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Controllo giudiziario e sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva antimafia. Possibili profili di incostituzionalità (nota a T.A.R. Calabria – Reggio Calabria, ordinanza 28 ottobre 2024, n. 646)
di Silia Gardini
Sommario: 1. Introduzione al tema e alla questione giuridica sottoposta alla cognizione del giudice amministrativo – 2. L’istituto del controllo giudiziario e i suoi rapporti con l’informazione interdittiva antimafia – 3. I paventati profili di incostituzionalità – 4. Legalità preventiva e ragionevolezza del sistema: una riflessione conclusiva.
1. Introduzione al tema e alla questione giuridica sottoposta alla cognizione del giudice amministrativo
Il delicato bilanciamento tra la prevenzione delle infiltrazioni criminali nell’economia e nella fruizione e gestione delle risorse pubbliche e la salvaguardia delle libertà e dei diritti degli operatori economici impegna ampiamente e con sempre maggiore assiduità la giurisprudenza amministrativa e la dottrina. Non di rado, come nel caso in esame, dall’analisi applicativa degli istituti normativi delineati dal decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. “Codice antimafia”), nella sua complessa strutturazione, emergono nodi problematici che fanno sorgere dei dubbi in merito alla piena proporzionalità e ragionevolezza di determinate procedure.
Con l’ordinanza in commento il Tribunale amministrativo per la Calabria – Reggio Calabria ha sollevato, dunque, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7 del Codice antimafia, «per contrasto con gli artt. 3, 4, 24, 41, 97, 111, 113 e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6, 8 e 13 della CEDU e 1 del primo protocollo ad essa addizionale», nella parte in cui – in caso di ammissione alla misura del controllo giudiziario (di cui al medesimo art. 34-bis, comma 1) di un operatore economico, già destinatario di informazione interdittiva – non prevede che la sospensione degli effetti della stessa informazione interdittiva antimafia perduri anche per il tempo necessario alla definizione del procedimento di aggiornamento previsto dall’art. 91, comma 5 cod. antimafia.
L’attuale assetto normativo delinea, infatti, una situazione peculiare, in cui risulta assente un’espressa previsione di legge idonea a regolamentare le dinamiche – pure complesse – che si verificano nella fase terminale del controllo giudiziario c.d. “volontario”. Questa mancanza determina, sul piano pratico, rilevanti problematiche con riferimento alla lesione (spesso definitiva) della posizione giuridica dell’operatore economico prodotta a seguito della “riattivazione” del provvedimento interdittivo, nella finestra temporale intercorrente tra la cessazione del controllo giudiziario e l’aggiornamento dell’informazione antimafia ad opera della competente Prefettura.
L’indirizzo interpretativo ormai consolidato, nell’assenza di specifica regolamentazione, ha infatti escluso laprotrazione della sospensione degli effetti dell’informativa antimafia, non potendo il controllo giudiziario determinare, ex se, il superamento del pregresso provvedimento interdittivo. Il problema si pone, a maggior ragione, a seguito del revirement attuato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze nn. 7 e 8 del 13.02.2023, che hanno previsto – nell’ambito dei rapporti tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva e l’ammissione dell’impresa che ne è destinataria al controllo giudiziario – la non necessaria sospensione del primo in costanza del secondo. Ciò vuol dire che, laddove il Giudice amministrativo adito non ravvisi l’illegittimità ratione temporis del provvedimento informativo antimafia e, dunque, non ne disponga l’annullamento, nel caso di mancato aggiornamento dell’interdittiva stessa prima dello scadere dei termini di vigenza del controllo giudiziario, l’interdittiva stessa tornerà a produrre tutti i suoi effetti inibitori.
La questione è spinosa, poiché la reviviscenza dell’interdittiva – anche per un tempo brevissimo – non soltanto priva di effettività l’istituto del controllo giudiziario (a maggior ragione se conclusosi con esito positivo e bonificante) e resetta tutte le azioni e i rapporti contrattuali nel frattempo avviati grazie ad esso (con effetti negativi anche sul buon andamento delle Amministrazioni coinvolte), ma finisce altresì per precludere qualsivoglia forma di tutela, anche successiva, in capo al soggetto che ne era destinatario.
Così è avvenuto nel caso specifico sottoposto alla cognizione del T.A.R. Reggio Calabria nella vicenda che ci interessa, laddove un’impresa – colpita da interdittiva e poi ammessa al controllo giudiziario – si era vista risolvere un importante contratto di appalto in corso di esecuzione con ANAS s.p.a., a causa della automatica reviviscenza degli effetti pregiudizievoli dell’interdittiva dopo la cessazione, con esito positivo, del controllo giudiziario. A nulla erano serviti, nell’approssimarsi della scadenza della misura di sorveglianza, gli interventi dell’impresa e della stessa stazione appaltante volti a sollecitare la decisione della Prefettura sulla pendente domanda dell’impresa per l’iscrizione alla white list e sul connesso procedimento di aggiornamento dell’interdittiva (avviato d’ufficio dalla Prefettura a seguito della prima e comunque dovuto in conseguenza della conclusione del controllo giudiziario). Spirati i termini del controllo giudiziario (già prorogati una volta per un anno) e in assenza di riscontro da parte degli organi prefettizi, la stazione appaltante non aveva avuto altra possibilità se non quella di disporre la risoluzione delle obbligazioni derivanti dal contratto d’appalto.
A seguito dell’impugnazione di tale provvedimento risolutivo da parte della società appaltatrice, l’adito T.A.R. Reggio Calabria, pur non condividendo la ricostruzione proposta dalla ricorrente (che prospettava, attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 34-bis cod. antimafia, la protrazione della sospensione degli effetti dell’interdittiva sino alla definizione da parte della Prefettura del procedimento di aggiornamento di cui all’art. 91, comma 5 cod. antimafia), ha accolto provvisoriamente la domanda cautelare sul presupposto del rilievo ex officio della questione di legittimità costituzionale, ritenendola non manifestamente infondata e rilevante per le ragioni espresse nell’ordinanza in commento, di cui meglio si dirà nei paragrafi successivi.
2. L’istituto del controllo giudiziario e i suoi rapporti con l’informazione interdittiva antimafia
Prima di analizzare i profili di possibile incostituzionalità paventati dal Giudice amministrativo nell’ordinanza de qua, al fine di meglio inquadrare i contorni della vicenda, è opportuno soffermarsi brevemente sulla configurazione e la ratio dell’istituto del controllo giudiziario, nella sua dinamica relazione con il sistema delle interdittive.
Com’è noto, il controllo giudiziario è disciplinato all’interno del libro I, titolo II, capo V del Codice antimafia, dedicato precisamente alle “Misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca”. L’istituto trova applicazione, con finalità conservative e recuperatorie, nelle ipotesi in cui il rischio di infiltrazione mafiosa sia meramente occasionale e il condizionamento subito dall’impresa si presenti a un livello embrionale, non essendosi ancora realizzata un’opera di “immedesimazione” della realtà aziendale con l’organizzazione criminale.
Il controllo giudiziario può essere attuato a due differenti livelli di intensità: attraverso l’obbligo di comunicazione periodica al Questore e al nucleo di polizia tributaria degli atti di disposizione patrimoniale o di altri atti o contratti individuati dal Tribunale; ovvero, in termini più penetranti, attraverso la nomina di un amministratore, che però – diversamente da quanto avviene nell’ambito dell’istituto dell’amministrazione giudiziaria, disciplinato dal precedente art. 34 – non si sostituisce all’impresa, ma assume funzioni di tutoraggio e di bonifica, riferendo periodicamente al giudice delegato e al pubblico ministero sull’andamento e sugli esiti dell’attività di controllo.
L’impresa, in costanza di controllo giudiziario, rimane, dunque, in ogni caso titolare diretta della propria attività.
Il controllo giudiziario si presenta, in tutta evidenza, come uno strumento agevolatorio, che pone in essere una “vigilanza prescrittiva” idonea a monitorare le azioni e i rapporti dell’impresa e, al contempo, a salvaguardare la continuità dell’attività imprenditoriale, anche nella prospettiva terapeutica di una sua bonifica. È l’unica misura di prevenzione la cui applicazione, in un’ottica innovativa di cooperazione tra amministrazione e impresa, può essere disposta (laddove l’impresa sia già destinataria di un’informativa antimafia interdittiva impugnata in sede amministrativa) anche a seguito di un’istanza di parte, dal cui accoglimento discende la sospensione degli effetti dell’interdittiva e la possibile ricollocazione dell’imprenditore sul mercato. La stessa Corte di cassazione ha riconosciuto che la misura in questione è stata prevista dal legislatore proprio allo scopo specifico di offrire un’alternativa al binomio sequestro/confisca dei beni del soggetto portatore di pericolosità, in attuazione del principio di proporzionalità e in vista di un possibile recupero dell’impresa.
La valutazione effettuata dal Giudice penale nel concedere la misura del controllo giudiziario è molto diversa da quella che compete al Prefetto con riferimento all’emanazione del provvedimento interdittivo. Non è una valutazione, per così dire, “statica”, poiché non fotografa – come invece fa l’interdittiva antimafia – una situazione di rischio di infiltrazione mafiosa in un determinato momento storico, ma realizza, invece, un giudizio prognostico circa l’emendabilità di una situazione già rilevata, connotata dal rischio di condizionamento o agevolazione di soggetti criminali, con il fine del risanamento dell’impresa e del suo riallineamento a un contesto economico sano. Quand’anche l’interdittiva non sia annullata dal giudice amministrativo, e dunque si accerti l’esistenza di infiltrazioni mafiose, l’esigenza di risanamento dell’impresa stessa non potrebbe comunque ritenersi venuta meno.
Ferma la distinzione ontologica e finalistica dei due istituti, è tuttavia innegabile che tra controllo giudiziario c.d. volontario e informazioni interdittive antimafia esistano importanti connessioni, che si manifestano su diversi piani.
Emerge innanzitutto una connessione procedurale, poiché l’impugnazione del provvedimento interdittivo dinanzi al Giudice amministrativo rappresenta una condizione imprescindibile ai fini della richiesta al Tribunale ordinario (in funzione di Giudice della prevenzione) della disposizione del controllo giudiziario.
Vi è poi una connessione effettuale, dal momento che l’ammissione a controllo giudiziario determina, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 7, l’automatica sospensione degli effetti dell’interdittiva per tutta la durata del controllo stesso. La sospensione ex lege degli effetti dell’informazione interdittiva antimafia rimane comunque ad tempus, legata all’effettiva pendenza del controllo giudiziario.
Esiste, altresì, una connessione sostanziale: benché dall’esito del controllo giudiziario non derivi alcun vincolo formale per la Prefettura (che, in sede di riesame e aggiornamento dell’interdittiva antimafia, ben potrà confermare il provvedimento), è ragionevole ritenere che il positivo riscontro dei requisiti di “occasionalità” e “non definitività” del rischio di infiltrazione mafiosa – che costituiscono i presupposti necessari della misura conservativa, ponderati a tal fine dal Giudice – e, soprattutto, la cristallizzazione della positiva conclusione del controllo (riferendosi, sia pure in via incidentale e in proiezione de futuro, a quegli stessi elementi indiziari sulla base dei quali il Prefetto formula la propria prognosi di rischio infiltrativo) acquisiscano un peso specifico nell’ambito di tale valutazione.
Di talché, laddove il Prefetto ritenesse di confermare ugualmente l’interdittiva, considerando ancora attuale il rischio di condizionamento mafioso, per non incorrere nel vizio di eccesso di potere e nel conseguente annullamento giudiziario, il provvedimento confermativo dovrebbe essere sottoposto a un onere motivazionale rinforzato, non essendo sufficiente il richiamo alla mera persistenza degli elementi indiziari posti a base dell’originaria informativa, ma dovendo anche evidenziarsi le ragioni che rendono le conclusioni raggiunte dal Giudice della prevenzione non idonee ad accogliere una prognosi differente da parte dell’Autorità amministrativa prefettizia[11]. Diversamente opinando verrebbe snaturata la stessa funzione del controllo giudiziario, da cui deriverebbe soltanto l’effetto di sospendere temporaneamente e, dunque, posticipare le conseguenze del provvedimento interdittivo.
3. I paventati profili di incostituzionalità
Secondo la ricostruzione del Tribunale amministrativo reggino, la sopravvivenza dell’informazione interdittiva antimafia alla conclusione favorevole del controllo giudiziario, se pur obbligatoriamente necessitante di una rivalutazione da parte del Prefetto ai sensi dell’art. 91, comma 5, cod. antimafia, non sarebbe evitabile (neppure attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata), a causa della mancanza di una previsione normativa espressa idonea a regolamentare gli effetti del provvedimento interdittivo nelle more dello svolgimento dello stesso procedimento prefettizio di aggiornamento.
Da tale circostanza derivano, sul piano pratico, pericolosi effetti distorsivi, idonei a mettere in dubbio la coerenza dell’impianto della norma con i principi costituzionali di riferimento.
La doverosità dell’avvio del procedimento di riesame dell’interdittiva – nelle forme dell’autotutela revocatoria, al fine di valutarne, attraverso un’adeguata istruttoria e con le opportune garanzie di contraddittorio, la perdurante necessità – è stata saldamente argomentata dalla giurisprudenza. Laddove tale procedimento di secondo grado venga definito prima dello spirare del termine di conclusione del controllo giudiziario, non si pone alcun problema, poiché sull’interdittiva originaria inciderebbe – nel bene o nel male – la nuova valutazione prefettizia.
Le Prefetture hanno, però, maturato in materia una prassi dannosa (sulla quale la stessa giurisprudenza amministrativa si è pronunciata in termini negativi), che prevede la necessaria preventiva acquisizione della relazione conclusiva del controllo giudiziario e, dunque, l’avvio del procedimento di aggiornamento ex art. 91, comma 5 cod. antimafia quando gli effetti dell’interdittiva hanno già ripreso a manifestarsi.
Tale circostanza, sommata alla mancanza di un’apposita disciplina normativa della fattispecie, determina la “materializzazione” di un paradossale frangente temporale in cui il privato imprenditore destinatario dell’interdittiva risulta privo di qualsivoglia tutela e destinato a subire inerme gli effetti pregiudizievoli discendenti dal ripristino dell’efficacia dell’interdittiva. Prima della conclusione del procedimento di riesame, il privato non potrà né (re)impugnare l’originaria informazione antimafia, in quanto già coperta da giudicato, né presentare una nuova domanda di ammissione al controllo giudiziario, difettando in questo caso il presupposto processuale dell’avvenuta contestazione in sede giurisdizionale dell’interdittiva (che si manifesterebbe solo a seguito dell’eventuale e futuro provvedimento prefettizio di conferma).
Il T.A.R. Calabria – Reggio Calabria opportunamente utilizza l’espressione “limbo” per definire la posizione dell’operatore economico post controllo giudiziario, che risulta incapace di reagire in qualsiasi modo alla situazione derivante dalla mancata definizione del provvedimento di aggiornamento prefettizio e che dovrà, dunque, passivamente accettare, con conseguenze irreversibili, l’immediata e automatica risoluzione dei rapporti contrattuali in essere – come nel caso in esame – o l’esclusione dalle procedure di gara eventualmente in fase di aggiudicazione.
Tali conseguenze sono irreversibili per la fisiologica dinamica temporale dei provvedimenti coinvolti. La perdita del requisito di gara – legato alla insussistenza di tentativo di infiltrazione mafiosa – non potrebbe, infatti, essere superata né dall’eventuale successiva informazione liberatoria (che avrebbe chiaramente efficacia ex nunc), né dall’accoglimento della domanda cautelare proposta con l’impugnativa della nuova interdittiva eventualmente emessa con il procedimento di riesame (la cui efficacia potrebbe retroagire solo fino al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, non potendo tuttavia neutralizzare gli effetti prodottisi anteriormente, nel periodo di “riemersione” dell’originaria interdittiva).
Partendo da tali considerazioni, il Giudice amministrativo motiva il contrasto della normativa, innanzitutto, con l’art. 3 della Costituzione, evidenziando la possibilità che si verifichi – soprattutto nel settore degli appalti pubblici, come nel caso oggetto di controversia – un trattamento disomogeneo tra situazione sostanzialmente identiche. A fronte dell’immobilismo forzoso dell’impresa reduce di controllo giudiziario e in attesa di aggiornamento dell’informativa antimafia, all’impresa che abbia invece la possibilità immediata di impugnare il provvedimento interdittivo, anche confermativo del precedente, risulta assicurata non soltanto una tutela giurisdizionale effettiva avverso il provvedimento lesivo, ma pure la facoltà di richiedere nuovamente la sottoposizione a controllo giudiziario volontario, anche nei casi in cui non venga accolta la domanda cautelare sospensiva nell’ambito del giudizio di impugnazione. Viene così garantita la possibilità di mantenere in vita i contratti d’appalto già stipulati al momento dell’adozione dell’interdittiva, così come quella di proseguire la gara in corso «se, entro la data dell’aggiudicazione, l’impresa sia stata ammessa al controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34-bis» (come dispone il nuovo Codice dei contratti pubblici: art. 94, comma 2, D.lgs. n. 36/2023).
Considerazioni sostanzialmente identiche vengono richiamate per supportare la possibile illegittimità dell’art. 34-bis, comma 7 cod. antimafia per violazione degli artt. 24 e 117, comma 1 Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 13 della CEDU). In questo caso, ciò che rileva è la pregnante compressione del diritto di difesa dell’interessato, al quale viene, di fatto, preclusa la possibilità di attivare qualsiasi rimedio giurisdizionale, «tanto contro gli ‘effetti ripristinati’ dell’interdittiva, già oggetto di sindacato giudiziale definitivo, quanto, per evidente mancanza di interesse, contro il provvedimento – sempre ad ammettere che il giudice della prevenzione debba formalmente adottarlo – dichiarativo della cessazione del controllo per scadenza del termine massimo di durata»[17].
Nella ricostruzione del T.A.R. Calabria, i dubbi di costituzionalità della norma emergono anche con riferimento all’art. 97 Cost., dunque ai principi di buon andamento, ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa. Esponendo l’impresa, nonostante l’esito favorevole del controllo giudiziario e prim’ancora della valutazione dell’autorità prefettizia in merito alla utilità delle misure di self cleaning attuate nel periodo del controllo, a tutti gli effetti pregiudizievoli che il medesimo istituto del controllo giudiziario avrebbe dovuto evitare, si verifica una sorta di “corto circuito” normativo, una situazione paradossale in cui vengono rinnegate sul piano effettuale le stesse finalità che il legislatore si era fissato nel prevedere la normativa applicata[18]. L’impresa si trova, infatti, nuovamente esposta agli effetti negativi dell’interdittiva e tanto basta per ostacolare (se non rendere addirittura impossibile) il processo di recupero alla legalità intrapreso sotto l’egida del Tribunale penale.
L’irragionevolezza del quadro regolatorio emerge, in particolare, nei casi in cui la verifica prefettizia si concluda in modo favorevole, con un positivo apprezzamento della funzione bonificante del controllo giudiziario e, dunque, con l’emissione di un’informazione liberatoria. In questo caso il disallineamento dei tempi procedimentali determina, come sopra rilevato, il sostanziale azzeramento dell’azione – evidentemente virtuosa – nel frattempo costruita dall’impresa nei suoi rapporti con la Pubblica amministrazione, con buona pace degli sforzi compiuti dal privato e dalle istituzioni in questa direzione.
Con particolare riguardo al principio di proporzionalità, l’ordinanza di rimessione evidenzia altresì l’assenza di qualsivoglia meccanismo di graduazione nella riespansione degli effetti pregiudizievoli dell’interdittiva, che avrebbe potuto essere modulata dal legislatore sul piano degli effetti (consentendo, ad esempio, l’esecuzione dei contratti in corso o lasciando impregiudicato l’esercizio delle attività soggette a regime autorizzatorio) ovvero attuato con soluzioni meno afflittive, come il meccanismo della condizione risolutiva di cui all’art. 92, comma 3 cod. antimafia, previsto nel caso di inosservanza del termine per il rilascio dell’informazione antimafia, o, ancora, mediante la prorogatio del controllore giudiziario sino alla definizione del procedimento di riesame.
A ben vedere, il danno che si produce in questi casi, assume una portata bidirezionale.
Dalla distorsione attuativa della normativa non discende soltanto un pregiudizio irreversibile per il privato operatore economico, ma anche un coinvolgimento lesivo degli interessi dei soggetti pubblici con cui esso entra in rapporto. Si pensi, nell’ambito del sistema dei contratti pubblici, alle stazioni appaltanti che – avendo avviato rapporti giuridici con soggetti ritenuti affidabili dall’ordinamento (in vigenza del controllo giudiziario) – si trovino, di punto in bianco a dover sospendere gare, lavori e forniture, ripartendo poi da zero, con un nuovo procedimento ad evidenza pubblica e tutto ciò che ne consegue in termini di dispendio di risorse economiche e funzionali, nonché con un allargamento potenzialmentemolto vasto dei tempi di realizzazione del servizio o della fornitura, a discapito dell’interesse della collettività. Da qui il potenziale contrasto dell’art. 34-bis, comma 7, sempre nella cornice dell’art. 97 Cost., anche con riguardo ai principi di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa.
La norma censurata, tenuto conto della portata estremamente ampia e incisiva delle conseguenze che discendono dall’applicazione di un’interdittiva antimafia, che inibisce sia i rapporti con la pubblica amministrazione, sia le attività private sottoposte a regime autorizzatorio, rileva secondo il Collegio reggino anche con riguardo a «l’art. 4 Cost., determinando un ingiustificato, e non necessario, sacrificio del diritto al lavoro, e, per le stesse ragioni, l’art. 41 Cost., pregiudicando incisivamente il libero esercizio dell’attività di impresa»[19].
4. Legalità preventiva e ragionevolezza del sistema: una riflessione conclusiva
Il sistema amministrativo della lotta alla criminalità organizzata si muove sul confine mobile della ricerca del miglior equilibrio possibile tra interessi che spesso appaiono tra loro contrastanti. Sia pur in costanza dell’apprezzabile sforzo del legislatore – da ultimo attuato con la novella del Codice antimafia del 2021 – verso la predisposizione di un sistema di prevenzione più articolato e gradualistico, è innegabile che si manifestino ancora in materia numerose distorsioni applicative, quasi sempre a discapito della parte imprenditoriale.
L’incidenza dell’istituto sulla libertà imprenditoriale resta evidentemente un problema aperto, rispetto al quale a volte l’eccessiva lesività (che emerge sul piano pratico) si lega alla incapacità di far “dialogare” virtuosamente tra loro i diversi istituti previsti dalla normativa di settore.
In tale contesto la giurisprudenza amministrativa ha svolto e svolge un ruolo estremamente rilevante, non soltanto nel tutelare le posizioni giuridiche dei soggetti coinvolti, ma anche e soprattutto nel fornire al legislatore importarti stimoli riformatori. Lo ha fatto nel caso esaminato in questo scritto, suggerendo alla Corte costituzionale l’adozione di una sentenza additiva, con la quale connettere l’illegittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7 del Codice antimafia alla mancanza di una previsione espressa di raccordo tra questo istituto e il suo naturale contraltare amministrativo, ovvero l’informazione interdittiva antimafia.
La pronuncia della Consulta sulla questione sollevata dal T.A.R. Reggio Calabria sarà senz’altro molto importante. Nelle more della sua pubblicazione, qualsivoglia riflessione sul tema – pur considerando sempre le ragioni della lotta contro le mafie e i loro subdoli condizionamenti come vitali e primarie per il nostro ordinamento – non può che partire dalla constatazione che una misura di prevenzione non dovrebbe mai atteggiarsi come una sorta di sanzione anomala e che la legalità repressiva non dovrebbe mai confondersi con la legalità preventiva, i cui strumenti ed obiettivi dovrebbero, a loro volta, essere sempre collocati su un piano perpendicolare ma differente rispetto a quelli della prima.
Cfr., F.G. Scoca, Le interdittive antimafia e la razionalità, la ragionevolezza e costituzionalità della lotta «anticipata» alla criminalità organizzata, in Giustamm, 2018.
L’Adunanza plenaria, con le sentenze n. 7 e n. 8 del 13.02.2023, non ha aderito alla tesi della sospensione necessaria del giudizio amministrativo, accolta invece nell’ordinanza di rimessione, affermando il seguente principio di diritto: «la pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione né del giudizio di impugnazione contro l’informazione antimafia interdittiva, né delle misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese previste dall’art. 32, comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, per il completamento dell’esecuzione dei contratti stipulati con la pubblica amministrazione dall’impresa destinataria di un’informazione antimafia interdittiva». La Plenaria, non le pronunce in questione, nel ricostruire gli istituti sia da punto di vista sostanziale che da quello processuale, ha rilevato come neppure nella giurisprudenza della Cassazione penale in materia di impugnazione del diniego di ammissione al controllo giudiziario emerga una ricostruzione del rapporto tra l’interdittiva e il controllo giudiziario volontario in termini di pregiudizialità-dipendenza di intensità maggiore rispetto a quella delineata dall’art. 34-bis del D. lgs. n. 159 del 2011.Inoltre, aderire alla tesi della sospensione provocherebbe uno snaturamento del sistema tassativo previsto dall’art. 295 c.p.c., con inevitabili ricadute in termini di ragionevole durata del processo e non fondata neanche sull’esigenza di evitare giudicati contrastanti. Cfr., A. Giacalone, Informazione interdittiva antimafia e controllo giudiziario: analisi del rapporto esistente fra i due istituti e demarcazione dei relativi presupposti, in questa Rivista, 13 giugno 2024; C. Cappabianca, Gli effetti sul giudizio amministrativo del controllo giudiziario delle aziende ex art. 34-bis, comma 6, d.lg. n. 159/2011: dopo l’adunanza plenaria n. 7/2023, in Dir. proc. amm., 4/2023, 743 ss.
Cfr., Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2024, n. 2515, in www.giustizia-amministrativa.it.
In sede di delibazione cautelare il Tribunale ha ritenuto l’argomentazione di parte non condivisibile, «ostando alla ricostruzione interpretativa, pur pregevole, prospettata dalla ricorrente in ordine alla protrazione della sospensione degli effetti dell’interdittiva anche dopo la cessazione, con esito positivo, del controllo giudiziario e sino alla definizione da parte della Prefettura del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia, la mancanza nell’ordinamento di una previsione espressa che regolamenti in modo puntuale tale peculiare profilo inerente alla fase terminale dei rapporti tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario c.d. volontario». Il dato testuale espresso dal comma 7 dell’art. 34-bis d.lgs. n. 159/2011, è stato considerato dal Giudice amministrativo insuperabile: ricollegando l’effetto tipico che consegue al decreto di ammissione al controllo giudiziario (ovvero la sospensione dell’incapacità a contrattare) alla sua vigenza, qualsiasi diversa interpretazione che, pur nell’ottica di correggere le vistose distorsioni applicative della normativa in esame, tenda a dilatare temporalmente l’effetto in questione oltre il momento di cessazione della misura prescrittiva sarebbe preclusa in nuce. Cfr., T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, ord. n. 213/2024, in www.giustizia-amministrativa.it.
L’istituto appartiene a quelle misure di prevenzione patrimoniali “altre”, differenti rispetto alle forme di intervento patrimoniale tradizionali quali la confisca e il sequestro.
[6] Cfr., M.A. Sandulli, Rapporti tra il giudizio sulla legittimità dell’informativa antimafia e l’istituto del controllo giudiziario, in questa Rivista, 12 maggio 2022; R. Rolli, V. Bilotto, F. Bruno, Interdittive antimafia e il loro difficile (e travagliato) rapporto con il controllo giudiziario volontario: un quadro di insieme in attesa dell’Adunanza Plenaria, in www.ratioiuris.it, 15 febbraio 2023; Id., Interdittive antimafia e controllo giudiziario volontario: l’Adunanza plenaria mette la parola fine (?) Al dibattuto rapporto tra i due istituti, in www.ratioiuris.it, 24 aprile 2023; M. Mazzamuto, Il salvataggio delle imprese tra controllo giudiziario volontario, interdittive prefettizie e giustizia amministrativa, in Sistema penale, 2020. Per una ricostruzione più ampia e organica dell’istituto del controllo giudiziario nell’ambito del sistema amministrativo antimafia, si veda V. Salamone, La documentazione antimafia nella normativa e nella giurisprudenza, Napoli, 2019.
Cfr. Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2021, n. 24678; Id., sez. II. 31 maggio 2021, n. 21412.
Secondo l’orientamento del Consiglio di Stato, ripreso e ampliato dall’Adunanza plenaria con le già richiamate sentenze n. 7 e n. 8 del 13.02.2023, l’esito favorevole del controllo e l’eliminazione del rischio di infiltrazione non rilevano nel giudizio amministrativo di impugnazione del provvedimento interdittivo, che riguarda invece gli elementi esistenti al momento della sua emanazione: «il controllo giudiziario presuppone l’adozione dell’informativa, rispetto alla quale rappresenta un post factum” (…) perché inevitabilmente diversi sono gli elementi fattuali considerati anche sul piano diacronico nelle due diverse sedi (…) la valutazione finale del giudice della prevenzione penale si riferisce dunque alla funzione tipica di tale istituto, che è un controllo successivo all’adozione dell’interdittiva, ed ha riguardo alle sopravvenienze rispetto a tale provvedimento». Così., Cons. di Stato, sez. III, sent. 11 gennaio 2021, n. 319, in www.giustizia-amministrativa.it, con nota di R. Rolli, M. Maggiolini, Interdittiva antimafia e controllo giudiziario, in questa Rivista, 12 febbraio 2021. Se sul piano formale i due giudizi appaiono autonomi, è evidente che le due differenti delibazioni compiute dal Giudice Amministrativo e dal Giudice della prevenzione finiscano, comunque, per influenzarsi. Nell’ambito di un recente giudizio presso il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, il Giudice Amministrativo, che aveva inizialmente negato la concessione della misura cautelare sospensiva, ha infine accolto il ricorso in appello, annullando l’informazione antimafia, proprio a partire dalle risultanze della (successiva) delibazione di ammissibilità al controllo giudiziario. Cfr., CGA, sentenza n. 13 del 4 gennaio 2023, in www.giustizia-amministrativa.it.
L’informazione interdittiva antimafia, come già ricordato, riprenderà i propri effetti una volta chiusa (per scadenza naturale o provvedimento anticipato dell’a.g.o.) la procedura ex art. 34-bis del d.lgs. n. 159 del 2011, rimanendo comunque salvo, in ogni caso, anche prima della chiusura del controllo giudiziario, il potere-dovere della Prefettura ex art. 91, comma 5, ultimo periodo del D.lgs. n. 159 del 2011, di aggiornare, in sede amministrativa, anche su richiesta dell’interessato «l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa», pure, se del caso, prendendo in considerazione i risultati provvisori (ovvero definitivi) del controllo giudiziario medesimo. Cfr., Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2024, n. 2515, in www.giustizia-amministrativa.it.
Deve «escludersi che il controllo giudiziario sia in grado di cancellare gli eventi che in passato hanno dato sostanza al rischio infiltrativo, in guisa da assumere oltre ad una funzione cautelare e bonificante, anche una funzione riabilitante, poiché così ragionando si andrebbe oltre la volontà del legislatore, sino a costruire una sistema di prevenzione penale/amministrativa in cui l’informativa assume il ruolo di condizione di procedibilità del controllo giudiziario a domanda, e quest’ultimo quello di un percorso che esenta l’imprenditore da qualsivoglia effetto interdittivo nei rapporti con la Pubblica amministrazione (dapprima in sede cautelare e poi in forza dell’effetto riabilitante)». Cfr., Consiglio di Stato sez. III, 16 giugno 2022, n. 4912, in www.giustizia-amministrativa.it, con nota di G. Botto, Sul rapporto tra controllo giudiziario ad esito favorevole e aggiornamento dell’informativa antimafia, in questa Rivista, 5 ottobre 2022.
Cfr., Consiglio di Stato sez. III, 16 giugno 2022, n. 4912, cit. Sul tema di segnala una interessante decisione del T.A.R. Puglia, Sez. II, 15 luglio 2022, n. 1044 in www.giustizia-amministrativa.it, con cui il Giudice ha accolto il ricorso presentato da un’impresa raggiunta da provvedimento interdittivo malgrado l’esito positivo del controllo giudiziario, proprio sulla scorta del difetto di motivazione del provvedimento prefettizio, che non aveva preso in debita considerazione gli elementi riportati nella relazione dell’amministratore giudiziario.
Con riferimento all’aggiornamento dell’interdittiva, fondato anche sulla valutazione degli elementi intervenuti a seguito del provvedimento originario «si potrebbe considerare sussistente un obbligo del Prefetto di provvedere sulla istanza di riesame, dovendo avere rilevanza la sopravvenienza tenuta in considerazione dal legislatore (la conclusione positiva del controllo giudiziario)»: così, Cons. Stato, Sez. III, 6 luglio 2022, n. 5615, in www.giustizia-amministrativa.it.
Al carattere provvisorio e statico dell’interdittiva antimafia corrisponde l’obbligo della Prefettura di provvedere al suo aggiornamento.La rivalutazione prefettizia risulta doverosa, anche in mancanza di un’iniziativa di parte, in forza del disposto dell’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, così come interpretato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 57/2020. Proprio dalla natura della valutazione sottesa all’interdittiva antimafia (che si limita a fotografare una certa realtà in un dato momento storico) deriva la scelta legislativa di disciplinare un meccanismo di necessario aggiornamento della stessa, come previsto all’art. 91, comma 5, cod. antimafia. La giurisprudenza ha, dunque, affermato il principio secondo cui, attesa l’autonomia per così dire funzionale tra la misura amministrativa dell’interdittiva antimafia e quella giurisdizionale del controllo giudiziario, è illegittimo il silenzio opposto dalla prefettura alla richiesta di riesame della misura amministrativa. Cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 25 gennaio 2024, n. 68, in www.giustizia-amministrativa.it, con nota di R. Rolli, M. Maggiolini, Atomo scisso e silenzio prefettizio: tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario, in questa Rivista, 8 maggio 2024. Sul punto, di recente si è pronunciato anche il T.A.R. Sicilia, Sez. I, con sentenza 16 luglio 2024, n. 2247: «il decorso del termine annuale ex art. 86, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 non produce ex se la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo, (…) ma produce l’effetto (strumentale e procedimentale) di imporre all’Autorità prefettizia il riesame della vicenda complessiva (…) ai fini dell’aggiornamento della originaria prognosi interdittiva».
Cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 25 gennaio 2024, n. 68, cit.
L’asimmetria tra le posizioni giuridiche prese in considerazione è stata evidenziata, in altro contesto, anche dalla Cassazione penale, che ha rilevato come il soggetto che solleciti la revisione del provvedimento interdittivo e adisca il giudice amministrativo invocando l’annullamento dell’eventuale provvedimento di rigetto sia portatore di «una situazione giuridica più fievole di colui che contesta la conformità a diritto dell’originaria informazione interdittiva»: cfr., Cassazione penale, sentenza n. 19154/2023.
Facoltà, questa, già riconosciuta dalla prevalente giurisprudenza sotto il previgente Codice dei contratti pubblici, ai sensi dell’art. 80, comma 2, ultimo periodo. Cfr., Cons. St., sez. V, 14 aprile 2022, n. 2847 e, da ultimo, TAR Toscana, sez. IV, 30 settembre 2024, n. 1074, in www.giustizia-amministrativa.it), ma anche quella di ottenere l’aggiudicazione quand’anche l’interdittiva sia stata emessa in corso di gara.
[17] Cfr. ordinanza in commento, pag. 31.
L’espressione “effettività rinnegante”, coniata con precipuo riferimento al diritto penitenziario, ma utilizzabile in qualunque ambito, esprime lo scostamento tra il diritto affermato in sede normativa e la sua effettività, data da una «illegalità ufficiale attraverso la non applicazione e la manipolazione amministrativa delle norme». Cfr., F. Bricola, Il carcere “riformato”, Bologna, 1977, ora in Id., Scritti di diritto penale, vol. I, tomo II, Milano, 1997.
[19] Cfr. ordinanza in commento, pag. 45.
Si pensi alle riflessioni sull’istituto del contradditorio, prima escluso nell’ambito dei procedimenti in materia di informative antimafia, oggi recepite dal legislatore, in particolare dopo la sentenza della Sez. III del Consiglio di Stato del 10 agosto 2020, n. 4979.
Sulla distinzione tra legalità repressiva e legalità preventiva, cfr. V. Nuvolone, Le misure di prevenzione nel sistema penale italiano, in Ind. pen., 1973, 470. Di recente essa è stata ripresa dalla stessa Corte costituzionale, con la pronuncia n. 24/2019, in www.cortecostituzionale.it.
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