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Urbino, 3 Feb  – Come noto, e come abbiamo più volte ricordato nei nostri articoli, la sentenza della Cassazione Penale, Sez. 4, n. 38914 del 25 settembre 2023, che ha confermato la responsabilità penale di un RLS in un caso di infortunio mortale, ha generato un intenso dibattito, spesso caratterizzato da opinioni divergenti sulla pronuncia della Cassazione.

 

Il dibattito ha generato però anche interessanti riflessioni e spunti come quelli su cui ci soffermiamo oggi e che ricaviamo da un contributo pubblicato sul numero 2/2023 di “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista online dell’Osservatorio Olympus dell’ Università degli Studi di Urbino.

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Il breve saggio, dal titolo “La spettacolarizzazione della sicurezza sul lavoro in un sistema che fatica a farsi comprendere” e a cura di Luciano Vella, avvocato giuslavorista in Milano, si sofferma sì sulla sentenza, ma propone anche alcune interessanti spunti di riflessione sul sistema prevenzionale.

 

Nel presentare il contributo ci soffermiamo, in particolare, sui seguenti temi:

 

La sentenza n. 38914, i profili di responsabilità e i polveroni

Il contributo indica che con la sentenza 38914 del 25 settembre 2023 la Cassazione ha accertato la responsabilità penale di uno degli imputati, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, “conseguente ad un incidente sul lavoro che determinava la morte di un dipendente della Società, deceduto giacché schiacciato da alcuni tubolari che gli rovinavano addosso”. E l’evento incidentale “si verificava mentre il dipendente esercitava una mansione che, da contratto, non gli spettava e per la quale non aveva svolto alcun percorso formativo”.

 

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La sentenza della Cassazione Penale non entra poi “nel merito di chi fosse il RLS o di quali condotte esattamente lo stesso abbia posto per contribuire alla causazione dell’evento” e viene ribadito un aspetto importante: “l’imputato, oltre ad essere RLS della Società, era parte del relativo Consiglio di Amministrazione, assumendo una specifica posizione di garanzia che, complice anche l’assidua presenza dello stesso sul luogo di lavoro nonché i ripetuti inviti rivolti all’imputato dall’RSPP al fine di introdurre sistemi prevenzionistici adeguati, hanno indotto i Giudici a pronunciare una sentenza di condanna e ciò a prescindere dal ruolo di RLS dallo stesso rivestito”. Elemento – continua l’autore – “di rilevante importanza al fine di poter apprezzare la condanna inferta all’ imputato”.

 

Ciò detto, si indica che “gli Ermellini fanno un passo, evidenziando come l’imputato «non abbia in alcun modo ottemperato ai compiti che gli erano stati attribuiti per legge […] dall’art. 50», con ciò evidenziandone i profili di responsabilità anche nella sua qualità di RLS”. E tale inciso “parrebbe portare con sé un profilo di innovazione considerato che la Corte di Cassazione pone in capo all’RLS quelli che sembrerebbero dei veri e propri obblighi (rectius, compiti) facendo rinvio a quanto sul punto previsto dall’art. 50 del d.lgs. n. 81/2008 che, invero, nulla dice a tal riguardo”.

A questo proposito si ricorda che l’RLS è stato da sempre “considerato una figura portatrice di veri e propri diritti e non di obblighi, da porre su di un piano paritetico rispetto a quelli spettanti alle rappresentanze sindacali, godendo delle medesime tutele riservate a quest’ultimi”. E la Cassazione con la sentenza citata “poco o nulla dice sul punto, non argomentando in modo compiuto le ragioni del proprio convincimento, lanciando nello stagno delle posizioni di garanzia un sasso (o meglio, un macigno) piuttosto ingombrante, dovendosi dunque domandare se sul RLS ricadano preponderanti obblighi di prevenzione”.

 

Rimandiamo alla lettura completa di quanto scritto dall’autore riguardo alla sentenza e segnaliamo che a suo parere “nessuna rivoluzione copernicana è stata realizzata con tale pronuncia, avendo la Cassazione espresso meramente (o quantomeno, ci si augura) un giudizio un po’ troppo affrettato che auspicabilmente non verrà seguito in futuro”.

Tuttavia, la sentenza rappresenta un utile pretesto per effettuare qualche riflessione “sul perché quando si parla di salute e sicurezza sul lavoro si tende a sollevare sempre gran polveroni, che inevitabilmente fanno notizia”.

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Un sistema normativo che fatica a farsi comprendere

L’autore si sofferma anche sui sistemi prevenzionistici, a più di 15 anni dall’approvazione del D.Lgs. n. 81/2008.

Possono i sistemi prevenzionistici immaginati dal legislatore “effettivamente fungere da scudo sia contro il verificarsi di eventi idonei ad attentare alla vita dei lavoratori che a tutela di quei soggetti preposti alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”?

Infatti, “nonostante un corpus normativo più che ridondante e una copiosa applicazione giurisprudenziale, non soltanto la prevenzione nel sistema nostrano risulta fallace, ma parrebbe non essere ancora una priorità nelle realtà imprenditoriali”.

 

A questo proposito l’autore riporta alcuni dati Inail, relativi al primo trimestre del 2022 che evidenziano un aumento degli infortuni sul lavoro rispetto al 2021 e segnala che “la cultura della sicurezza rimane ancora appannaggio di pochi”. E ciò “non può che essere addebitato anche alla natura di tale sistema, che fatica a farsi comprendere, fagocitata da una burocrazia che annebbia l’imprenditoria”. Ed invero – come indicato in un documento dell’Osservatorio Accredia (“ Investire nella sicurezza dei luoghi di lavoro”) – ‘se ormai molte imprese riconoscono che la sicurezza deve essere parte delle strategie aziendali, nella realtà ci si scontra con la difficoltà di mettere in pratica norme complesse e che impongono dei costi talvolta elevati […] Tutto ciò lascia pensare all’opportunità di stabilire strumenti e politiche che da un lato aiutino le imprese a non allontanarsi dal concetto di sicurezza, e che dall’atro lato le spingano ad investire in tal senso attraverso opportuni sgravi di costo».

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La spettacolarizzazione della sicurezza e la necessità di un ripensamento

Veniamo, infine, ad alcuni spunti di riflessione in conseguenza dell’articolato ragionamento proposto dall’autore del saggio che vi invitiamo a leggere integralmente.

 

Si indica che “non può non evidenziarsi come la macchina della sicurezza rappresenti nel sistema nostrano un mostro normativo che fatica a farsi capire e men che meno a farsi accettare. Tuttavia, si assiste ad un suo continuo protagonismo poiché l’inefficienza di cui è densa tale macchina fa (purtroppo) vittime reali e rappresenta occasione ghiotta per creare dibattito, insinuandosi nello sgomento di quanti si trovino a leggere di un disastro, sicuro terreno fertile per le più opprimenti indignazioni, più o meno giustificate o giustificabili”.

 

Tuttavia “la spettacolarizzazione delle tragedie a cui i media ci hanno abituato dovrebbe tuttavia portare a riflessioni maggiormente oculate, da parte del legislatore, sul come fare prevenzione in modo efficiente”.

 

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Ad esempio una maggiore, assoluta rilevanza “dovrebbe essere data al tema della formazione, introducendo sistemi virtuosi idonei a sensibilizzare i lavoratori tutti sull’importanza che assume il lavorare in sicurezza. In tal contesto, occorrerebbe dare maggiori spazi di manovra all’autonomia collettiva, funzionalmente a creare scudi endoaziendali utili a prevenire il verificarsi di eventi infausti”.

 

Sul punto il d.lgs. n. 81/2008, sempre con specifico riferimento alla figura dell’RLS, “prova già a fornire utili strumenti, conferendo all’autonomia collettiva” il compito di stabilire, ad esempio, le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, le modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico, le modalità di designazione o di elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, gli strumenti per l’espletamento delle funzioni, ….

Uno spazio di assoluta rilevanza – continua il saggio – che purtroppo, spesso “non trova il giusto terreno fertile in fase applicativa nelle aziende, perdendosi occasioni utili per l’investire in sicurezza”.

 

In tale contesto, pertanto, “ci si chiede se oggi, alla luce della normativa in vigore che vede nel d.lgs. n. 81/2008 la propria panacea, i datori di lavoro ed i lavoratori tutti possano effettivamente lavorare in sicurezza attraverso gli strumenti messi a disposizione dal legislatore e senza che l’attività imprenditoriale si trasformi in una macchina preposta più al controllo della sicurezza che non allo sviluppo (in senso lato) della ricchezza”.

 

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E ci si auspica, in conclusione, che con il tempo il legislatore, “spinto dal risalto mediatico delle tristi vicende di cui si è detto, possa intervenire per garantire migliori strumenti di tutela che siano utili ai lavoratori per lavorare fuori da quelle che sembrano sempre più delle trincee che non luoghi di crescita professionale e ai datori di lavoro per continuare a fare impresa senza sentirsi asfissiati dalla posizione di garanzia che, per loro natura, devono rivestire”.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:

Università di Urbino Carlo Bo, Osservatorio Olympus, Diritto della sicurezza sul lavoro, “La spettacolarizzazione della sicurezza sul lavoro in un sistema che fatica a farsi comprendere”, a cura di Luciano Vella, avvocato giuslavorista in Milano, Diritto della Sicurezza sul Lavoro (DSL) n. 2/2023.

 

 

Scarica la sentenza citata nell’articolo:

Corte di Cassazione Penale Sezione I – Sentenza n. 38914 del 25 settembre 2023 (u.p. 27 aprile 2023) – Pres. Di Salvo – Est. Dawan – PM Ceroni – Ric. (omissis). – Risponde il RLS, in concorso con il datore di lavoro, dell’infortunio di un lavoratore se ha omesso di promuovere l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori.

 



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