L’IRES premiale, misura agevolativa introdotta dall’art. 1 c. 436-444 L. 207/2024 (Legge di Bilancio 2025), potenzialmente può rappresentare per le imprese uno strumento molto vantaggioso, ma i benefici che potrebbero derivare dalla sua applicazione non sono affatto automatici o esattamente predeterminabili.
Le variabili di cui dovrebbero tenere conto i contribuenti che intendano giovarsi di questa misura, in particolare, si complicano ulteriormente nel caso dei gruppi societari, nei quali la distribuzione dei dividendi e il trasferimento delle perdite possono comportare alcune distorsioni nella fruizione del beneficio.
Al fine di comprendere al meglio i possibili risvolti dell’IRES premiale per le controllanti e le controllate, è utile ricordare, seppure a grandi linee, il meccanismo applicativo dell’agevolazione in commento.
L’IRES premiale, la quale consiste in una riduzione di quattro punti percentuali della tassazione gravante sui redditi d’impresa, richiede il rispetto da parte dei soggetti interessati di diverse condizioni.
Tralasciando i requisiti per così dire “occupazionali” della norma, i quali non rilevano in questa sede, i soggetti passivi IRES devono adempiere a due fondamentali prescrizioni, entrambe parametrate rispetto al livello degli utili dagli stessi conseguiti prima del 2025.
In particolare, la riduzione dell’aliquota spetta a condizione che venga accantonata ad apposita riserva una quota non inferiore all’80% degli utili dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2024, della quale, a sua volta, una misura non inferiore al 30% (e, comunque, corrispondente ad almeno il 24% degli utili maturati nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2023) dovrà essere destinata all’acquisto, anche mediante contratti di locazione finanziaria, dei beni strumentali nuovi e destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato previsti dalla legge. Dall’analisi del meccanismo applicativo dell’agevolazione emergono due elementi che le imprese non possono affatto trascurare.
Chiusura in perdita del bilancio 2025
La prima questione rilevante è costituita dal fatto che, se il bilancio del 2025 dovesse chiudersi in perdita, la contribuente non potrebbe ottenere alcun risparmio di imposta (e di conseguenza non recupererebbe il costo del proprio investimento), atteso che la riduzione di aliquota prevista dall’IRES premiale non può essere di certo applicata su di un reddito inesistente. Ebbene, nel caso di soggetti passivi operanti in regime di consolidato fiscale, la capienza reddituale del singolo, di per sé sola, non basta a garantire il risparmio di imposta atteso.
L’art. 1 c. 440 L. 207/2024, infatti, prevede, per le società e per gli enti che partecipano al consolidato nazionale o che abbiano esercitato l’opzione per il consolidato mondiale, che l’importo su cui spetta l’aliquota ridotta, previamente determinato da ciascun soggetto partecipante, debba essere utilizzato dalla società o dall’ente controllante, ai fini della liquidazione dell’imposta dovuta, fino a concorrenza del reddito eccedente le perdite computate in diminuzione. Detto in altre parole, il trasferimento delle perdite fiscali nei confronti della consolidante nella migliore delle ipotesi riduce, nella peggiore annulla, la base imponibile necessaria al fine di trarre un qualche beneficio dalla misura agevolativa. Evidentemente, a fronte di una spesa (ingente) necessaria per l’accesso all’agevolazione, i vantaggi fiscali raggiungibili sono del tutto aleatori.
In questo senso, la scelta di rendersi idonei alla misura rappresenta una sorta di scommessa, la quale non sempre sarà vincente, per i contribuenti, i quali, soprattutto nel caso dei gruppi operanti in consolidato fiscale, dovranno “fare bene i calcoli”.
Misura degli investimenti per accedere all’IRES premiale
La seconda questione rilevante, anch’essa suscettibile di determinare delle distorsioni applicative per i gruppi societari, è quella attinente alla misura degli investimenti che i soggetti passivi dovranno compiere per accedere al beneficio dell’IRES premiale, la quale, certamente, non è di poco conto. Se già per un’impresa che operi in autonomia tale quantificazione potrebbe rivelarsi ingente, per le holding che ricevono sistematicamente un utile da parte delle controllate tale misura aumenterà in maniera esponenziale, richiedendo da parte loro un investimento non sempre realmente proporzionato all’attività dalle stesse effettivamente svolta. Infatti, considerando che gli investimenti in beni strumentali dovrebbero essere, almeno di regola, in qualche modo proporzionati rispetto al risultato operativo dell’impresa, il parametro degli utili richiesto dalla legge può risentire sensibilmente di elementi del tutto estranei all’attività principale eventualmente svolta dalla holding, richiedendo il compimento di una spesa in conto capitale di misura non giustificabile alla luce del suo core business.
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