La tregua, poi le elezioni in Ucraina: una trattativa «segreta» per incalzare Zelensky

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di
Francesco Battistini

Keith Kellog, incaricato del dossier guerra da Donald Trump, non ha dubbi. Russi e americani sembrano già d’accordo sul voto nel 2025

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Votare, perché no? «La maggior parte delle nazioni democratiche lo fa anche in tempo di guerra. Penso sia importante si voti». Ma pure in un’Ucraina mutilata e devastata, con sei milioni di profughi in Europa, tre milioni di sfollati interni, due milioni che vivono nei territori invasi dai russi, un milione che combatte al fronte? «Penso che sia sempre un bene per la democrazia. Questa è la bellezza d’una democrazia solida: hai più d’una persona potenzialmente candidata».

Il generale Keith Kellogg è solido d’esperienze e di certezze. Ha gestito i dopoguerra del Vietnam e dell’Iraq, ha vissuto al Pentagono i vuoti di potere dopo l’11 Settembre e l’assalto al Campidoglio del 2021: s’intende bene di violenza & democrazia. Incaricato del dossier guerra da Donald Trump, Kellogg non ha dubbi: se nei prossimi mesi s’arriva a una tregua coi russi, gli ucraini dovranno organizzare le elezioni presidenziali entro il 2025. E dire se vogliono che a negoziare una pace vera sia l’eroe della resistenza, il presidente Volodymyr Zelensky.





















































Trattare e votare. Ci sono tutte le condizioni per un cessate il fuoco, fa capire Trump. Pochi dettagli, ma alcune parolette — con Putin «ci stiamo già parlando» — che han fatto immaginare il decollo d’un negoziato. Di più: una trattativa diretta Mosca-Washington, che taglierebbe fuori Kiev. Tanto che Zelensky, fiutando l’aria, fin d’ora avverte: «Possono avere le loro relazioni, ma parlare dell’Ucraina senza l’Ucraina sarebbe molto pericoloso per tutti». E al tavolo, «a essere onesti, dovrebbe esserci anche una voce dell’Europa. Penso sarebbe giusto ed efficace. Come poi andrebbe a finire, non lo so». Il leader ucraino sogna venga schierato un contingente di peacemaker Ue, come proposto dalla Francia, pur rendendosi conto delle difficoltà: «Immaginatevi: chi lo comanderebbe? Chi lo comporrebbe? Che cosa farebbe, in caso d’attacco russo? Missili, sbarchi, attacchi dal mare, confini sfondati, offensive: come si comporterebbero gli europei? Quali sarebbero le regole d’ingaggio?». Temi ancora remoti.

Per far suonare la tromba della tregua, al momento, gli Usa sono pronti a pigiare vari tasti: aumentare o bloccare gli aiuti militari a Kiev, a seconda dell’atteggiamento di Putin; imporre o togliere sanzioni a Mosca su banche ed energia; riconoscere o meno le annessioni russe, congelando la linea di fuoco; concedere o no la neutralità (non il disarmo) degli ucraini, tenendoli fuori dalla Nato… Ma c’è un punto su cui Trump sembra voler accontentare il Cremlino: far passare Zelensky per le urne.

I russi lo vogliono mandar via, per giustificare la «denazificazione del regime di Kiev» (fu la scusa per iniziare la guerra), e s’attaccano al fatto che è scaduto dal 2024. Legge marziale varata nel ’22 impedisce di votare, ma per Mosca «è comunque delegittimato, la sua firma in calce a un trattato non avrebbe valore legale». Zelensky ha ancora un consenso al 52%, sostiene un sondaggio, ed è impensierito solo dall’ascesa del generale Valery Zaluzhny, molto popolare e perciò spedito dallo stesso «Ze» a far l’ambasciatore a Londra. Solo un voto popolare, una cacciata stile Churchill potrebbe escluderlo dai negoziati. «In questi tre anni — spiega da Kiev una fonte diplomatica del G-7 — americani e russi non hanno mai smesso di parlarsi, nemmeno nei momenti più drammatici. Finora lo facevano le intelligence. Adesso, siamo saliti a un livello superiore. Le posizioni sono ancora troppo distanti. Tranne forse su un punto che accomuna sia Putin, sia Trump: togliere di mezzo Zelensky».

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