giornate e degli altri due bimbi». 
Giuliano ha 9 anni e Martino 2. I due fratelli di Valentina sono sanissimi ma, come ben sanno i genitori di altri bimbi rari, la malattia ha un peso emotivo e quotidiano anche per loro che rischiano, se non seguiti adeguatamente, di pagare uno scotto psicologico.

La speranza nella ricerca

«Quando esiste una terapia efficace, la qualità di vita di malati e familiari migliora notevolmente — chiarisce Sabrina Buonuomo, specialista dell’Unità Malattie Rare dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù a Roma, esperta italiana di sindrome Proteus —. Grazie soprattutto ai progressi nella genetica, siamo riusciti a mettere a punto trattamenti innovativi, che rendono possibile anche un’esistenza “normale”, ma sono ancora troppo poche le malattie rare che hanno una cura. Ecco perché è necessario incentivare la ricerca scientifica, approvare i decreti attuativi per le sperimentazioni cliniche, garantire per quanto possibile un accesso precoce ai trattamenti (senza differenze fra regioni), specialmente quando non ci sono alternative terapeutiche».
Per la sindrome Proteus la cura non c’è. «A questo servono le sperimentazioni cliniche, a capire i meccanismi complessi alla base di queste patologie per cercare terapie efficaci – conclude Buonuomo -. Mettendo a punto nuovi farmaci o utilizzandone di già esistenti con strategie differenti, che siano mirati sulle alterazioni genetiche, comuni a più patologie».

La sindrome Proteus

Il nome della sindrome Proteus si ricollega alla figura mitologica di Proteo, dio marino che possiede la straordinaria capacità di trasformare il proprio aspetto fisico ogniqualvolta lo ritiene necessario. Il riferimento è alle manifestazioni di questa malattia genetica che variano da paziente a paziente, in modo del tutto casuale, e possono interessare quasi tutti gli organi. «Secondo le statistiche avrebbe un’incidenza inferiore a un caso su un milione – dice Luigina Spaccini, responsabile della Genetica Clinica all’Ospedale dei Bambini Buzzi di Milano -. Quindi è ultra-rara, ma da quando abbiamo scoperto la causa (ovvero la mutazione nel gene AKT1), siamo in grado di diagnosticarla con maggiore precisione e crediamo che i casi siano più di quelli finora stimati». Quali sono i sintomi?
«La maggior parte dei bimbi alla nascita non presenta segni di malattia – risponde Sabrina Buonuomo, specialista dell’Unità Malattie Rare dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù a Roma -. Le prime manifestazioni compaiono solitamente tra i 6 e i 18 mesi di vita e si tratta di segni di accrescimento incontrollato e asimmetrico che può interessare distretti limitati (per esempio, un singolo dito, che si definisce macrodattilia), o estendersi a più distretti corporei». Per arrivare alla diagnosi serve un test sofisticato che cerca le varianti del gene AKT1. «Non è sufficiente cercarlo nel sangue perché, da quello che abbiamo imparato dagli studi clinici, i geni alterati possono interessare solo alcuni distretti corporei determinando la crescita incontrollata, e quindi proprio lì dobbiamo cercarli attraverso una biopsia – dice Spaccini -. Ma si parte dalla visita clinica e dalla presenza di alcuni criteri essenziali: la distribuzione “a mosaico” (quindi non in tutti i distretti corporei) delle lesioni e il loro decorso progressivo che tende, appunto, all’accrescimento». 
Infine, se per ora non esiste una terapia è pur vero che c’è chi la cerca: «Sono in corso studi sperimentali che utilizzano farmaci in grado di bloccare il meccanismo di riproduzione incontrollata delle cellule mutate – conclude Buonuomo -. L’Italia ha partecipato alla sperimentazione di fase 2-3 di un farmaco oggetto di studio in tutto il mondo per la sindrome Proteus, miransertib, e stiamo ancora raccogliendo di dati dei pazienti che stanno continuando la terapia per osservarne gli effetti a lungo termine sia per efficacia che per sicurezza. Con questi presupposti è ipotizzabile che altri farmaci, utilizzati ora nel trattamento di altre patologie correlate a crescita cellulare incontrollata, potranno essere oggetto di studio nel futuro prossimo».

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La Giornata dedicata alle malattie rare, il 28 febbraio

Il 29 febbraio, che compare sul calendario un anno ogni quattro, è il giorno scelto per celebrare la Giornata Mondiale delle Malattie Rare. «I malati rari in Italia riempirebbero una metropolitana lunga 175 chilometri – sottolinea Annalisa Scopinaro, presidente di UNIAMO, la Federazione italiana malattie rare -: sono circa due milioni, fra adulti e bambini e le stime sono al ribasso». Un paziente su cinque ha meno di 18 anni, il 70% riceve la diagnosi durante l’infanzia. Prese singolarmente le circa 8mila patologie rare censite dall’Organizzazione mondiale della sanità interessano poche persone, ma hanno un impatto enorme. «Chi è affetto da malattia rara, che spesso ha un’origine genetica e colpisce nella prima infanzia, è costretto a sacrificare buona parte del proprio tempo e delle proprie energie per visite, esami, controlli – ricorda Scopinaro -. Molti poi devono fare i conti con disabilità di varia natura e con il peso psicologico della loro condizione». 
Accendere i riflettori sulla ricerca, speranza per tutte le persone con una malattia rara, è l’obiettivo della Giornata mondiale 2025, che ricorre il 28 febbraio (per informazioni: Uniamo.org).

25 febbraio 2025 ( modifica il 25 febbraio 2025 | 09:58)

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