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Nelle scorse settimane si è spesso parlato, sugli organi di stampa e nei notiziari televisivi regionali, di una sorta di “assalto” alla nostra montagna da parte di sciatori e turisti in genere.
Promoturismo FVG e l’Assessore Regionale Bini hanno sciorinato orgogliosamente dati “da record” sull’affluenza lungo le piste (nonostante in vari Poli queste non fossero tutte aperte a causa della effettiva scarsità di neve. Cosa che non si spiegherebbe prendendo per vere le “abbondanti nevicate” proclamate, ad esempio, dai telegiornali regionali della RAI!), inoltre tutti gli albergatori e i ristoratori intervistati hanno parlato di “tutto esaurito” durante il periodo natalizio. Ora, a parte che è improbabile che potenziali nuovi sciatori e turisti possano venire attratti dalla notizia che le piste sono intasate (con il rischio di code ed incidenti) e gli alberghi ed i ristoranti pieni – il che fa capire come le dichiarazioni di Promoturismo e dell’Assessore Bini servano soprattutto a fare pubblicità a se medesimi – il problema è un altro.
I numeri, annunciati con toni trionfalistici, parlano, per il periodo dal 23 dicembre al 6 gennaio, di 250.597 “primi ingressi” nelle sei stazioni sciistiche (statistica che, però, non significa che i turisti siano stati in realtà così tanti, dato che viene moltiplicata anche la presenza di una singola persona per più giornate). Ci sarebbe stato, dunque, un incremento del 34% rispetto al dato registrato per lo stesso periodo della stagione 2023/24. Ora, se è difficile immaginare che, nel momento di maggior afflusso dei turisti (le vacanze natalizie) non si faccia il “pieno”, il dato si presta ad essere letto in un modo decisamente meno favorevole ed ottimistico e, cioè, riconoscendo che, in realtà, a causa delle temperature elevate e della mancanza di neve, lo scorso anno ci sia stata una notevole riduzione dei “primi ingressi” pari a circa il 25%,, un quarto rispetto alle attese!
Il silenzio sui costi e le ricadute sul territorio.
Alla “furbesca” lettura delle statistiche, che lascia intendere anche una notevole voce in entrata dalla vendita degli ski-pass, sarebbe necessario aggiungere quello che Promoturismo FVG e la Giunta Regionale non dicono, e cioè quali siano i costi di gestione (acqua pompata anche dal fondovalle ed energia utilizzata per produrre la neve artificiale; battitura delle piste e funzionamento degli impianti di risalita; costo del personale; costi per le inserzioni e le campagne pubblicitarie; etc. etc.). Oltre a questi dati, bisogna poi considerare in uscita i molti milioni investiti per interventi nei sei Poli invernali – nuove piste; nuovi impianti di risalita; attrezzature per l’innevamento artificiale; bacini di raccolta delle acque meteoriche da utilizzare per lo stesso scopo (come nel caso dei 2,5 milioni di euro annunciati per la realizzazione del nuovo “bacino Tamai” sullo Zoncolan), … – il tutto giustificato come necessario ad aumentare “l’attrattività della nostra montagna”.
Dalle dichiarazioni rilasciate e soprattutto dalle leggi approvate, pare di capire che la Giunta Fedriga – e l’Assessore al Turismo Bini in particolare – misurino i risultati delle loro politiche in termini di metri cubi di nuove residenze e strutture ricettive realizzate. Quanto questa logica, basata sulle colate di cemento, sia negativa e pericolosa per il territorio montano (oltre che in contrasto con l’idea di Albergo Diffuso proposta da Leo Zanier e Pietro Gremese) lo dimostra l’esempio di Sella Nevea: i condomini costruiti a partire dai primi anni Settanta non hanno certo invertito o rallentato il grave spopolamento dei paesi della Val Raccolana. Del resto, già ai tempi della Giunta Illy si era notato come le località beneficiate dagli investimenti in impianti sciistici della Regione (Tarvisio, Chiusaforte, Ravascletto, Forni di Sopra) continuavano a perdere abitanti anche in misura superiore alla media degli altri Comuni montani. E, salvo gli scienziati e le associazioni ambientaliste come la nostra, allora si parlava ancora relativamente poco di cambiamenti climatici!
La crisi climatica richiede una seria riflessione.
Si stanno avvicinando i “giorni della merla”, quelli che proverbialmente e statisticamente dovrebbero essere i più freddi dell’anno. Domenica 26 gennaio, pioveva a Sappada, ma anche a Forni di Sopra, a Ravascletto, sul Piancavallo, a Sella Nevea e a Tarvisio. Ieri lo stesso: a malga Varmost (1750 metri di altitudine) si registravano 3°C (positivi). Oggi, poi, diluvio: al Rifugio Gilberti c’erano 2,2°C e in cima al Lussari 2,6°C. Con un po’ di ironia (o con l’ottimismo che caratterizza i comunicati di Promoturismo FVG), si potrebbe dire che nei nostri Poli invernali c’è l’opportunità di praticare un’altra specialità: lo sci d’acqua! Più realisticamente si dovrebbe, invece, sottolineare che il personale degli impianti è stato comunque retribuito, che l’energia per far funzionare gli impianti di risalita è stata comunque sprecata, che gran parte di quello che è stato faticosamente impiegato per produrre la neve artificiale si è disciolto e disperso nel terreno.
Tutti possiamo certo augurarci che la stagione possa presto riprendersi e proseguire con condizioni di innevamento adeguate e con una soddisfacente affluenza di sciatori. La speranza però è una cosa e il riscaldamento globale un’altra! Il 19 gennaio, in occasione della “Giornata mondiale della Neve”, Legambiente ha ricordato che in Italia, a causa della crisi climatica, nevica sempre di meno ed il manto nevoso è sempre più effimero. Ad essere in forte sofferenza sono soprattutto le Alpi meridionali dove, secondo gli ultimi studi disponibili, la durata della coltre bianca nell’ultimo secolo si è accorciata in media di un mese, a causa di un aumento medio delle temperature di circa 2°C. Il nostro è così il paese alpino più dipendente dalla neve “programmata”, con il 90% di piste preparate con uno strato non naturale. Mentre nei corsi d’acqua si determinano per conseguenza forti squilibri, in alcune località c’è il rischio addirittura che l’acqua necessaria a produrre la neve venga sottratta alle utenze domestiche.
Un imprenditore privato avrebbe da tempo tratto le conclusioni e rinunciato a certi investimenti (come, ad esempio, è accaduto in alcune località della Carinzia), ma noi “siamo Friuli Venezia Giulia” e le piste e gli impianti, caso unico in Italia, sono gestiti da una società pubblica regionale. Qualcuno, però, invece di comportarsi come gli struzzi e nascondere la testa sotto la neve artificiale, dovrebbe almeno fornire i dati su quanto queste politiche complessivamente ci stiano costando, in modo che i cittadini si possano poi fare la giusta opinione.
Marco Lepre
Circolo Legambiente della Carnia, Val Canale, Canal del Ferro
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