Compensazione del proprio credito con quello vantato dal fallito

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difficile da pignorare

 


N. R.G. 267/2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di PESCARA

Il Tribunale, nella persona del Giudice Monocratico dott. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

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per le aziende

 

SENTENZA N._36_2025_- N._R.G._00000267_2022 DEL_14_01_2025 PUBBLICATA_IL_15_01_2025

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 267/2022 tra: n. 27/2020 R.F. Tribunale di Pescara (C.F.: ), corrente in Pescara, alla INDIRIZZO in persona del Curatore Dott. con studio in Pescara, alla INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOMEC.F. ), presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Pescara, alla INDIRIZZO ammessa per il presente giudizio al Patrocinio a spese dello Stato con provvedimento del GD del 10/1/2022 ATTRICE con sede legale in Torino, INDIRIZZO e sede secondaria in Milano, INDIRIZZO cod.fisc. n. e partita IVA , iscritta all’Albo Banche al n. 5361 nonché presso il Registro delle Imprese – Ufficio di Torino al n. , capogruppo del rappresentata da con sede in Milano, INDIRIZZO capitale sociale € 600.000,00 i.v., cod.fisc. e numero iscrizione al Registro Imprese presso la Camera di Commercio Metropolitana di Milano – Monza – Brianza – Lodi iscritta al R.E.A., di Milano al n. NUMERO_DOCUMENTO, società esercente l’attività di recupero crediti ai C.F. sensi dell’art. 115 del TULPS per licenza rilasciata al legale rappresentante p.t. dalla Questura di Milano Ctg. 13/D -Div. P.A.S. n. 62/2018 di Reg. il 13 novembre 2018, in persona del procuratore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOMEc.f. ), elettivamente domiciliata presso il suo studio in Pescara, alla INDIRIZZO, RAGIONE_SOCIALE nonchè società unipersonale, con sede legale in Conegliano (31015 – TV), INDIRIZZO codice fiscale e numero di iscrizione nel Registro delle Imprese di Treviso- Belluno , iscritta nell’elenco delle società veicolo, tenuto ai sensi del provvedimento della Banca d’Italia del 7 giugno 2017 al numero 35749.1, rappresentata,da con sede in Milano, INDIRIZZO capitale sociale Euro 600.000,00 i.v. , codice fiscale e numero di iscrizione al registro delle Imprese presso la Camera di Commercio Metropolitana di Milano-Monza-Brianza-Lodi CODICE_FISCALE iscritta al R.E.A. di Milano al n. 2521466, società esercente l’attività di recupero crediti ai sensi dell’art. 115 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza per licenza rilasciata al legale rappresentante pro-tempore dalla Questura di Milano Ctg 13/D – Div. P.A.S. n. 54/2020 di Reg. il 10 dicembre 2020, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME c.f. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Pescara, INDIRIZZO INTERVENUTA EX ART. 111 C.P.C.

Oggetto: declaratoria inefficacia incasso della somma esistente presso il libretto di risparmio nominativo intestato alla fallita presso Banca ***, portante il n. NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO acceso ed intrattenuto presso la filale 40419 CAB 77051 di Silvi Marina (TE) Conclusioni C.F. C.F. Come precisate all’udienza di precisazione delle conclusioni del 9/11/2024, in cui la causa veniva trattenuta in decisione, con concessione del termine di 20 giorni per note conclusionali

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E

MOTIVI DELLA DECISIONE

Si discute della domanda avanzata dalla curatela del meglio idenitificata in epigrafe, la quale esponeva quanto segue.

Con ricorso del 11/10/2017, depositato in pari data, la proponeva istanza al Tribunale di Pescara per la ammissione al concordato preventivo.

In data 9/2/2018 la depositava proposta e piano.

In data 28/3/2019, in sede di comparizione innanzi il Tribunale, la rinunciava alla domanda di concordato.

Di conseguenza il Tribunale con provvedimento in pari data dichiarava la improcedibilità della domanda di concordato e, nel contempo, si riservava di provvedere sulle istanze di fallimento già pendenti.

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Con sentenza n. 27/2020 R.F. pubblicata in data 16/7/2020 il Tribunale di Pescara dichiarava il fallimento della ditta (C.F.: ), corrente in Pescara, alla INDIRIZZO nominando quale Curatore il Dott. Con atto del 4/11/2020 la Banca *** proponeva, tramite la delegata , istanza di ammissione al passivo per euro 521.602,33, in via chirografaria, così come meglio dettagliate in citazione.

In data 16/7/2020 il credito di Banca *** veniva ammesso conformemente alla sopra trascritta richiesta.

Il Curatore veniva a conoscenza della esistenza di un libretto di risparmio nominativo intestato alla fallita presso Banca ***, portante il n. NUMERO_DOCUMENTO acceso ed intrattenuto presso la filale 40419 77051 di Silvi Marina (TE), INDIRIZZO

sul quale risultava giacente un saldo contabile di euro 49.800,00 che veniva incamerato dalla Banca.

Dopo varie ed inutili richieste, solo in data 18/11/2021 Banca ***, sempre tramite la Codic delegata , rispondeva con una mail del seguente letterale tenore:

…facciamo seguito alla Sua per significare che l’importo giacente sul Libretto di Risparmio da Lei citato, in accordo con gli impegni contrattuali a suo tempo assunti dalla debitrice-fallita, è stato regolarmente escusso dalla Banca in data 11 novembre 2019 e portato a deconto della maggior creditoria.

Non riterremmo pertanto, allo stato, di dover retrocedere alcuna somma.

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Restiamo naturalmente a disposizione e porgiamo distinti saluti Sosteneva la curatela l’illegittimità del comportamento della Banca nell’aver del tutto appreso la somma in questione, in quanto, ammesso e non concesso che avesse potuto operare una compensazione con un suo credito, che comunque avrebbe avuto natura e titolo diverso, tale operazione è divenuta inammissibile in quanto con la istanza di ammissione al passivo nulla è stato portato a deconto ed il credito è stato interamente ammesso.

In sostanza, si è creata una preclusione endofallimentare che non consente più alla Banca di operare la compensazione (Cass. civ. n. 4097/2007) per cui sorge l’obbligo di restituzione della somma indebitamente percetta.

L’attrice richiamava la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 16508 del 2010, secondo cui nel momento in cui il creditore propone istanza di ammissione al passivo previa compensazione di un suo credito, e detta istanza viene accolta, si crea per il Curatore una preclusione in forza della quale il credito compensato non è più tangibile né potrà essere oggetto di eventuale revocatoria.

Di conseguenza, deve, a contrario, la stessa preclusione essere valida anche per il creditore che detto credito non ponga in compensazione e che successivamente lo incassi.

Se si ragionasse diversamente, la Banca verrebbe a godere di una indebita locupletazione, in quanto da un lato il suo credito nell’ammontare totale è stato ammesso al passivo e potrebbe essere pagato interamente, quando dall’altro una parte di detto credito è stata già pagata.

In conclusione, siamo di fronte ad un pagamento senza titolo, assimilabile ad un pagamento a titolo gratuito o ad un indebito oggettivo, per cui da ritenere inefficace nei confronti della massa dei creditori.

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Si costituiva la Banca convenuta, unitamente a quale interveniente volontaria, in forza di contratto di cessione di crediti (del 10 dicembre 2020, all. 92 ) che rilevavano quanto segue.

, nella qualità di creditrice della (e dei suoi garanti ha chiesto ed ottenuto dal Tribunale di Pescara, in data 2 settembre 2019, l’emissione del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 1358/2019 (R.G. 3583/2019) di € 491.642,14 oltre interessi e spese.

Più in particolare il credito riconosciuto in via monitoria dal Tribunale di Pescara in favore della Banca deriva dai seguenti quattro rapporti instaurati nel corso degli anni con la € 105.700,37 Saldo del c/c n. 3278 acceso il 31.07.14, € 106.586,90 Anticipo esportazioni concesso il 15.12.16, € 127.442,71 anticipo su fatture concesso il 18.02.16 e prorogato il 06.12.16 4 € 151.912,16, finanziamento n. NUMERO_DOCUMENTO stipulato il 28/04/2017 per il totale di € 491.642,14 oltre interessi.

Peraltro la aveva anche concesso alla Banca il diritto di pegno sulle somme depositate sul libretto deposito a risparmio nominativo n. NUMERO_DOCUMENTO.

Più precisamente la aveva concesso alla Banca pegno:

• sul saldo creditore di Euro 15.000,00 depositato sul libretto di deposito (n. 04108/0412/940) a garanzia del credito vantato dalla Banca in forza del “fido di cassa di Euro 15.000,00 a revoca” concesso sul rapporto di conto n. 3278 (v. intestazione del contratto di pegno all. 2);

• sul saldo creditore di Euro 35.000,00 depositato sul libretto di deposito (n. 04108/0412/940) a garanzia del credito vantato dalla Banca in forza del finanziamento n. NUMERO_DOCUMENTO (anche questo oggetto di decreto ingiuntivo) fino ad Euro 35.000,00 (v. in particolare il contratto di pegno del 25.09.14 e l’atto del 28.04.17 con cui il pegno è stato esteso al finanziamento n. NUMERO_DOCUMENTO L’art. 5 dei predetti contratti di pegno prevede a chiare lettere che “In caso di inadempimento delle obbligazioni garantite…la Banca, senza pregiudizio per qualsiasi altro suo diritto od azione, in qualsiasi momento e senza necessità di preavviso od altra formalità, ha diritto di utilizzare le somme costituite in pegno per capitale ed interessi, ad estinzione o decurtazione a suo giudizio di una o più delle obbligazioni garantite, dandone tempestiva comunicazione al costituente in pegno”. Part Per l’effetto, in data 11 novembre 2019 (e dunque a distanza di due mesi dall’emissione del decreto ingiuntivo), la Banca ha escusso l’intera somma depositata in pegno (Euro 49.800,00) sul libretto imputandola:

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(i) quanto ad Euro 49.613,70 a deconto della posizione debitoria di cui ai due rapporti ingiunti in accordo con quanto stabilito dai due contratti di pegno;

(ii) quanto ad Euro 186,30 ad imposte per la chiusura del libretto (tutto ciò emerge dalle annotazioni riportate sull’estratto conto del libretto che veniva prodotto sub 5) Il giorno seguente l’escussione del pegno (e dunque il 12 novembre 2019), la Banca ha anche provveduto a comunicare alla debitrice che la somma escussa (di complessivi Euro 49.613,70) era stata così imputata:

• Euro 14.881,11 a deconto dell’esposizione del conto corrente n. 3278 che era assistito dal fido di cassa garantito da pegno fino ad Euro 15.000,00;

• Euro 34.722,59 a deconto dell’esposizione del finanziamento n. NUMERO_DOCUMENTO garantito da pegno fino ad Euro 35.000,00.

Nelle more il decreto ingiuntivo era divenuto definitivamente esecutivo ex art. 647 cpc nei confronti della in quanto da questa non opposto, così come attestato dal decreto del Tribunale di Pescara del 9 gennaio 2020.

Con sentenza n. 27/2020 R.F. pubblicata in data 16/7/2020 il Tribunale di Pescara ha dichiarato il fallimento della La Banca con ricorso per insinuazione al passivo del 4 novembre 2020 (e dunque a distanza di quasi un anno dell’escussione dei pegni di cui si è detto) ha chiesto, per mero errore materiale, l’intero importo riconosciuto con il decreto ingiuntivo e dunque senza tenere conto dell’intervenuta decurtazione del predetto credito con le somme escusse in pegno per Euro 49.613,70.

La predetta somma è stata integralmente ammessa, in via chirografaria, nella predetta misura errata con il decreto di esecutività dello stato passivo del 21 gennaio 2021, stato passivo che non è stato opposto o impugnato Il credito della banca di cui oggi si discute è stato poi da questa ceduto.

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Alla stregua di questa esposizione, si assumeva che le contestazioni attoree e la connessa domanda di restituzione formulata avverso la debbano giudicarsi inammissibili per intervenuta carenza di legittimazione passiva della.

Nei confronti poi di interveniente nel giudizio, ex art. 111 c.p.c., quale titolare del credito in esame, tutte le avverse argomentazioni, produzioni e richieste, dovrebbero essere rigettate, con accoglimento, invece, delle domande riconvenzionali proposte per i motivi di seguito esposti.

Alla stregua di queste premesse veniva eccepito che lo strumento processuale oggi utilizzato dalla Curatela (citazione volta all’accertamento di un presunto diritto alla restituzione di indebito) è senz’altro errato e l’avversa domanda è del pari inammissibile.

Si è detto che nel caso che ci occupa con lo stato passivo (dichiarato esecutivo il 21 gennaio 2021) è stato dunque riconosciuto in favore della Banca un credito in misura errata, che non teneva conto della sua precedente decurtazione, derivante dall’escussione dei pegni dell’11 novembre 2019.

La Curatela, al più tardi in data 18 novembre 2021 (e per effetto della comunicazione della Banca), ha preso compiuta conoscenza del fatto che con lo stato passivo era stato riconosciuto in favore della Banca un credito in misura errata.

Il fatto che, alla data del 18 novembre 2021, fossero oramai decorsi i termini per l’opposizione ai sensi dell’art. 98 L.F. (30 giorni dal decreto di esecutività dello stato passivo), non esauriva, tuttavia, i rimedi a disposizione della Curatela.

La Curatela infatti, nei trenta giorni successivi alla scoperta del libretto e dell’intervenuta escussione da parte della Banca delle somme ivi depositate a decurtazione del credito ingiunto e insinuato (e dunque al più tardi entro il 18 dicembre 2021), avrebbe dovuto promuovere giudizio di revocazione dello stato passivo, ai sensi del quarto comma dell’art. 98 L.F. Infatti il rimedio straordinario della revocazione fallimentare è -o meglio era- l’unico rimedio adottabile quando si assuma che il provvedimento di accoglimento di un credito è stato determinato da falsità, dolo, o, come nel caso che ci occupa, da errore essenziale di fatto ovvero dalla mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile (per l’appunto la comunicazione con cui la Banca ha riconosciuto di aver escusso in data 11 novembre 2019 la somma costituita in pegno di Euro 49.800,00). L’asserita preclusione endofallimentare, quindi, ben poteva essere superata proponendo la domanda di revocazione;

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e l’avere lasciato decorrere il relativo termine non consente alla Curatela di aggirare la relativa decadenza, e quindi il definitivo giudicato, chiedendo per le vie ordinarie la restituzione di quella stessa somma.

L’avversa domanda è dunque inammissibile anche considerando il consolidato orientamento della Corte Suprema (ex multis Cass. Civ. 24156/18) che ha precisato che:

“L’accertamento di un credito nei confronti del fallimento è devoluta alla competenza esclusiva del giudice delegato ex artt. 52 e 93 l. fall. con la conseguenza che, ove la relativa azione sia proposta nel giudizio ordinario di cognizione, deve esserne dichiarata d’ufficio, in ogni stato e grado, anche nel giudizio di cassazione, l’inammissibilità o l’improcedibilità, a seconda che il fallimento sia stato dichiarato prima della proposizione della domanda o nel corso del giudizio, trattandosi di una questione “litis ingressuspedientes”. Ed infatti, per principio generale, l’accertamento di un credito nei confronti del fallimento è devoluta alla competenza esclusiva del giudice delegato ex artt. 52 e 93 l. fall..

Ciò vale anche nella specie poiché, di fatto, attraverso l’azione esperita la Curatela tende unicamente a accertare la decurtazione del credito ingiunto e poi, definitivamente ammesso al passivo, per effetto dell’intervenuta escussione dei pegni.

In altri termini non si discute di un credito della Banca e di un controcredito della Curatela ma si tratta di un unico credito (quello della Banca) per il quale non si è tenuto conto del suo parziale pagamento.

Infatti la Banca, a differenza di quanto ex adverso dedotto, ha incassato le somme costituite in pegno in epoca addirittura antecedente alla dichiarazione di fallimento, e quindi ben prima della ammissione del credito allo stato passivo.

Ed a conferma del fatto che si è trattato di un mero errore si allegava l’atto di precetto (notificato in data 7 dicembre 2021 e dunque in epoca anteriore alla ricezione della odierna citazione della Curatela) con cui la Banca ha avviato l’esecuzione in forza del decreto ingiuntivo e nei confronti degli altri soggetti ingiunti coobbligati in solido con la fallita decurtando dal dovuto la somma a suo tempo incamerata.

La Curatela, dopo aver preso atto dell’intervenuta escussione al più tardi con la comunicazione del 18 novembre 2021, avrebbe dovuto avviare, nei trenta giorni successivi “alla scoperta del fatto o del documento” (v. primo comma dell’art. 99 L.F.), giudizio per la revocazione dello stato passivo per far accertare che il credito era stato insinuato in misura errata:

in sostanza, essendo decaduta dalla relativa facoltà, tenta oggi di superare l’intervenuta preclusione con una domanda di restituzione di indebito, assumendo che ci si troverebbe “di fronte ad un pagamento senza titolo, assimilabile ad un pagamento a titolo gratuito o ad un indebito oggettivo, per cui da ritenere inefficace nei confronti della massa dei creditori con il conseguente obbligo per la Banca di restituire l’importo illegittimamente appreso.

” Ebbene, per quanto detto, il pagamento non era affatto privo di titolo una volta che la Banca, all’epoca dell’escussione, era titolare di un diritto di credito (accertato con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e non opposto) garantito proprio e specificamente dal pegno poi escusso.

La Banca si è dunque limitata, in accordo con quanto convenuto all’art. 5 dei predetti contratti di pegno, ad escutere le garanzie in suo favore.

Non è dunque in alcun modo configurabile un indebito oggettivo né un pagamento senza titolo ovvero a titolo gratuito.

In conclusione l’escussione della Banca è perfettamente legittima e rispettosa degli impegni contrattuali;

dunque, quandanche l’avversa domanda di restituzione di indebito venisse giudicata ammissibile (nonostante la mancata impugnazione per revocazione), non vi sarebbe alcuno spazio per il suo accoglimento.

La domanda avversa di restituzione dunque dovrebbe essere rigettata in quanto infondata.

La Banca ha ulteriormente eccepito che la (comunque inammissibile ed infondata) domanda di restituzione oggi ex adverso formulata non sarebbe allo stato nemmeno proponibile per mancanza dei suoi presupposti.

La Curatela infatti assume che, per effetto della situazione venutasi a creare, la Banca “verrebbe a godere di una indebita locupletazione” in ragione del fatto che il credito ammesso è già stato in parte pagato (per effetto dell’escussione del pegno).

Tuttavia sul punto viene osservato che il credito della Banca è stato ammesso in via chirografaria e non è stato finora pagato, nemmeno in parte, dagli organi della procedura.

Difetta dunque il presupposto dell’avversa domanda, che potrebbe concretizzarsi solo nella (inverosimile) ipotesi in cui l’intero credito (chirografo) della Banca venga soddisfatto con il riparto finale, circostanza che di per sé sola rende allo stato inammissibile l’avversa domanda.

Ebbene per il caso in cui, in sede di riparto, vi siano fondi che consentano agli organi della procedura di soddisfare, in parte o per intero, il credito ammesso dalla Banca, la e la dichiarano espressamente di accettare che l’importo del credito accertato con lo stato passivo venga decurtato di un importo pari alla somma già escussa.

Dunque non vi è e non vi potrebbe essere, nemmeno in via potenziale, l’ipotesi di una indebita locupletazione da parte della Banca.

Ed a conferma di tanto, e della buona fede della Banca, si è allegato atto di precetto (notificato in data antecedente alla citazione della Curatela) con cui la Banca avviava l’esecuzione in forza del decreto ingiuntivo nei confronti degli altri soggetti ingiunti con il decreto ingiuntivo di cui si discute, decurtando dal dovuto la somma a suo tempo incamerata.

In via di estremo subordine si eccepiva che la richiesta di restituzione di indebito andrà comunque rigettata per l’intervenuta compensazione – che nei limiti appena indicati viene qui formalmente eccepita dalle odierne deducenti – del maggior credito della Banca riconosciuto con il decreto ingiuntivo.

Ed infatti, a differenza di quanto sostenuto da controparte, la compensazione da parte della Banca sarebbe comunque ammissibile ai sensi dell’art. dell’art. 56 L.F. “I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento.

” Ricorrono infatti i presupposti indicati dalla norma, presupposti che nel caso di specie nemmeno sarebbero necessari in quanto ci troviamo di fronte ad un pegno irregolare e dunque il credito della Banca si è estinto in virtù di un’operazione meramente contabile che resta fuori dall’ambito di operatività della compensazione (v. sul punto Cass. Civ. n. 8/2456).

Né l’omesso riferimento da parte della Banca in sede di insinuazione dell’intervenuta escussione potrebbe limitare il suo diritto alla compensazione.

Ed infatti per pacifica giurisprudenza della Corte il creditore-debitore convenuto in giudizio per il recupero del credito del fallito può opporre in compensazione – nella perdurante competenza del Giudice adito e senza che debba operare il rito speciale dell’accertamento del passivo – il credito vantato verso il fallito medesimo, anche qualora di tale credito non abbia preventivamente chiesto l’ammissione al passivo, purché l’eccezione riconvenzionale, come quella odierna, abbia il solo fine di contrastare la pretesa del Curatore e non di partecipare al concorso (ex multis Cass. Civ. n. 12/64, Cass. Civ. n. 287/09). Pertanto chiedevano rigettarsi tutte le domande attrici siccome inammissibili ed infondate in fatto ed in diritto, In via subordinata:

2) nella denegata ipotesi di accertamento di un qualsiasi credito dell’attrice, dichiararsi la compensazione di detto credito con quello accertato con il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Pescara n. 1358/2019 e con l’ammissione allo stato passivo (non opposto) in favore della e poi ceduto alla 3) in ogni caso condannare l’attrice alle spese, competenze ed onorari del presente giudizio, oltre al rimborso forfetario delle spese generali, iva e cassa di previdenza come per legge.

Vi è da dire che la causa, dopo il deposito delle memorie di cui all’art 183 cpc, era rimessa a pc venendo definitivamente trattenuta in decisione all’udienza del 6/11/2024.

La causa, di natura strettamente documentale, va definita tenendo presente quanto segue.

Occorre anzitutto considerare che la parte attrice ha invocato dichiarazione di inefficacia dell’avvenuto incasso da parte della convenuta della somma esistente presso il libretto di risparmio nominativo NUMERO_DOCUMENTO acceso ed intrattenuto presso la filale 40419 CAB 77051 di Silvi Marina (TE), INDIRIZZO.

nella indicata somma di Euro 49.800,00.

La domanda fonda sul presupposto che la Banca verrebbe a godere di una indebita locupletazione, in quanto da un lato il suo credito nell’ammontare totale è stato ammesso al passivo e potrebbe essere pagato interamente, quando dall’altro una parte di detto credito è stata già pagata.

In conclusione, saremmo di fronte ad un pagamento senza titolo, assimilabile ad un pagamento a titolo gratuito o ad un indebito oggettivo, per cui da ritenere inefficace nei confronti della massa dei creditori.

Ebbene, si deve rilevate che le circostanze di fatto poste a base della domanda sono documentali ed incontestate.

Ed infatti la stessa Banca conviene con la parte attrice circa il fatto che la locupletazione sarebbe illegittima ammettendo l’errore.

Le ragioni attoree avrebbero dovute essere congruamente proposte con lo strumento di cui all’art 98 legge fallimentare prevedente, in particolare l’impugnazione dello stato passivo per revocazione.

Infatti Con la revocazione il curatore, il creditore o il titolare di diritti su beni mobili o immobili, decorsi i termini per la proposizione della opposizione o della impugnazione, possono chiedere che il provvedimento di accoglimento o di rigetto vengano revocati se si scopre che essi sono stati determinati da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile.

La revocazione è proposta nei confronti del creditore concorrente, la cui domanda è stata accolta, ovvero nei confronti del curatore quando la domanda è stata respinta.

Nel primo caso, al procedimento partecipa il curatore.

E’ inoltre dallo stesso articolo previsto che gli errori materiali contenuti nello stato passivo sono corretti con decreto del giudice delegato su istanza del creditore o del curatore, sentito il curatore o la parte interessata.

Tanto premesso, risulterebbe fondato l’assunto dell’applicabilità del rimedio della revocazione fallimentare.

La parte attrice ha tuttavia insistito sul fatto che con la presente azione non abbia voluto modificare lo stato passivo, bensì ottenere una declaratoria di inefficacia dell’incasso e la restituzione della somma incassata due volte, seppur virtualmente (la seconda con la ammissione al passivo non più tangibile).

La prospettazione della curatela non appare corretta dal momento che la problematica del caso, diversamente da quanto dalla parte attrice rappresentato non è data da un indebito incasso.

Neppure risulta conferente la problematica di diritto del giudicato endofallimentare ( ved Cassazione, ordinanza n. 8010/2022 secondo cui « l’ammissione di un credito allo stato passivo non fa stato fra le parti fuori dal fallimento, poiché il c.d. giudicato endofallimentare, ai sensi dell’art. 96, comma 6, l. fall., copre solo la statuizione di rigetto o di accoglimento della domanda di ammissione, precludendone il riesame»).

In ogni caso risulta dirimente rilevare che la Banca e la interveniente, hanno dichiarato di accettare, per il caso in cui, in sede di riparto, vi siano fondi che consentano agli organi della procedura di soddisfare, in parte o per intero, l’importo del credito accertato con lo stato passivo che questo venga decurtato di un importo pari alla somma già escussa.

Questa espressa rinuncia a far valere il maggior credito riconosciuto nello stato passivo è atta a determinare la cessazione della materia del contendere in quanto idonea a far venire meno la pretesa sostanziale di parte attrice.

Quanto alle spese di giudizio, attesa la peculiarità della vicenda, pur considerati i dubbi profili di ammissibilità della domanda, va anche tenuto conto del fondamento obiettivo del timore di parte attrice di una ingiustificata locupletazione della ragioni creditorie di controparte , per cui s’impone la compensazione delle stesse.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

dichiara cessata la materia del contendere per le ragioni di cui in parte motiva e compensa le spese.

Pescara, 14 gennaio 2025

Il Giudice dott. NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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