Colombia, le violenze di Catatumbo e il ruolo del Venezuela

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Nella regione del Paese dell’America Latina, la violenza tra Eln e Farc ha provocato, in meno di una settimana un centinaio di morti e 32mila sfollati. Per domenica 26 gennaio, i vescovi hanno indetto una giornata di preghiera per la pace. Federico Nastasi, del Cespi: l’Eln nasce in Colombia ma in Venezuela si rifugia e sviluppa attività illegali

Giada Aquilino – Città del Vaticano

Gruppi armati che si affrontano «per il controllo delle economie illegali» e che lottano per conquistare fette di potere «sociale e territoriale». Nel corso di una riunione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ieri a New York, il rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu in Colombia, Carlos Ruiz Massieu, ha inquadrato così gli scontri in corso nel Paese latinoamericano tra guerriglieri dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) e affiliati a organizzazioni di dissidenti delle disciolte Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). In meno di una settimana, l’ondata di violenze, la peggiore degli ultimi tempi, ha provocato un centinaio di morti e 32.000 sfollati nella regione di Catatumbo, nel dipartimento di Norte de Santander, al confine col Venezuela. Al riguardo i vescovi colombiani — nell’esprimere «profondo dolore» per la grave crisi umanitaria in corso, invocando la «cessazione delle ostilità» e la ripresa «con determinazione» dei negoziati — hanno indetto per domenica prossima una speciale giornata di preghiera per la pace.

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Controllo del territorio

L’origine delle violenze è da ricercare nella «volontà dell’Esercito di liberazione nazionale di rafforzare la propria presenza nella regione di Catatumbo», spiega Federico Nastasi, ricercatore dell’Osservatorio America Latina e Caraibi del Centro studi di politica internazionale (Cespi). «Si tratta — prosegue — di una regione del nord-est della Colombia dove c’è un’alta concentrazione di coltivazioni di coca ed è una zona ricca di petrolio. Il fatto che sia alla frontiera con il Venezuela è un elemento chiave, perché l’Eln è una guerriglia che nasce in Colombia ma che oggi è considerata binazionale, proprio perché ha questo retroterra venezuelano dove si rifugia in momenti di maggiore tensione, ma dove sviluppa anche le sue attività illegali, che a questo punto sono molte. Hanno a che fare non solo con il narcotraffico, ma pure con le attività minerarie illegali, l’estorsione. E controllare il territorio significa aumentare il proprio peso politico oltre che i propri profitti, espandendosi ai danni del gruppo delle disciolte Farc, il Frente 33, anche se poi sono una miriade i gruppi guerriglieri in Colombia».

Ascolta l’intervista con Federico Nastasi

Il Venezuela, porto sicuro

Alla riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, l’inviato di António Guterres ha parlato di una «limitata presenza dello Stato» in diverse aree in cui si sono registrate le violenze. «I municipi in cui sono avvenuti questi fatti sono piccoli, parliamo di zone agricole, scarsamente popolate — riferisce Nastasi — quindi la presenza dello Stato, e in particolare delle forze armate, è effettivamente ridotta, anche per un’assenza di risorse: la Colombia rispetto a qualche anno fa ha un investimento minore sull’esercito. Può però essere interessante sottolineare che i 32.000 sfollati si spostano non solamente dentro la Colombia ma anche verso il Venezuela». Lo studioso di dinamiche latinoamericane ricorda inoltre come si parli generalmente «di flussi di venezuelani verso la Colombia, ma oggi sta avvenendo il contrario: l’altro grande attore chiave è dunque proprio il Venezuela di Nicolás Maduro, che è il “porto sicuro” nel quale questi gruppi si rifugiano», proprio quando invece «la Colombia ha bisogno di parlare con Maduro per portare avanti il processo di pace».

In Colombia lo stato di crisi

Per i fatti di Catatumbo il governo del presidente colombiano, Gustavo Petro, fautore del cosiddetto piano di «pace totale» per il Paese, ha intanto proclamato lo stato di crisi interno e sono stati riattivati i mandati d’arresto per 31 leader dell’Eln, congelati nei mesi scorsi in attesa dell’esito delle trattative di pace avviate a fine 2022 dalle autorità di Bogotá con i guerriglieri. Nei giorni scorsi il capo dello Stato aveva sospeso i negoziati con l’Eln, peraltro in un momento particolarmente delicato per la nazione: secondo l’Onu, ai progressi compiuti nell’attuazione dell’accordo di pace con le Farc del 2016, si affiancano ancora lentezze, per esempio su riforma agraria e insicurezza. «Senza dubbio oggi c’è meno violenza rispetto al passato» constata Nastasi, nel quadro di un contesto in cui però alcuni attori sembrano non avere «realmente intenzione di portare a termine i patti che hanno assunto» con i precedenti accordi.



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