Comprensorio unico Colere-Lizzola, anche il Cai Bergamo dice no (ma invita al confronto)

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Dopo il Cai Valle di Scalve, anche la sezione di Bergamo del Club Alpino Italiano ha espresso il proprio parere negativo nei confronti del comprensorio unico Colere-Lizzola, progetto che, negli ultimi mesi, è stato al centro di numerose polemiche.

Il progetto, curato da Rsi srl che già gestisce gli impianti di Colere, prevede di collegare la stazione sciistica di Colere con quella di Lizzola attraverso la realizzazione di un tunnel di 450 metri che trapassa il Pizzo di Petto. Verrebbero poi realizzate nuove piste, impianti e un bacino d’acqua per l’innevamento artificiale.

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A luglio è stato siglato il project financing, contenente la prima tranche di interventi. Successivamente, è scoppiata la polemica. Primi fra tutti i pareri negativi delle associazioni ambientaliste e non, come Orobievive. Poi è arrivata la petizione online, che in poco più di un mese ha raccolto quasi ventiseimila firme. Ora è la sezione provinciale del Cai a dire di no, supportata da tutte le sottosezioni bergamasche – ad eccezione della Valgandino.

Il progetto del comprensorio Colere-Lizzola

Il progetto presenta «forti criticità»

Non proprio un «no» secco, quanto un invito al confronto. «Ci occupiamo di tracciatura, manutenzione e segnaletica di un grande numero di sentieri – ha scritto il gruppo in una nota – oltre alla costruzione dei molti rifugi che costituiscono un insostituibile presidio di sicurezza. Chi ha realizzato tutto questo lo ha fatto con una visione lungimirante, attenta al tessuto sociale locale e alla tutela e valorizzazione dell’ambiente naturale».

Valorizzazione che «molto spesso è purtroppo mancata, nella seconda metà del Novecento, a imprenditori privati e a soggetti pubblici che hanno realizzato sulla montagna bergamasca strutture turistiche e sciistiche di cui oggi, a pochi decenni di distanza, rimangono soltanto desolati scheletri di impianti (almeno quattordici soltanto in provincia di Bergamo) e seconde case in stato di forte degrado e abbandono».

Questo «senza che si fosse comunque innescato un circuito virtuoso verso quel modello turistico montano che invidiamo ad altre realtà territoriali», come quello svizzero e francese. Secondo il Cai, il progetto presenta una serie di «forti criticità» e viene definito «allineato a una visione miope e superata di “progresso e sviluppo” francamente non più sostenibile dal punto di vista ambientale, ma anche per il forte rischio di ricadute negative sul tessuto sociale di quelle realtà territoriali».

Secondo il Club è necessario non insistere «sugli aspetti meramente economici dell’operazione», pari a settanta milioni di euro per la realizzazione, ma piuttosto di adottare una «visione di montagna che, anche attraverso un turismo estivo e invernale svolto in forme rispettose dell’ambiente e dei diritti delle future generazioni, rappresenti per chi la vive quotidianamente un’opportunità economica e occupazionale».

L’obiettivo, dunque, è quello di aprirsi al confronto: con le istituzioni territoriali e con i privati, «nel rispetto dei propri valori e principi irrinunciabili per la realizzazione di interventi che siano sostenibili, lungimiranti e reversibili, elementi che, per quanto a oggi a nostra conoscenza, non si evidenziano in questo progetto.

«Abbiamo bisogno di vivere, non sopravvivere»

La visione è condivisa anche dal sindaco di Vilminore Pietro Orrù, sostenitore invece del progetto. A L’Eco di Bergamo, infatti, il primo cittadino ha detto di continuare ad auspicare che «la società lavori insieme alle amministrazioni locali per una soluzione che faccia sintesi delle necessità del territorio, anche di quelle avanzate dal Cai». Il progetto, ha spiegato, «è necessario per Valbondione, ma devono esserci dei benefici diretti anche per i cittadini di Vilminore».

Più deciso il sindaco di Valbondione, Walter Semperboni, che qualche settimana fa – dopo la presa di posizione dei Cai Valle di Scalve – sul proprio profilo social ha definito i contrari al progetto «Stron****i pseudo ambientalisti e comunisti». Al quotidiano ha ribadito: «Abbiamo bisogno di vivere, non sopravvivere in montagna: dobbiamo avere gli stessi diritti di chi abita in città».

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