Come rendere i pm responsabili

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Indagine contro Giovanni Toti e sue dimissioni forzose, conclusione del processo a carico di Matteo Salvini, informazione di garanzia per premier e esponenti di primo piano del governo:in soli sette mesi collezioniamo tre eclatanti casi di invasioni di campo da parte del potere giudiziario (segnatamente, della parte più acuminata, cioè i pubblici ministeri) nei confronti di quello politico. La separazione delle carriere della magistratura è la soluzione prospettata da parte dell’esecutivo in carica; i vincitori del relativo concorso dovranno scegliere se fare i pm – cioè indagare e poi sostenere l’accusa nel processo – oppure i giudici (preclusi i passaggi da una carriera all’altra); non più un unico organo di autogoverno (il Consiglio superiore della magistratura) bensì due, per le rispettive categorie di magistrati; il potere disciplinare affidato a un’alta corte indipendente. Uno sguardo sui sistemi giudiziari delle democrazie evolute assegna all’Italia il ben poco edificante primato delle anomalie; siamo infatti l’unico paese in cui chi inquisisce e chiede le condanne coabita, nello stesso ordine, con colui che giudica. Ancora, è tutta nostrana la stortura di un ufficio non gerarchizzato del magistrato che rappresenta l’accusa. Il pm, come conosciuto nell’Europa continentale, nasce in Francia e la sua struttura è piramidale, collocata sotto l’autorità del ministro della giustizia. In Germania chi esercita l’accusa ha uno stato giuridico diverso dal giudice; è organizzato in una duplice articolazione, con sottoposizione al potere esecutivo analoga a quella francese: stato federale Länder sono le autorità alle quali questo funzionario risponde (e la sua carriera dipende dal ministero). In Spagna (e pure in Portogallo) i pm hanno carriere separate dai giudici; sono organizzati in una scala al cui vertice si trova il procuratore generale dello Stato, nominato dal governo. In Inghilterra la pubblica accusa è demandata a una pluralità di organismi accomunati dalla gerarchia: rispondono all’esecutivo. Insomma, la riforma all’esame del nostro parlamento ci allinea, grosso modo, ai paesi evoluti. Chiarito ciò, la domanda è: basterà la separazione delle carriere ad evitare il ripetersi di iniziative di impropria matrice politica da parte dei pm? Non c’è da essere ottimisti. In primo luogo, il Csm per i pm rischia di fare rientrare dalla finestra ciò che è stato fatto uscire dalla porta; e quel Consiglio superiore si chiuderà ancora più a riccio di quanto già faccia l’attuale (e unico). In secondo luogo, la riforma in gestazione non ha rimosso l’obbligatorietà dell’azione penale che, nella prassi delle indagini, è svilita a insostenibile menzogna; è il pubblico ministero che decide quali reati perseguire e chi indagare, scegliendo tempi e modalità. Francia, Belgio, Svizzera, Danimarca, parzialmente Germania, Inghilterra: in questi paesi vige il principio della discrezionalità dell’azione penale. E discrezionalità fa rima con responsabilità, cioè gli accusatori di quei paesi (magistrati o funzionari che siano) rispondono del loro (grande)potere a un’autorità la quale, seppure con soluzioni diverse, o è politica o a quest’ultima direttamente riporta. Per non parlare degli Usa, dove il concetto di accusa pubblicaè plasticamente declinato, in quanto il capo della procura distrettuale è nominato e/o elettivo con una carriera che lo proietta, in caso di conduzione positiva dell’ufficio, all’elezione a sindaco e, via via salendo, a governatore del singolo stato. Pubblico in quanto elettivo. Scelta cristallina. La conclusione è che la riforma del nostro governo, per quanto necessaria, avrebbe dovuto osare di più. Manca l’equazione discrezionalità dell’azione penale uguale responsabilità di chi la esercita.

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Solo in questo modo l’accusatore, ove tentato dall’intraprendere indagini con finalità politiche sarebbe, come il re, nudo. E, con buona probabilità, il così detto governo dei giudici – in realtà, dei pm – inizierebbe a dissolversi.

*Ordinario di Procedura penale all’Università di Brescia



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