La sinistra larga di Aldo Tortorella, ferma sui valori ma nuova

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Un grande se ne va, Aldo Tortorella, il partigiano Alessio, presto avrebbe compiuto cent’anni. Eppure, o forse per questo, senti il dispiacere e l’ansia per un altro filo che si spezza tra memoria e futuro. Si sa, l’addio alla vita è parte della vita e attraversare quasi un secolo non è poco. A noi rimane il rammarico per un protagonista dell’infinito cammino della sinistra che non avrà più voce. Altre e altri sapranno scrivere di lui e ne scaturirà il racconto denso di chi ha attraversato stagioni e lotte.

È stato giovane resistente, studioso e stimatore della scuola filosofica di Antonio Banfi, di quel “razionalismo critico” poco obbediente allo storicismo crociano diffuso tra intellettuali e dirigenti del Pci. Giornalista e direttore dell’Unità a Milano e Genova, personalità coltissima e con quella sua “r” mancante divulgatore curioso da sempre amico di donne, giovani e degli spiriti critici. Era legato alla mia città, Milano, ne fu consigliere comunale e più tardi un riferimento per chi, della generazione del ‘68, arrivava come nel mio caso al Pci affascinata dalla sua grandezza popolare, operaia. Assieme a quello con il desiderio di vedere riconosciuti i nuovi diritti, l’autonomia e la libertà di ogni persona in un intreccio permanente con la giustizia sociale.

Per Aldo Tortorella i movimenti, il femminismo con le sue differenze, lo sguardo globale, la questione morale sollevata da Enrico Berlinguer, non erano il paragrafo di un discorso, ma la cultura politica e, dunque, una visione capace di sfidare anche sul piano dell’egemonia l’adeguamento allo status quo e ai poteri dati. Dopo l’assassinio di Aldo Moro e la fine del compromesso storico, Tortorella sostenne Berlinguer sulla linea dell’alternativa. Il Pd di Monza e della Brianza che poco tempo fa, in occasione di una serata partecipata sul segretario più amato, ha proiettato un’intervista di Aldo (in quei giorni malato perché altrimenti sarebbe stato presente), dove raccontava l’alternativa di allora come una sinistra larga, ferma sui valori ma nuova per stare nel cuore di un mondo nuovo. A pensarci è una scommessa attualissima di fronte a una destra plutocratica e tecnocratica che vuole la rivincita sulla democrazia e su un sogno di pace. Una sinistra globale che, tenuti fermi i suoi principi fondanti, dovrà ripensarsi nel cambiamento e nei conflitti.

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Ecco, anche per tutto questo Aldo ci mancherà. È vero, espresse il suo “no” alla svolta di Achille Occhetto, a differenza di altri e mia per i quali quella fu una scommessa necessaria. Mesi di confronto vero, di sofferenze e, per quanto mi riguarda, con la passione di rincontrarsi poi. La sua opposizione nasceva anche dall’idea che fosse un’operazione priva della sufficiente profondità e di una adeguata elaborazione teorica. È altrettanto vero che, a mio ricordo, fu tra i più autorevoli protagonisti del congresso del “nuovo corso” (il XVIII), quello della democrazia a cui non va sottratto alcun potere, e pure in quel passaggio per noi più giovani fu un maestro. Era diverso da altri suoi coetanei prestigiosi. A me ricorda un altro grande, Emanuele Macaluso. Fra loro idee diverse, ma entrambi eterodossi e spiriti liberi. Insomma, a lui e a Emanuele non fatico a dire grazie, sono stati uomini a cui ho voluto bene.

Avrei qualche ricordo, ma in particolare uno lo voglio lasciare. Era il 1981, non so come da giovane responsabile delle donne di Milano mi venne in mente, ci venne in mente, un convegno sui sentimenti. I sentimenti e l’amore, i sentimenti e la giustizia, il lavoro, la cultura e la politica. Era una rottura, se ne discusse fino nella segreteria nazionale. E chi scelse di esserci? Lui, Aldo Tortorella, che in conclusione disse fra l’altro qualcosa che ricordo così, “stare con la gente, sì gente ma non conformista”.  È uno di quei casi dove è un peccato non aver avuto a disposizione le tecnologie di ora – un iPhone o un telefonino – ma molto è comunque restato. Sono vicina a chi lo ha molto amato e a Chiara Valentini della quale lui stesso ci ha parlato con dolcezza nell’ultima intervista rilasciata su Robinson ad Antonio Gnoli.  L’albero buono regala i frutti buoni e allora di quella pianta vogliamo che nella nostra Milano che è stata anche sua qualcosa di bello rimanga.    



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