«Imprese penalizzate dallo scontro tra poteri dello Stato: è a rischio l’intero sistema economico»

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C’è una guerra «sotterranea» tra la magistratura e il potere politico, che colpisce meno l’opinione pubblica rispetto a temi eclatanti come quello dei rimpatri ma che provoca danni ingenti. Una battaglia che mette a rischio il sistema delle imprese, sulla base di una «miopia anacronistica» che porta parte della magistratura a «smontare pezzo per pezzo la legge Fornero e il Jobs Act, quasi a voler tornare all’applicazione della legge 300 del 1970, che introdusse il concetto di reintegrazione ma in un contesto economico completamente diverso da quello attuale». Uno scontro che, se non arginato, «potrebbe avere conseguenze devastanti per la nostra economia». È l’allarme lanciato dall’avvocato Francesco Antonio La Badessa, partner dello Studio Ichino Brugnatelli e Associati di Milano e specializzato da oltre trent’anni in Diritto del lavoro, con una specializzazione nella gestione delle problematiche d’impresa connesse con la gestione del personale e delle relazioni industriali.

L’avvocato Francesco Antonio La Badessa, partner dello Studio Ichino Brugnatelli e Associati di Milano e specializzato da oltre trent’anni in Diritto del lavoro

Lo scontro. L’analisi di La Badessa parte dal confronto molto aspro tra il potere esecutivo e quello giudiziario (evidenziato ulteriormente dalla recente proclamazione dello sciopero generale indetto dall’ANM per contrastare la riforma che porterebbe alla separazione delle carriere giudiziarie) nel caso di temi molto sentiti dall’opinione pubblica. Il più eclatante riguarda la mail scritta da Marco Patarnello, magistrato di Sorveglianza di Roma, secondo cui «indubbiamente l’attacco alla giurisdizione non è mai stato così forte, forse neppure ai tempi di Berlusconi»: il riferimento è alla creazione di un centro di accoglienza migranti in Albania, che la Sezione per i diritti della persona e per l’immigrazione del tribunale di Roma ha subito svuotato non convalidando i decreti di trattenimento. «È in atto uno scontro che nasce da esigenze di natura ideologica e che hanno risonanza soprattutto quando si entra nel diritto penale, con la magistratura che tenta di opporsi per motivi anche politici ai provvedimenti legislativi di questo potere esecutivo – sintetizza La Badessa -. Ma ci sono anche guerre che restano sottotraccia, portate avanti dalla magistratura civile, che incidono fortemente sul funzionamento della giustizia e, di riflesso, sul nostro sistema economico». L’avvocato fa riferimento in particolare a due recenti sentenze emesse a Ravenna e a Bergamo che, «se i casi fossero stati esaminati a giudici invertiti, le pronunzie probabilmente avrebbero avuto segno opposto». Nella sentenza della Sezione Lavoro del Tribunale di Ravenna (la 391 del 7 novembre 2024) si afferma l’inedito principio di diritto per cui l’attività mobbizzante può essere attuata anche per via processuale, nel caso in cui il datore di lavoro neghi strenuamente l’evidenza di un ambiente di lavoro nocivo e stressogeno. Il punto innovativo della sentenza riguarda l’applicazione dell’art. 96, comma 3 e 4 c.p.c., che prevede la responsabilità processuale aggravata. Il giudice oltre a disporre la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro ha altresì condannato il datore di lavoro per lite temeraria poiché, nonostante la mole di prove documentali e testimonianze a favore della ricorrente, si è difeso in giudizio, proponendo difese a dire del giudice inconsistenti. «Si arriva al paradosso, secondo cui all’azienda deve persino essere negato il diritto alla difesa», commenta l’avvocato. Il caso di Bergamo è quasi di segno opposto: in questo caso, seguito personalmente da La Badessa, un manager di un’azienda (accusato di aver violato il patto di non concorrenza) è stato condannato alla restituzione di tutti gli importi dovuti per il patto e il giudice ha aumentato il valore della penale pattuita tra le parti con un’ulteriore somma di ingente valore rispetto alla condanna, già molto pesante. «Se avessi assistito il dirigente bergamasco a Ravenna e la società a Bergamo, probabilmente avrei ottenuto una sanzione pesantissima per l’azienda nel primo caso e un provvedimento fortemente risarcitorio in favore del dirigente nel secondo», sostiene l’avvocato.

Il contesto e le conseguenze per l’economia. Guardando all’azione di una parte della magistratura negli ultimi anni, secondo La Badessa «soprattutto dal 2015, ma comunque dalla riforma conosciuta come “Legge Fornero”, è iniziata una progressiva opera di contrasto tra i poteri dello Stato. Nei primi anni, quando erano protagonisti la Fornero e Berlusconi, la magistratura si contrapponeva al potere non solo esecutivo ma anche legislativo e ha smontato tutte le leggi che dal 2015 hanno connotato il mondo del lavoro; ora, la contrapposizione è soprattutto ideologica e vede il potere giudiziario come tutore di ideologie che pensa siano messe in pericolo da un governo di destra». Alla base di alcune sentenze ci sono anche leggi che «potevano essere perfezionate: con la Fornero prima e il Jobs act poi si è cercato di unire l’anzianità di servizio all’elemento risarcitorio, ma la Corte ha affermato che i principi non potevano essere così schematici, ci sono disfunzioni tecniche». Ma questo, secondo l’avvocato, non toglie una certa preoccupazione per l’azione di una parte della magistratura che, «perlomeno nel contesto nel quale opero, appare orientata a scardinare tutto quello che è stato legiferato sulla base dell’evoluzione del contesto socio-economico italiano e sta cercando di tornare all’applicazione della legge 300 del 1970, che introdusse la reintegrazione, in un contesto in cui l’economia italiana si è evoluta verso un modello di maggior flessibilità, soprattutto tra le risorse giovani». Oggi non ci sono più i grandi poli industriali degli anni Settanta, che potevano sostenere il peso di cause anche importanti, con il sistema produttivo parcellizzato in aziende di medie e piccole dimensioni che non hanno la forza per sostenere, anche economicamente, battaglie legali che proseguono per anni e che potenzialmente possono portare a conseguenze economiche per molte realtà insostenibili. «Tornare a regole che guardano a un passato economico che non c’è più, con sanzioni economiche pesanti per le aziende, rischia di mettere in crisi un comparto, portando di fatto anche a creare le basi per sempre minori investimenti – puntualizza La Badessa -. Si tratta di una miopia anacronistica da parte di una importante componente della Giustizia giuslavoristica, che opera certamente secondo coscienza, fondando talvolta i propri giudizi su basi troppo teoriche e slegate dal contesto reale oltre che su una base ideologica spesso acriticamente contrapposta e non funzionale alla piena comprensione delle reali esigenze di chi fa impresa: le regole introdotte negli ultimi anni si sposavano con le attuali esigenze delle PMI italiane, il ritorno al passato può avere conseguenze devastanti, che scoraggerebbero, sotto altro profilo anche gli investitori stranieri che guardano ai nostri mercati. In questo scenario – va riconosciuto di contro – che neanche la Politica è scevra da responsabilità non riuscendo a proporre soluzioni di ampio respiro che aiutino le imprese anche in contesti quale quello fiscale e previdenziale che di certo al momento non sono utili a favorire l’economia privata ma prevalentemente a sostenere l’incedere del debito pubblico».

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