Le prenotazioni per visitare l’Isola di Montecristo sold out in poche ore: cosa si nasconde dietro il fascino dell’isola che ha dato il nome al celebre romanzo di Alexandre Dumas? La storia del tesoro immaginario dell’Abate Faria e di quella vera del tesoro di San Mamiliano
L’Isola di Montecristo è un tesoro. E non è solo la metafora delle bellezze naturali di un luogo incontaminato. Già, il fascino dell’isola più remota dell’Arcipelago Toscano, ormai disabitata , dipende indubbiamente dal richiamo di uno scoglio, in cui la natura la fa da padrona e la presenza umana è quasi accidentale. Ma non solo.
Certo è che l’isola piace e attrae, tanto che le prenotazioni per visitarla sono andate sold out nel giro di poche ore.
Merito del libro di Dumas Il Conte di Montecristo la cui celebrità è stata rilanciata dalla serie tv della Rai.
Ma quanto pesa anche il richiamo dei mitici tesori di cui il selvaggio sperone affacciato sul Tirreno sarebbe la leggendaria sede?
Il tesoro (immaginario) dell’Abate Faria
Ancora oggi l’eco delle ricchezze nascoste nella profondità dell’isola – che Alexandre Dumas ha scelto di far diventare il simbolo della vendetta contro l’ingiustizia subita dal Conte di Montecristo – attira l’attenzione di molti.
La trama del romanzo L’isola di Montecristo è nota: Edmond Dantes, rinchiuso nel castello di If, al largo delle coste di Marsiglia, diventa allievo, amico e confidente di un altro prigioniero, l’Abate Faria, che gli svela, prima di morire il luogo in cui è nascosto il tesoro di Montecristo, quello della nobile famiglia degli Spada.
Sarà grazie al ritrovamento, dopo l’evasione dal carcere, di quelle immense ricchezze che Dantes, ormai trasformato nel Conte di Montecristo, potrà consumare tutte le sue vendette contro coloro che gli hanno distrutto la vita precedente e rovinato l’amore della bella Mercedes.
Fantasia, si dirà, di uno scrittore dalla capacità narrativa inesausta, il maestro del romanzo d’appendice che grazie alla sua abilità letteraria sconfina nella grande arte.
D’accordo. Ma Dumas probabilmente si ispirò a leggende su Montecristo vive ormai da secoli.
Il tesoro (vero) di San Mamiliano
Perchè se il tesoro dell’abate Faria è un’invenzione, altrettanto non si può dire di quello di San Mamiliano che sarebbe (o sarebbe stato) nascosto in una grotta dell’isola. E qui si fa riferimento ai monaci di San Colombano del monastero isolano omonimo, che quelle ricchezze smisurate, portate da San Mamiliano appunto, mitico vescovo di Palermo in epoca barbarica, perseguitato dai Vandali, in fuga nelle isole del Mediterraneo fino a stabilirsi a Montecristo, le avrebbero custodite.
Mito tramandato nel corso dei secoli, tanto che nel ‘500 il principe di Piombino diffidò i sudditi dall’avventurarsi sull’isola, infestata dal pirati saraceni, mentre un secolo dopo andava a vuoto la caccia al tesoro di un gruppo di giovani provenienti dalla Corsica.
Certo è che un tesoro di San Mamiliano fu effettivamente ritrovato nel 2004. Nella chiesa dallo stesso nome ma non sull’isola bensì a Sovana, Maremma meridionale interna, comune di Sorano, patria di Gregorio VII, al secolo Ildebrando di Soana, il Papa medioevale della lotta con l’Impero e dell’umiliazione inflitta a Canossa (da cui il detto “andare a Canossa”) all’imperatore Enrico IV.
Preziose monte antiche, 498 in totale, ora esposte in un museo.
E qui dalla leggenda si torna alla cronaca, sia pure romanzesca.
La storia di Davide Pecorelli
Perchè quando nel settembre 2022 fu ritrovato nel mare della Maremma l’ex arbitro della sezione aretina (ma lui è di Città di Castello) Davide Pecorelli che andava alla deriva su un canotto dopo aver simulato la propria morte in Albania dentro un’auto andata a fuoco, lui raccontò, ampiamente millantando, che tornava da Montecristo, dove aveva ritrovato appunto il tesoro di San Mamiliano. Spiegò anche che aveva recuperato parte delle monete riscoperte in tre punti dell’isola e promise che avrebbe fornito le prove, facendosi fotografare a fianco di alcune cassette che avrebbero ospitato il prezioso contenuto.
Pecorelli naturalmente non provò mai niente e finì sotto inchiesta alla procura di Grosseto, in uno dei tanti filoni d’indagine che lo riguardano e per i quali pende ancora una richiesta di estradizione da parte dell’Albania, dopo la condanna a 4 anni.
I Pm lo accusarono di autocalunnia, insomma di essersi inventato tutto, e l’ex arbitro se la cavò con qualche mese di messa alla prova.
Ma al di là del caso giudiziario, la storia dice molto del fascino che ancora esercitano i tesori di Montecristo.
E chissà che qualcuno dei 1825 fortunati visitatori del 2025 non pensi davvero di sfuggire al rigido percorso segnato dalle guide del parco per diventare lui stesso un conte di Montecristo a caccia di ricchezze tanto smisurate quanto leggendarie.
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