Il governo ha sicuramente fornito una versione non veritiera dei fatti, ma in questi casi non è facile raccontare le cose come stanno; non ci si sottrae alle critiche interne e si aggravano le difficoltà a livello dei rapporti internazionali. Di vie d’uscita ce ne è una sola: quella di abbozzare in nome della ragion di Stato che di solito non ha nulla da spartire con l’etica pubblica.
Mettiamo il caso che il governo avesse deciso di rendere ufficiale quella narrazione che in privato ognuno intuisce. E che il ministro Piantedosi, spalleggiato da Nordio, si fosse presentato alla Camera ad esporre le seguenti comunicazioni sulla vicenda del generale libico: “Onorevoli colleghi, la Corte penale internazionale (CPI) ci ha combinato uno scherzo da prete, spiccando un mandato di arresto nei confronti di un generale libico che è capo della polizia giudiziaria di quel Paese, per di più uomo ‘de panza’ del governo di Tripoli che è riconosciuto dalla comunità internazionale. Questo Almasri è oggetto di accuse gravissime e di crimini contro l’umanità. Il generale è in giro per l’Europa da diversi giorni, soggiornando liberamente in altri paesi. L’arresto è stato effettuato dalla Digos a Torino dove era arrivato per vedere una partita importante del campionato di calcio. Tutto ciò premesso – avrebbe potuto aggiungere il ministro – il governo non ha nessuna intenzione di trovarsi implicato in un altro caso Cecilia Sala. E quindi si attiverà per prevenire ogni possibile rappresaglia assai prevedibile conoscendo i nostri interlocutori in questo incidente”.
Bruno Vespa e il lavoro sporco dei servizi segreti
Ovviamente, un discorso siffatto tenuto in sede ufficiale da un ministro (quando Bruno Vespa si è azzardato a pronunciare quelle parole ha subito un linciaggio mediatico) sarebbe stato sommerso da critiche politicamente corrette. Così il governo ha imbastito una versione dei fatti credibile soltanto per coloro che erano disposti ad accettare e a condividere, una “ragion di Stato” che – per sua natura – è riservata. Opporre, inoltre, la “ragion di Stato” nelle questioni internazionali rende un pessimo servizio – al cospetto dell’opinione pubblica – alla credibilità e onorabilità del governo che se ne avvale. Ecco dunque l’opportunità di quel fair play di cui si parlava all’inizio nei confronti del lavoro sporco dei servizi segreti. Vedendo la linea di condotta delle opposizioni viene però un dubbio. Per non avere problemi nel caso Almasri, il governo avrebbe dovuto suggerire ai libici di sequestrare magari un dirigente dell’Eni (meglio se donna) per poter fare uno scambio? L’avere evitato questa messa in scena, ben più complicata da gestire, ha consegnato il governo nelle mani di interlocutori sleali, disposti a sparare sulla Croce rossa pur di dimostrare la loro esistenza in vita.
Il caso Cecilia Sala
A pensarci bene, anche nel caso di Cecilia Sala, il governo aveva badato di più al risultato che alle procedure. I servizi erano verosimilmente entrati in azione subito, stabilendo contatti con quelli iraniani; altrimenti non si spiega come sarebbe stato possibile ipotizzare da subito un collegamento tra l’arresto dell’ingegnere inseguito da un mandato Usa e il sequestro della giornalista. È altresì plausibile che persino la genericità dell’imputazione sia stata concordata, dal momento che una più circostanziata e grave avrebbe comportato maggiori difficoltà per lo scambio. Poi, alla fine, il ministro Nordio, per non avere impedimenti nel portare a termine l’operazione, ha voluto anticipare la liberazione dell’iraniano rispetto alla pronuncia della Corte di Appello sulla concessione degli arresti domiciliari, rifiutata in primo grado. Durante quei giorni di angoscia per le condizioni della nostra concittadina nelle mani dei pasdaran, tutti, anche dall’opposizione, si rivolgevano al governo con la richiesta di “liberare Cecilia”, magari nella convinzione che il governo non fosse in grado di riuscirci, come invece è avvenuto con il blitz di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago, che ha lasciato di stucco la politica e l’opinione pubblica. Non sarebbe stato molto popolare mettersi a fare le pulci ad un’operazione tanto inattesa e brillante.
Il caso Almasri è differente
Diverso è il caso del generale Almasri, accusato di ogni tipo di nefandezza, perseguito non da una Corte americana ma dalla CPI, la stessa che ha emesso un mandato d’arresto per Bibi Netanyahu, guadagnandosi così la simpatia dell’universo pro-Pal. Anche le procure hanno un cuore. E soprattutto sanno prendere l’opinione pubblica per il verso giusto quando decidono di gettare la spada di Brenno sulla bilancia traballante della giustizia.
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