La Repubblica Democratica del Congo (RDC) è un paese ricco di paradossi. Da un lato, possiede alcune delle risorse naturali più preziose al mondo, tra cui litio, coltan, oro e cobalto, minerali essenziali per l’industria tecnologica globale. Dall’altro, è uno degli stati più instabili e violenti del pianeta, dove la ricchezza del sottosuolo alimenta conflitti armati, corruzione e sofferenza umana. La recente presa di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, da parte dei ribelli del Movimento filo rwandese (per la presenza tutsi) del 23 marzo (M23), è solo l’ultimo capitolo di una guerra che dura da decenni e che ha radici profonde nella storia coloniale, nelle rivalità regionali e negli interessi economici internazionali.
La RDC è stata a lungo un crocevia di interessi geopolitici ed economici. Dopo l’indipendenza dal Belgio nel 1960, il paese ha vissuto una spirale di instabilità politica, colpi di stato e guerre civili. La regione orientale, in particolare, è stata teatro di conflitti ricorrenti a causa della sua ricchezza mineraria e della sua posizione strategica al confine con Rwanda, Uganda e Burundi. Questi paesi, a loro volta, hanno spesso interferito negli affari congolesi, sostenendo gruppi armati locali per proteggere i propri interessi. Il coltan, un minerale essenziale per la produzione di dispositivi elettronici come smartphone e computer, e il litio, cruciale per le batterie delle auto elettriche, sono tra le risorse più contese.
La Repubblica Democratica del Congo detiene circa il 70% delle riserve mondiali di coltan e una quota significativa di litio. Tuttavia, invece di costituire una fortuna, queste risorse sono diventate una maledizione, alimentando cicli di violenza e sfruttamento. I gruppi armati, spesso finanziati da reti internazionali, controllano le miniere e utilizzano il lavoro forzato, compreso quello dei bambini, per estrarre i minerali, che poi vengono esportati illegalmente attraverso i paesi vicini. La recente presa di Goma da parte del M23 è un esempio emblematico di come i conflitti nella RDC siano alimentati da dinamiche regionali e internazionali.
Il M23, un gruppo ribelle di origine congolese ma con legami con il Rwanda, è emerso nel 2012 come una forza significativa nella regione del Nord Kivu. Nonostante un accordo di pace nel 2013, il gruppo è riemerso nel 2021, accusando il governo congolese di non aver rispettato gli impegni presi. La ripresa delle ostilità ha portato a scontri violenti, sfollamenti di massa e a una crisi umanitaria sempre più grave. La presa di Goma, avvenuta nel contesto di un’escalation militare, ha messo in luce la fragilità delle istituzioni congolesi, la debolezza delle sue leadership politiche, e la complessità delle alleanze regionali.
Il Rwanda è stato accusato di sostenere il M23, fornendo armi, addestramento e persino truppe. Per ottomila dollari al mese, centinaia di mercenari rumeni sono stati assoldati dal governo del Rwanda a supporto delle truppe governative nella nuova guerra con la RDC. Kigali nega queste accuse, ma le prove raccolte dalle Nazioni Unite e da organizzazioni indipendenti suggeriscono un coinvolgimento significativo. Dal canto suo, il governo congolese ha cercato il sostegno di altri paesi, tra cui l’Uganda e il Burundi, per contrastare l’avanzata dei ribelli.
La guerra nel Paese ha conseguenze devastanti per la popolazione civile. Secondo le Nazioni Unite, oltre cinque milioni di persone sono sfollate internamente, mentre migliaia sono state uccise o hanno subito violenze, tra cui stupri e torture. Le condizioni di vita nelle aree colpite sono disumane, con accesso limitato a cibo, acqua e cure mediche. La comunità internazionale ha cercato di intervenire, ma con risultati limitati.
La Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO) è una delle più grandi e costose operazioni di peacekeeping al mondo, ma è stata criticata per la sua inefficacia nel proteggere i civili e nel risolvere le cause profonde del conflitto. Inoltre, i paesi occidentali e le multinazionali che beneficiano dei minerali congolesi sono spesso accusati di complicità, direttamente o indirettamente, nello sfruttamento e nella violenza.
Il 21 febbraio ricorre il quarto anniversario dell’assassinio dell’ambasciatore Luca Attanasio, brutalmente ucciso insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo mentre portavano aiuti alimentari al confine tra la Repubblica Democratica del Congo e il Rwanda. A oggi nessuna verità per questo omicidio è emersa. Fino a quando l’odio, la gestione spietata delle risorse e l’avidità senza limiti continueranno ad avvelenare i “cuori di tenebra” descritti da Joseph Conrad nel romanzo Heart of Darkness del 1899, l’oscurità rimarrà fitta in questa terra, la più ricca e la più devastata del mondo. Qui, tra foreste lussureggianti e montagne ricche di tesori, si consuma una tragedia infinita, alimentata da conflitti armati, interessi regionali e internazionali, e una crudeltà che sembra non conoscere fine. Il buio, l’orrore, rimarranno padroni incontrastati di una terra che, nonostante tutto, custodisce ancora la speranza di un futuro diverso.
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