Malgrado a San Calogero si respirasse aria di elezioni, pare invece che la data delle prossime consultazioni elettorali è slittata a primavera 2026 per effetto della proroga che nel 2020 consentì all’allora sindaco Brosio di traghettare verso le elezioni con un rinvio di circa 4 mesi. Nel frattempo l’amministrazione Maruca ha preso atto della chiusura del dissesto finanziario dichiarato nel 2017, per effetto della notifica della sentenza con cui veniva definita la vertenza “Natura”, con il comune condannato a pagare circa 3 milioni di euro.
L’amministrazione Brosio nel 2017 dichiarò il dissesto finanziario al fine di evitare pignoramenti dei creditori che avrebbero determinato gravi danni e disservizi. Oggi, dopo 7 anni di tariffe al massimo, finalmente nella seduta del 27 dicembre il comune ha preso atto della relazione dell’OSL (commissario Curciarello) che ha informato delle tantissime transazioni portate a termine, con eliminazione di tanti crediti al 50% della sorte capitale. Il commissario ha poi informato dell’esistenza di un “tesoretto”, pari a circa 2 milioni e 200 mila euro che, su sua espressa indicazione, dovranno coprire debiti ancora esistenti e consentire l’estinzione di tanti altri mutui, nel solco di quanto aveva già intrapreso l’amministrazione Brosio che, fin dall’inizio, aveva estinto in forma anticipata tante pendenze risalenti negli anni. Da registrare la presenza del solo capogruppo Calabria tra le fila della minoranza che, al momento del voto, si è però astenuto.
Tuttavia, malgrado l’uscita dal dissesto, una nuova spada di Damocle si profila all’orizzonte in quanto, in una recente seduta consiliare, la maggioranza ha deliberato la convalida ai sensi dell’art. 21 nonies co. 2 della legge 241/90 delle determinazioni dell’affidamento del servizio di riscossione. Pare infatti che negli ultimi tempi una grande mole di cartelle esattoriali sia stata notificata ai cittadini sancalogeresi, spesso seminando il panico per l’esoso ammontare per via degli interessi e delle sanzioni lievitati a causa del tempo trascorso, con dubbi sulla loro regolarità. Le cartelle hanno colpito tantissimi nuclei familiari a cui, a seguito della richiesta di informazioni, è stato risposto di “presentare ricorso tramite avvocato”, così suscitando l’ira di chi si ritiene vittima di errori e soprusi.
La minoranza ha fatto presente che quanto riportato dalla norma, al contrario di quanto deliberato, pare non dia spazio a sanatorie visto “…che i tempi ragionevoli richiamati dalla stessa norma per sanare una procedura viziata da errore procedimentale non possano superare i 12 mesi” e quindi i ricorsi sarebbero accolti per la mancanza della delibera di consiglio, unico organo competente che avrebbe dovuto autorizzare il responsabile dell’area tributi a stipulare la famosa convenzione con la ditta esterna (Area). Le cartelle inviate prima di tale deliberazione, quindi, sarebbero illegittime in quanto la procedura attuata dal Responsabile dell’area tributi è carente dell’atto autorizzativo.
Se così fosse un nuovo dissesto si profilerebbe all’orizzonte per la illegittimità delle poste attive che influirebbero anche sui nuovi mutui contratti dall’attuale amministrazione a copertura delle sue spese, che “non sono giustificate dai servizi oggi offerti perché carenti sotto ogni punto di vista, in primis strade, pulizia, verde pubblico, acqua, ecc”.
Sul punto il consigliere Varone ha tenuto a ribadire “occorre pagare i tributi ma non è moralmente corretto aver delegato la riscossione nei confronti dei cittadini ad una società esterna che ha tutto l’interesse ad aumentare in modo spropositato le somme per ricevere maggiori compensi”, ponendo l’accento su una domanda: “perché il comune non rottama le cartelle senza pretesa di sanzioni e interessi visto che nel 2023 non ha deliberato di non aderire alla rottamazione?”, argomento per cui Varone ha preannunciato deposito di mozione.
Le vicende tributarie sono state precedute da altre sedute animate dalla accusa di Varone nei confronti della maggioranza per lo stravolgimento delle regole democratiche. La vexata questio riguarda la conduzione di alcune sedute di consiglio, a dire dallo stesso Varone, “discutibili” per via della mancata verbalizzazione delle sue dichiarazioni tese a censurare il consigliere Castagna al momento del suo rientro nel ruolo di delegato al bilancio, perché lo stesso “si autoincensava di moralità malgrado avesse usufruito di rimborsi per svariate migliaia di euro”. Varone contestava le dichiarazioni in quanto il consigliere, già quando era assessore, aveva usufruito di rimborsi a favore del suo datore di lavoro che gli garantivano di non recarsi nella sua sede lavorativa, prestando “servizio” presso il comune e si augurava che la nuova carica non generasse ulteriori spese.
Tuttavia tali asserzioni non venivano riportate a verbale. Varone, pertanto, redigeva apposito documento da allegare alla seduta successiva. Inspiegabilmente, durante tale seduta, piuttosto che acquisire il documento come da Statuto, il consiglio votava contro il deposito documentale, con il consigliere di minoranza che accusava la maggioranza di antidemocraticità e definendone i componenti degli “struzzi”, perché si nascondevano dietro un voto palesemente ingiusto, che violentava le regole democratiche.
Ovvio che non poteva finire così, quindi alla successiva seduta Varone, richiamando norme regolamentarie e statutarie, si è visto costretto a dettare parola per parola il proprio intervento “neanche fossimo a scuola elementare”. Non si conoscono bene i dettagli della spinosa vicenda, ma pare ovvio che censurare una dichiarazione di un consigliere di minoranza, ponendo addirittura ai voti quanto dallo stesso tentato di far verbalizzare, equivale a mettere un bavaglio al dissenso come nelle peggiori dittature.
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