Incostituzionale la confisca obbligatoria dei beni strumentali per i reati societari

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È incostituzionale la confisca obbligatoria, anche per equivalente, dei beni utilizzati per commettere un reato societario, così come previsto dall’art. 2641 c.c.
La norma in questione è inserita nell’ambito del c.d. diritto penale societario e prevede, appunto, alcuni casi di confisca riferibili ai reati inseriti nel Titolo XI del Libro V del codice civile (Disposizioni penali in materia di società, di consorzi e di altri enti privati).

La sentenza n. 7/2025, depositata ieri dalla Corte Costituzionale, ha dichiarato l’illegittimità parziale del citato art. 2641 c.c. con particolare riguardo al comma 2, nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria di una somma di denaro o beni di valore equivalente a quelli utilizzati per commettere il reato. Dichiara in via consequenziale l’illegittimità costituzionale anche di una parte del comma 1, ove si fa riferimento alla confisca diretta dei beni utilizzati per commettere il reato.

Da tale pronuncia di incostituzionalità parziale resta invece in vigore l’obbligo di confiscare i profitti ricavati dal reato, sia in forma diretta che per equivalente, a carico di qualunque persona – fisica o giuridica – che risulti effettivamente avere conseguito le utilità derivanti dal reato. Resta ferma, inoltre, la facoltà (art. 2641 comma 3 c.c.) di confiscare i beni utilizzati per commettere il reato prevista in via generale dell’art. 240 c.p.; si tratta di una facoltà – e dunque non obbligo come per i precedenti commi – che deve essere esercitata nel rispetto del principio di proporzionalità su cui si basano le intere motivazioni della sentenza in esame.

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La questione era stata sollevata dalla Cassazione nell’ambito del processo relativo alla crisi della Banca popolare di Vicenza, dal momento che i giudici di legittimità avevano condiviso i dubbi della Corte d’appello circa la possibile sproporzione di una confisca di quasi un miliardo a carico di quattro persone fisiche a seguito della condanna per i reati di aggiotaggio e ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (Cass. n. 8612/2024, si veda “Alla Consulta la confisca nei reati societari” del 28 febbraio 2024).

I giudici costituzionali, nell’accogliere tale questione, precisano che la confisca, diretta e per equivalente, dei beni utilizzati per commettere uno dei reati societari ha natura di vera e propria pena di carattere patrimoniale; in quanto tale deve rispettare il principio di proporzionalità, che vieta che l’entità dell’ablazione patrimoniale risulti sproporzionata rispetto tanto alla gravità oggettiva e soggettiva del reato, quanto alle condizioni economiche e patrimoniali del suo autore.
La confisca dei beni strumentali e di somme di denaro o beni di valore a essi equivalenti prevista dalla disposizione censurata è strutturalmente indifferente a tali condizioni; pertanto, la sua previsione in termini di obbligatorietà vincola il giudice ad applicarla anche quando, nel caso concreto, essa risulti manifestamente sproporzionata.

Medesime argomentazioni erano già state espresse dalla stessa Corte Costituzionale nella pronuncia n. 112/2019 con riferimento all’art. 187-sexies del DLgs. 58/98 nella parte in cui prevedeva, per le violazioni amministrative in materia di abuso di informazioni privilegiate, la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, dell’intero “prodotto” dell’illecito e dei “beni utilizzati” per commetterlo, e non del solo “profitto”.

La Consulta qui ricorda che la confisca del “profitto” di un illecito ha mera funzione ripristinatoria della situazione patrimoniale precedente alla commissione del fatto in capo all’autore; elemento che esclude un effetto peggiorativo della sua situazione patrimoniale preesistente.

Al contrario, la confisca dei “beni utilizzati per commettere l’illecito” (“beni strumentali”) incide su beni non ottenuti attraverso un’attività criminosa, e che dunque, di regola, erano legittimamente posseduti dall’autore del reato al momento del fatto; sicché la loro ablazione determina un peggioramento della situazione patrimoniale preesistente al reato. Laddove, dunque, la confisca in parola sia disposta dal giudice penale, come nel caso disciplinato dall’art. 2641 comma 1 c.c., essa deve essere qualificata come vera e propria “pena” di carattere patrimoniale, che si aggiunge alle altre sanzioni principali previste in conseguenza della commissione di ciascun reato.
Analoghe considerazioni valgono per la confisca di beni o somme di valore equivalente ai beni utilizzati per commettere il reato, che soggiace anch’essa al citato principio di proporzionalità.

In definitiva, è condizione essenziale a garantire la compatibilità con i principi costituzionali delle pene pecuniarie che l’autorità preposta alla loro applicazione disponga di un potere discrezionale rispetto alla loro applicazione, così da evitare non solo che la sanzione pecuniaria risulti esorbitante rispetto alla capacità del condannato di farvi fronte, ma anche che essa possa determinare un effetto palesemente eccessivo sulle sue stesse condizioni di vita. Discrezionalità che, come detto, non è garantita dalla previsione dell’obbligatorietà come avveniva appunto nell’art. 2641 c.c.



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