L’avviso di garanzia a Meloni, e la crisi istituzionale italiana

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Alle cinque di sera, un’ora prima che iniziasse il Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni dà via social la notizia del giorno con un taglio tutto politico, come se il suo interlocutore fosse il leader di un partito avverso. Testuale: «Il procuratore della Repubblica Lo Voi, lo stesso del – diciamolo – fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona, mi ha appena inviato un avviso di garanzia per i reati di favoreggiamento e peculato in relazione al relazione alla vicenda del rimpatrio del cittadino libico Almasri; avviso di garanzia che è stato inviato anche ai ministri Nordio, Piantedosi e Mantovano».

Poi alza il livello dello scontro politico, spiegando che all’origine dell’indagine c’è la denuncia dell’avvocato «Luigi Li Gotti, ex politico di sinistra, molto vicino a Romano Prodi, conosciuto per aver difeso pentiti del calibro di Buscetta, Brusca e altri mafiosi». Negli ultimi tempi Prodi è sempre di più nel mirino della premier, anche con attacchi personali.

Siamo di fronte a una vera crisi istituzionale tra poteri dello Stato che richiederebbe, teoricamente, un intervento del capo dello Stato Sergio Mattarella, che è anche capo del Consiglio superiore della magistratura. Ma è anche uno scontro con la Corte penale internazionale, istituita dalla Conferenza diplomatica di Roma nel 1998: la presidente del Consiglio l’accusa di avere emesso il mandato di cattura del capo della polizia di Tripoli «dopo mesi di riflessione, curiosamente proprio quando questa persona stava per entrare in territorio italiano, dopo che aveva serenamente soggiornato per circa dodici giorni in altri tre Stati europei».

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Quindi per Meloni la tenaglia della magistratura italiana e internazionale si chiude, le stelle della sinistra antigovernativa si allineano. Come se ci fosse una regia, un complotto contro il governo. Come se l’unico bersaglio fosse la destra e non fossero mai stati colpiti anche esponenti dell’opposizione o comunque vicini alla sinistra. Poi prosciolti. È di questi giorni la richiesta di arresti domiciliari dell’architetto Stefano Boeri, storicamente vicino alla sinistra milanese.

La premier si sente assediata nel fortino di Palazzo Chigi dentro il quale, tra le altre cose, deve gestire il gran rifiuto della ministra del Turismo Daniela Santanchè. Due giorni fa c’è stata l’eclatante protesta dei magistrati durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario contro la riforma della giustizia firmata dal loro ex collega Carlo Nordio. Sembra essere ritornati ai giorni più bui del conflitto tra magistratura e Silvio Berlusconi, tanto che si risentono espressioni di allora. «Magistratura eversiva», era la sintesi del Cavaliere, ieri tirata fuori da Maurizio Gasparri. Ma oggi c’è una notevole differenza.

Meloni non ha in capo alcun conflitto di interessi ed è leader di un partito che ha sempre avuto una radice, diciamo, manettara, dal Msi passando per Alleanza nazionale. Adesso ha sposato il “credo” garantista di Berlusconi, ma pattina sul ghiaccio quando deve affrontare l’affare Santanchè. Poi si sentono le unghie sul vetro nella storia del rimpatrio del torturatore Almasri. Dietro c’è una “ragione di Stato”, la verità orrenda di un aguzzino libico utile all’Italia: apre e chiude i cancelli dei lager dove sono rinchiusi gli immigrati che attraversano il Sahel in attesa di imbarcarsi su barchini di fortuna. Almasri e la sua banda istituzionalizzata hanno in mano il rubinetto dell’immigrazione, che è un tema bollente in tutto l’Occidente.

Meloni non confessa questa verità e getta la colpa del rilascio sui magistrati europei. E questo mentre tenta di riattivare il centro identificazione in Albania finora rimasto vuoto a causa di una sentenza del tribunale di Roma. Entro domani, la Corte d’appello della Capitale dovrà convalidare o meno il trattenimento di quarantanove migranti che la premier ha spedito nel centro di Gjader. Non ha aspettato la decisione della Corte di giustizia europea che dovrà presto pronunciarsi sui Paesi considerati sicuri dove rimpatriare chi non ottiene l’asilo.

L’avviso di garanzia è il culmine di questo generale scontro politico-istituzionale. La premier accusa i magistrati romani di avere liberato il libico e che nessuna richiesta di trattenerlo è stata trasmessa al ministro della Giustizia. Così il governo ha acceso i motori del Falcon dei servizi italiani per rimpatriarlo: motivi di sicurezza, perché Almasri è stato considerato un tipo pericoloso.

Ora questo avviso di garanzia può anche essere surreale, ma lo è ancora di più non dire la brutale verità sul panico del governo ricattato dai signori delle prigioni libiche. Assumendosene la responsabilità fino in fondo. Poi è chiaro che è più facile ingaggiare una lotta con i magistrati e sostenere, come ha fatto ieri la premier, un concetto che ripete nei momenti più difficili. «Io non sono ricattabile, non mi faccio intimidire, è possibile che per questo sia invisa a chi non vuole che l’Italia cambi e diventi migliore, ma anche e soprattutto per questo intendo andare avanti per la mia strada a difesa degli italiani soprattutto quando è in gioco la sicurezza della nazione. A testa alta e senza paura». Invece c’è da avere paura di questi assalti all’arma bianca, di questo clima orrendo che non riguarda solo l’Italia.



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