è finito il calvario dell’attivista curdo-iraniana Maysoon Majidi

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Accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la 29enne è libera per non aver commesso il fatto. Fuggita dall’Iran per la sua attività politica, è arrivata in Italia con il fratello il 31 dicembre 2023 ed è stata subito arrestata. «Chi fugge lo fa per cercare un posto sicuro»

Dopo dieci mesi di carcere e più di un anno di processo Maysoon Majidi è stata assolta. Secondo il collegio del tribunale di Crotone, l’attivista e regista curdo-iraniana, accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, non ha commesso il fatto.

«Per favore non giudicate le persone che vengono in cerca di un’altra vita, soprattutto i rifugiati politici. Scappano da un dittatore, vengono in Italia e vedono la propria libertà calpestata», ha detto Majidi dopo essere scoppiata in un pianto di gioia. «Persone come me, rifugiati politici, non scappano per avere una vita migliore», ha aggiunto, «fuggono dalla propria terra per cercare un posto sicuro e continuare il proprio attivismo».

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Majidi è scappata dall’Iran, passando prima dal Kurdistan iracheno e poi dalla Turchia, dove si è imbarcata. Il 31 dicembre 2023 è arrivata sulle coste calabresi dopo cinque giorni di navigazione. Qui è stata subito arrestata perché accusata di aver aiutato il capitano distribuendo cibo e acqua. «Hostess», l’ha definita nella requisitoria la pm Rosaria Multari, che ha chiesto la condanna a 2 anni e 4 mesi, e un milione di euro di multa.

A Majidi è stata tolta la libertà nel paese in cui sperava di ritrovarla, con accuse che, dal primo giorno, ha definito ingiuste. «Non mi aspettavo che in Italia si cercasse un trafficante su una barca di rifugiati», aveva detto a Domani. Nonostante il corpo diventato esile per gli scioperi della fame, Majidi ha sempre lottato per dimostrare non solo che non aveva avuto il ruolo sostenuto dall’accusa, ma anche che chi viene definito «capitano» non ha nulla a che vedere con il traffico di esseri umani.

«Era stata vittima dei trafficanti di uomini, senza avere con loro alcun rapporto di complicità», ha spiegato in udienza il suo avvocato, Giancarlo Liberati.

Le accuse

Non si è mai arresa di fronte alla versione della pm: dai primi mesi di detenzione, quando la deputata del Pd Laura Boldrini era andata a visitarla in carcere, aveva smontato ostinatamente tutti i pezzi che costruivano l’accusa. «It’s a joke!», diceva. E raccontava: «Mio padre si è venduto tutto per il viaggio», per cui lei e il fratello hanno speso 17mila dollari.

Gli inquirenti avevano basato l’impianto accusatorio sulle testimonianze di due persone su 77 passeggeri. I due, poi diventati irreperibili, hanno spiegato in un video di non aver mai detto quelle parole.

Nelle risposte alle accuse, Majidi evidenziava violazioni del suo diritto di difesa, traduzioni imprecise e fuorvianti, elementi che non erano prova del coinvolgimento nel traffico, ma semplicemente beni utili per chiunque migri: il telefono e i contanti.

Un capro espiatorio

Il tentativo delle autorità italiane di trovare un capro espiatorio in ogni imbarcazione che arriva sulle nostre coste emerge chiaramente dal rapporto di Arci Porco Rosso e Alarm Phone. Quelli che la premier Giorgia Meloni ha giurato di cercare «lungo tutto il globo terracqueo», «gli scafisti», sono nella maggior parte dei casi migranti che non hanno soldi per pagare il viaggio, oppure sono stati costretti a prendere il timone in momenti di difficoltà. Nei fatti, persone estranee al traffico.

«Come ha detto Maysoon, questa vicenda non deve rimanere isolata, è rappresentativa», commenta Emanuele Pinto del Comitato Free Maysoon. «Il caso di Majidi spiega perfettamente come funzionano le logiche di criminalizzazione. Hanno assolto lei, ma molte persone continuano a essere condannate e criminalizzate». Per Boldrini «la sua storia è emblematica di come in Italia oggi il destino di chi scappa da regimi totalitari sia appeso a un filo». «Giustizia è stata fatta», ha aggiunto.

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Ma il prezzo, anche psicologico, è stato alto, per una donna che sogna la libertà non solo per sé, ma per tutti e tutte. «Io vengo da una terra dove c’era tutto non mancava niente», ha detto Majidi, «l’unica cosa che mancava era la libertà che era nelle mani di un usurpatore».

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