AI literacy: come costruire una vera cultura digitale nelle imprese

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Di AI (generativa) e Large Language Models (LLM) sentiamo ormai parlare ogni giorno, nuovo mantra della modernità e dello sviluppo di impresa dopo un lustro e più all’insegna della sostenibilità.

Intendiamoci, non sto dicendo che l’onda di attenzione per l’intelligenza artificiale sia un fenomeno negativo. Al contrario, ha certamente contribuito a stimolare una spinta decisiva verso l’innovazione anche in comunità ancorate a pratiche e dinamiche di sviluppo più conservative.  

E tuttavia è opportuno guardare al fenomeno da un’angolazione più ampia e distaccata.

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Di cosa parliamo quanto parliamo di AI?

Se sono gli sviluppi degli LLM e dei modelli generativi i fattori scatenanti del recente interesse per l’intelligenza artificiale, vale la pena notare che le tecniche di AI analitica, una denominazione molto efficace adottata da un recente articolo apparso su Harvard Business Review (Davenport & High, 2024), sono disponibili da tempo e rappresentano strumenti ancora importanti e tutt’altro che obsoleti in molti contesti, aziendali e non.

Al di là delle differenze sul piano tecnico ─ gli algoritmi sottostanti, la struttura dei dati ─ è interessante soffermarsi sugli ambiti profondamente diversi delle applicazioni servite dall’AI generativa e da quella analitica.

Laddove i modelli generativi sono progettati per produrre contenuti originali – testi, immagini, musica, codice di programmazione e molto altro – i modelli analitici ricomprendono sistemi fondati su dati strutturati e metodi progettati per compiti specifici quali predizione, classificazione e profilazione, fondamentali nei processi di decision making nei contesti più diversi: dalla guida automatica, alla manutenzione (ci informano quando uno strumento o una componente richiede un intervento), all’andamento dei mercati (nel commercio come nella finanza), alla profilazione degli utenti di un servizio o di un prodotto.

La natura di questi compiti, per quanto diversa, è talvolta complementare. Ad esempio, nella definizione di una strategia di marketing, l’AI analitica potrà indicare i segmenti di mercato più promettenti in relazione al sentiment emergente, mentre l’AI generativa fornirà supporto nella creazione dei messaggi promozionali.

Prima di guardare alle implicazioni di questa distinzione, di natura e compiti, sulle strategie aziendali, vale la pena di analizzare brevemente lo stato dell’arte nell’utilizzo dell’AI nelle aziende.

Quante aziende usano l’AI? Quale AI? Con quali risultati?

Sul piano internazionale, la fotografia che emerge dal report pubblicato da McKinsey a maggio 2024 (QuantumBlack – AI by McKinsey, 2024), individua il 2023 come anno di svolta, con una percentuale di utilizzo di tecnologie AI che raggiunge il 72% delle aziende dopo un quinquennio (dal 2019) durante il quale la percentuale si era assestata più o meno stabilmente al 50%.  A questo incremento contribuisce in modo decisivo l’AI generativa con una percentuale di adozione che in poco più di 15 mesi sale al 65% e una crescita corrispondente del personale coinvolto e degli investimenti nelle tecnologie rilevanti. D’altra parte, la stessa analisi rileva un’attenzione significativa e ugualmente crescente per i modelli analitici, dai quali si attendono effetti di riduzione dei costi e di generazione di utili paragonabili a quelli attesi dai sistemi generativi.

A fronte di questa curva di crescita, lo studio di BCG pubblicato a ottobre 2024 (Boston Consulting Group, 2024) rileva una situazione in cui i ritorni dagli investimenti e dall’adozione delle tecnologie di intelligenza artificiale,  generativa o analitica,  sono ancora patrimonio di una percentuale largamente minoritaria di aziende, costituita dal solo 26% che ha sviluppato la maturità necessaria per superare il livello della proof-of-concept e cominciare a generare valore.

Un’altra interessante analisi condotta da Fabrizio Dell’Acqua e altri colleghi (Dell’Acqua & al., 2023) dimostra come l’efficacia degli strumenti di intelligenza artificiale, in questo caso dei modelli generativi, dipende in modo decisivo dal loro ambito di utilizzo. Nello specifico, lo studio, rivolto ad oltre 750 consulenti di AI, rivela incrementi di produttività e di qualità significativi in applicazioni e compiti all’interno della “frontiera di efficacia dei modelli”, mentre causa perdita di qualità e produttività fino al 19% quando gli strumenti di AI sono impiegati in ambiti che superano la frontiera.

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Cosa ci dicono questi dati? Da un lato ci danno evidenza che ci troviamo in una fase della transizione verso un impiego maturo e consapevole delle tecnologie di intelligenza artificiale che, per quanto attiva e in rapido sviluppo, appare ancora iniziale. Dall’altro confermano l’esigenza di gestire la transizione con strumenti e strategie adeguate.

Le persone e i processi al centro della transizione

L’analisi di (Dell’Acqua & al., 2023) è particolarmente significativa a questo riguardo. Ci segnala in particolare la necessità da parte delle organizzazioni di saper selezionare gli strumenti adeguati ai diversi compiti per i quali gli stessi strumenti sono impiegati. Nel caso di specie, il tema si pone come necessità di individuare gli ambiti in cui i modelli generativi sono efficaci e di saper riconoscere quando le risposte che i modelli forniscono sono scorrette o poco adeguate (un tema, il rischio di risposte scorrette, rilevato come elemento di attenzione anche dall’analisi di McKinsey). Ma la questione evidentemente è più generale e richiama alla necessità da parte delle imprese di formare il proprio personale e la propria leadership.

Alla stessa conclusione arriva l’analisi di BCG citata in precedenza, che segnala l’investimento sulle persone come vera priorità, individuando nel 70% la percentuale di risorse da impegnare nella formazione, ripartendo le risorse residue in investimenti in tecnologia e processi (per il 20%) e negli algoritmi per il 10%.

La distanza tra domanda e disponibilità di competenze digitali si conferma dunque una delle principali sfide nell’era digitale e l’investimento nelle persone e nella loro formazione emerge come la vera chiave per affrontare la sfida. Un tema particolarmente critico per le piccole e medie imprese che spesso mancano sia della massa critica necessaria per migliorare le competenze dei propri dipendenti tramite programmi di formazione interna, così come del know-how per individuare altre soluzioni per supportare i loro percorsi di innovazione.

Si tratta di costruire e far crescere a tutti i livelli quella che in inglese possiamo sintetizzare con l’allocuzione AI literacy, ovvero la piena capacità di utilizzare e valutare in modo critico le tecnologie e gli algoritmi, comprendendone gli aspetti tecnici, selezionando gli ambiti di impiego più efficace e sapendone individuare i limiti. Una capacità fondamentale per la leadership aziendale, così come per il management a tutti i livelli e per il personale tecnico al fine di saper identificare le opportunità e le priorità, definire le strategie, riorganizzare i processi e, non ultimo, superare la paura dell’impatto sul lavoro.

AI Literacy, quali contenuti

Costruire una cultura digitale e dell’AI richiede una strategia articolata sui diversi i piani di necessità e di sfida.

C’è un piano squisitamente tecnico, riferito ai diversi sistemi di AI di cui abbiamo detto in apertura.

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I modelli di AI analitica richiedono competenze sui metodi di strutturazione e di misura dei dati nonché conoscenza dei meccanismi statistici che sottendono le capacità predittive e di classificazione di questi modelli. Si tratta di contenuti formativi di natura classica, ampiamente coperti dai programmi di formazione matematico-statistica e informatica, che tuttavia devono declinarsi all’interno dei contesti aziendali e servire alla risoluzione di problemi complessi, la cui natura, spesso interdisciplinare, richiede al contempo attitudine al pensiero critico e al problem solving

Diverso il tema per sistemi di AI generativa, per i quali è cruciale acquisire conoscenze di quello che viene comunemente definito prompt engineering ovvero la capacità di formulare richieste efficaci in grado di guidare i modelli generativi a produrre l’output desiderato. Le competenze richieste sia per guidare il sistema, sia per giudicare il risultato e correggerlo laddove sia scorretto o inadeguato dipendono evidentemente dal contesto di applicazione.

Così, ad esempio, per interagire con un sistema di content creation è necessario conoscere a fondo i meccanismi della comunicazione, oltre che evidentemente dello specifico campo di cui si parla, mentre per utilizzare un sistema di generazione di codice di programmazione (ce ne sono di molto potenti) è necessario avere una solida formazione di programmazione e di ingegneria del software.  Ciò detto, quale che sia il contesto, presupposti fondamentali per un’interazione efficace con questi sistemi nei contesti aziendali sono la disposizione alla soluzione di problemi complessi e all’interazione in team interdisciplinari.

AI Literacy, quali modelli di formazione

Se la scelta dei contenuti rappresenta un elemento importante nelle strategie di costruzione di una cultura digitale e dell’intelligenza artificiale, altrettanto importante è la scelta dei modelli della formazione, che devono saper rispondere a due ordini necessità. Il primo, di breve termine, è dotare le aziende delle competenze richieste per un utilizzo efficace degli strumenti, nonché per una gestione consapevole dell’informazione di servizi, anche in relazione agli aspetti di sicurezza e privacy. La seconda esigenza a cui la formazione deve rispondere è di medio-lungo termine e riguarda la costruzione di una cultura del digitale e dell’AI che deve necessariamente riguardare nei percorsi di formazione scolastica e universitaria: evitando gli stereotipi che troppo spesso confondono conoscenza dei metodi con l’utilizzo degli strumenti, e contestualizzando invece le competenze in un quadro di conoscenze ampio, articolato e trasversale.

Nuovi modelli di apprendimento

Coniugare queste due esigenze diventa oggi prioritario. Ne sono ben consapevoli le università, le vocational schools, le business school e le stesse aziende, che cercano connessioni sempre più strette nei programmi di “continuing education” e nei nuovi modelli di formazione fondati su approcci apprendimento attivo, challenge-based, in cui team di studenti vengono coinvolti nella richiesta di rispondere a sfide tratte da casi aziendali concreti attraverso percorsi collaborativi di indagine e analisi del problema, ideazione di soluzioni e sviluppo di piani di realizzazione.  

Questi nuovi modelli di apprendimento, che si vanno via via affermando negli istituti universitari e nelle scuole di business sul piano internazionale appaiono la migliore risposta alla doppia esigenza, di formazione della popolazione studentesca e di innovazione di impresa.  Sul piano della formazione, favoriscono lo sviluppo di pensiero critico e delle capacità di problem solving oltreché la crescita di quelle soft-skills (lavoro collaborativo, capacità comunicativa e di leadeship) preziose per una maturazione personale e professionale. Sul piano dell’innovazione, apre l’opportunità di creare virtuosi “cortocircuiti” estremamente efficaci nel ridurre le distanze tra domanda e offerta di competenze e nell’accelerare i percorsi di innovazione.

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L’Italia e la transizione verso l’AI: un problema di tempi

Una considerazione puntuale rispetto ai tempi e modi della formazione merita la situazione nel nostro paese.

A fronte dei dati rilevati dalle agenzie di consulenza internazionale citate in precedenza, l’indagine ISTAT sul grado della digitalizzazione delle imprese italiane (ISTAT, 2023) rileva che solo il 5% delle imprese con più di 10 dipendenti utilizza tecnologie di intelligenza artificiale.

È un dato che non deve sorprendere: sappiamo da tempo che l’Italia ha un problema di ritardo nell’adozione del digitale (ce lo dice, dal 2014, l’indice DESI della Commissione Europea). E d’altra parte è un dato che deve preoccuparci più che in passato, perché la velocità che l’intelligenza artificiale ha impresso alla trasformazione è molto più elevata anche nei passaggi precedenti.

Se infatti le ultime grandi innovazioni digitali – i sistemi ERP prima e internet e la e-economy poi – hanno impiegato oltre un decennio ad affermarsi nelle realtà aziendali internazionali (erano gli anni tra l’ultima decade del secolo scorso e la prima del secolo corrente), i tempi con cui l’intelligenza artificiale sta trasformando il nostro modo di vivere e le strategie di impresa richiede oggi una capacità di adeguamento molto più rapido. Nei prossimi cinque anni potrebbe giocarsi il futuro di competitività delle nostre imprese, in particolare di quel tessuto di piccole e medie imprese che rappresentano oltre il 90% della forza produttiva italiana.

La sfida delle competenze: le iniziative in Italia

Riconosciuta come una questione di interesse nazionale, la carenza di competenze digitali che si registra nel paese è diventata già da tempo il fulcro di un’agenda strategica promossa dal governo con l’obiettivo di colmare il divario digitale e a promuovere la formazione sulle nuove tecnologie.

Un passo significativo è stato compiuto con il piano Industria 4.0 che già nel 2016, oltre a prevedere incentivi e misure di supporto agli investimenti nelle tecnologie e nei progetti di trasformazione digitale, ha riconosciuto nella formazione e nell’istruzione due strumenti fondamentali, promuovendo una serie iniziative volte sia alla riqualificazione delle competenze della forza lavoro sia a favorire l’integrazione di contenuti legati alle tecnologie digitali nei percorsi educativi con un investimento importante sulla formazione professionale terziaria e negli istituiti Istituti Tecnici Superiori (ITS).  

I progetti ITS 4.0 e Upskill 4.0

Tra le varie iniziative riconducibili a Industria 4.0, un modello interessante è il progetto ITS 4.0 promosso dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e gestito dall’Università Ca’ Foscari di Venezia con l’obiettivo di coinvolgere gli studenti degli ITS quali protagonisti di programmi di apprendimento attivo costruiti attorno a pratiche di gestione.  

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Al programma ITS 4.0 è seguita l’esperienza confluita nel progetto Upskill 4.0, spinoff dell’Università Ca’ Foscari focalizzata sulla promozione dell’innovazione per le PMI attraverso la connessione di imprese, ITS e università.  A partire dal 2022, Upskill 4.0 ha gestito oltre cento progetti di innovazione in tutto il Paese, sostenuti da molteplici Fondazioni di Origine Bancaria, che hanno coinvolto oltre 500 studennti provenienti da ITS e università in percorsi di innovazione a favore  di aziende operanti nei principali settori del Made in Italy (alimentare, meccanico, moda, arredamento e altro ancora).  I risultati di questa esperienza, documentati in  (Bugliesi & Micelli , 2024), confermano il valore della connessione tra formazione terziaria e impresa in programmi di apprendimento attivo quale prassi efficace nel promuovere l’innovazione digitale nelle piccole e medie imprese e ridurre lo skill-mismatch tra domanda e offerta di competenze.

Le iniziative promosse dal Fondo Repubblica Digitale

Nella stessa direzione vanno alcune delle iniziative promosse dal Fondo Repubblica Digitale, istituito nel 2021 dal Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale e dall’Associazione delle Fondazioni di Origina Bancaria e delle Casse di Risparmio (ACRI)  con l’obiettivo di accrescere le competenze digitali, anche allo scopo di migliorare gli indicatori del Paese riferiti all’indice DESI.

Passi di un percorso che è strategicamente importante perseguire con la forza e l’urgenza necessarie a garantire competitività a un tessuto produttivo che ha grandi margini di sviluppo ma che rischia di rimanere irrimediabilmente al margine in assenza di risposte efficaci e tempestive.

Bibliografia

Boston Consulting Group. (2024, October). Where’s the Value in AI. https://www.bcg.com/publications/2024/wheres-value-in-ai

Bugliesi, M., & Micelli , S. (2024). Fostering SMEs Digital Innovation through Advanced Training and Design Thinking. Italy as a Case Study. In G. Prastacos, & N. Pouloudi (Ed.), Leading and Managing in the Digital Era. Lecture Notes in Information Systems and Organisation, Volume 69, pp. 121-133. Springer . https://link.springer.com/book/10.1007/978-3-031-65782-5

Davenport, T. H., & High, P. (2024, Dec 13). How Gen AI and Analytical AI Differ – and When to Use Each. Harvard Business Review.

https://hbr.org/2024/12/how-gen-ai-and-analytical-ai-differ-and-when-to-use-each

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Finanziamenti e contributi

 

Dell’Acqua, F., et al. (2023, Sep). Navigating the Jagged Technological Frontier: Field Experimental Evidence of the Effects of AI on KnowledgeWorker Productivity and Quality. (Working Paper No. 24-013). https://ssrn.com/abstract=4573321

ISTAT. (2023). Report Imprese 2023.

https://www.istat.it/it/files/2023/12/report-imprese_2023.pdf

QuantumBlack – AI by McKinsey. (2024). The state of AI in early 2024. McKinsey & Company. https://www.mckinsey.com/capabilities/quantumblack/our-insights/the-state-of-ai/



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