Caro on. Viti. Ma quel Manifesto non può offrire solo visioni

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Bene il dibattito in pubblico, opportunità sempre più rara nella Città dei Sassi e di tanti titoli , spesso traditi che continuano a restare sulla carta intestata, ma il ”Manifesto” per la buona politica di Matera, https://giornalemio.it/politica/buona-politica-per-matera-ce-un-manifesto-chi-lo-sottoscrive/ , presentato nei giorni scorsi all’Hotel san Domenico dall’on Vincenzo Viti e dall’architetto Lorenzo Rota ha il fiato corto delle cose rimaste a metà o sospese. Un manifesto o un programma? si sono chiesti in tanti. Michele Morelli nella lunga e articolata riflessione che segue osserva e commenta dove ci sono buchi di analisi che richiedono, di pari passo, un ”mea culpa” da parti di quanti protagonisti delle stagioni di evoluzione e poi di involuzione del dibattito e della buona politica cittadina hanno portato pericolose derive. E nel ”parterre de roi”, alla corte del re… ce n’erano tanti attesi sulla via di Damasco o di via Aldo Moro se preferite. ”Il manifesto, infine, ha bisogno di interpreti autorevoli e capaci, non bastano i generici appelli alla buona politica-commenta Morelli. I “guasti” (che non sono solo da addebitare al turismo di massa) non sono altro che il risultato del mal governo della città, perpetrato da decenni da una classe dirigente che ha sempre anteposto i propri interessi al bene comune. Le occasioni e le risorse di certo non sono mancate. La stessa classe dirigente che in larga parte gremiva il “parterre de roi”, figure autorevoli ma non certo adatte a guidare il cambiamento, a riformare la politica e le scelte strategiche necessarie.La città ha bisogno di una politica trasparente, aperta e meritocratica. Le scelte strategiche si discutono in pubblico, e l’onorevole ancora una volta lo ha fatto e lo ringraziamo.Ci si augura, questa volta, coerenza” . C’è una campagna elettorale in corso vediamo quanti avranno volontà e serietà di farlo.

Il Manifesto “Matera città d’arte e cultura” dell’Onorevole.
Ha fatto impressione il “parterre de roi” in sala il giorno della presentazione, come raramente capita e che solo l’autorevolezza del nostro è in grado di richiamare. Un pubblico composto per lo  più da “anziani”, alcuni dei quali la stessa Elly Schlein non avrebbe avuto difficoltà a definire “piccoli cacicchi” e “capibastone” . Quasi tutti con esperienza di governo (locale e regionale) di centro sinistra, che danno l’idea di una classe dirigente pressoché irriformabile.
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Il Manifesto dell’Onorevole si presenta non privo di limiti e contraddizioni. Limiti e contraddizioni che in qualche modo hanno accompagnato la lunga carriera politica e intellettuale. Giovane talentuoso, capo gruppo democristiano in Consiglio comunale alla fine degli anni Sessanta, si è sempre distinto per la sua grande capacità oratoria e dialettica. Doti che contribuirono alla nascita di una maggioranza di governo cittadino a guida DC-PSI con l’appoggio esterno del PCI. A tal proposito Alfonso Pontrandolfi , nella sua lucida analisi della realtà cittadina documentata nel libro La vergogna cancellata. Matera negli anni dello sfollamento dei Sassi, ha scritto “… i partiti di quel singolare rapporto triangolare si dichiararono, ciascuno a suo modo, soddisfatti: il PSI dichiarava la sua soddisfazione per il rientro in giunta avvenuto con la copertura a sinistra del PCI; la DC dichiarava che l’intesa DC-PSI non era chiusa al confronto con il PCI; il PCI si dichiarava soddisfatto perché era stato chiaramente detto che la nuova maggioranza non nasceva sulla base degli steccati anticomunisti ma era aperta al contributo critico delle forze popolari di sinistra”.
Altrettanto intelligentemente  Leonardo Sacco commentò sulla rivista Basilicata: “A Matera la DC aveva aperto a sinistra ma a modo suo e le sinistre, con soddisfazione, avevano incassato l’apertura che si meritavano”.

Il merito di questa operazione la si può attribuire senza dubbio all’abilità politica dell’Onorevole. Abile comunicatore, furono tanti i suoi interventi sulla stampa locale a sostegno  del Rapporto Musacchio. E, a proposito del Rapporto, ne fece un uso a dir poco strumentale per giustificare le abnormi previsioni del  secondo PRG Piccinato (quello della crescita demografica, dell’espansione e dell’intensificazione urbana). Lo stesso Piccinato, cosciente dei cambiamenti in città, manifestò, in più occasioni, preoccupazione per le affioranti spinte “che un tempo non esistevano”, la nascita di nuovi soggetti fortemente interessati alla “rendita fondiaria e alla speculazione edilizia”.
Durante la discussione sul nuovo piano regolatore, non mancheranno le accuse nei confronti di amministratori comunali impegnati a condizionare le scelte urbanistiche della città in favore del “superpartito dell’edilizia”. Riprendere il filo della storia della  nostra città è  importante, prima che “il virus poco coronato dalla insipienza dissolva tutto nel grande rogo del nulla” (Vincenzo Viti).

Ricordavamo,  qualche giorno fa, a proposito del lascito dell’esperienza “Progressista” cosa ha dovuto subire la nostra città sul piano urbanistico negli anni Ottanta e inizi degli anni Novanta. Gli anni d’oro del rampantismo in  politica che poco o nulla ha a che fare con il rigore degasperiano  o olivettiano. La stagione delle  “rose rosse” in campagna elettorale, della spesa pubblica e del debito da scaricare sulle future generazioni. Gli anni del “familismo” e delle “raccomandazioni”,  delle umilianti file, per sperare in un “posto fisso”  (in ospedale, alle poste o nei vari consorzi).
Ha fatto impressione il “parterre de roi” in sala il giorno della presentazione, come raramente capita e che solo l’autorevolezza del nostro è in grado di richiamare. Un pubblico composto per lo  più da “anziani”, alcuni dei quali la stessa Elly Schlein non avrebbe avuto difficoltà a definire “piccoli cacicchi” e “capibastone” . Quasi tutti con esperienza di governo (locale e regionale) di centro sinistra, che danno l’idea di una classe dirigente pressoché irriformabile.
Il Manifesto, presentato in questi giorni, si muove in più direzioni, evoca  visioni di crescita , ricca di spunti ed azioni possibili,  tante idee dove non è difficile trovare connessioni. Si denunciano gli effetti devastanti dell’over turismo e del “piano casa” e ci si  dimentica di ricordare quali furono le politiche e i protagonisti che le hanno prodotte. Dai tradimenti compiuti alla residenzialità di cui la legge 771/86 ne sanciva il primato, ai programma di recupero stravolti da una gestione discrezionale delle sub-concessioni in deroga che hanno trasformato gli antichi rioni in un “non luogo”.
Effetti devastanti del “piano casa”, che ha stravolto la pianificazione urbanistica della città. Effetti devastanti da addebitare ad una legge regionale (lr. 25/2012), approvata da una maggioranza di governo di centro sinistra a guida De Filippo che nessuno ha avuto il “coraggio” di modificare  (l’Onorevole in quella legislatura fu prima capogruppo del PD poi assessore). Con l’approvazione del RU2021 l’Amministrazione Bernardi ha avuto la possibilità di rimediare, non lo ha fatto.

Il richiamo a nuove infrastrutture stradali contraddice la “sostenibilità” della proposta. Come spesso ci ricorda ISPES, le infrastrutture stradali incidono sul consumo di suolo per il 70%. Due terzi delle nostre città sono fatte di sole strade. Il PUMS può  aiutare a rendere la mobilità urbana più sostenibile. La metrotranvia può rappresentare una buona occasione, insieme al decentramento dei  servizi. E se riflettessimo un po’, il tratto urbano della metrotranvia può  aiutarci a connettere pezzi di città disconnessi (vedi la disastrosa lottizzazione Quadrifoglio).

Concentrare i nostri sforzi futuri sulla manutenzione e l’ottimizzazione delle infrastrutture esistente, questo sì sarebbe un approccio “sostenibile”.
Sul piano della tutela dei patrimoni, della ricerca e della valorizzazione non si può non condividere alcune affermazioni riportate nel documento. Anche se non manca, in molti passaggi, la retorica del ruolo e della funzione direzionale nei confronti del proprio comprensorio, della città “ben organizzata nella sua struttura urbanistica” e nelle sue “nuove forme di democrazia partecipata” (tutto da ricostruire).
Cosa si intende per “struttura urbanistica ben organizzata”?
Come si conciliano le trasformazioni in atto, in ambito urbano e nel periurbano?
Cosa si intende fare nell’area dismessa ex Barilla?

Cosa si intende per nuove forme di democrazia partecipata? Sono forse i comitati di quartiere o le consulte che avevano promesso di realizzare negli anni ’70?. Avremmo preferito, come ha osservato don Basilio Gavazzeni, qualcosa di più profondo sui temi delle politiche sociali e del lavoro. Sarebbe stato interessante conoscere lo stato di attuazione del Piano Sociale di Zona e di come si intende aggiornarlo. Come si conciliano le politiche di “welfare comunitario” (oggi pressoché inesistente) con le nuove frontiere del business delle RSA ( sempre più lontane dal contesto cittadino, collocate nelle aree industriali o nei lontani borgo rurali).
Semplificando, possiamo dire che condividiamo tutte quelle azioni che fanno riferimento ad una idea di cura del proprio patrimonio (culturale, paesaggistico, naturalistico e ambientale) e di sostenibilità d’uso. Tutte quelle azioni che si possono realizzare, in campo sociale e culturale, nel breve e medio periodo. Tutte quelle azioni che concorrono a rafforzare il senso di responsabilità e condivisione nei confronti del prossimo e del creato (Enciclica “Laudato si’ di Papa Francesco ).

Una città che aspira ad essere “d’arte e cultura” deve altresì assicurare la costante fruibilità e gestione ordinata del suo “patrimonio” e delle sue “infrastrutture culturali”. La riflessione sul ruolo della Fondazione 2019 ci è sembrata scarna. Così come ci sembra necessaria una riflessione sul ruolo che potrebbe assolvere la stessa fondazione nella gestione di alcuni luoghi strategici della cultura (se decidessimo di esternalizzare la governance, museo Demo-Etno-Antropologico, circuito urbano delle chiese rupestri, Parco delle Cave, Teatro Duni).

Si ipotizzano nuove “avventure infrastrutturali” di eccellenza e continuiamo a non capire come si intende affrontare la questione della Biblioteca T. Stigliani, rafforzare l’Archivio di Stato e il Polo Universitario. Le nostre cassaforti di conoscenza. ( A proposito dell’Archivio di Stato, ricordiamo l’immobile “offerto” dall’ex sindaco DeRuggieri al Direttore Generale degli Archivi di Stato per la nuova sede in contrada San Francesco e il cambio di destinazione d’uso dell’ex cinema Quinto approvato dalla maggioranza dell’ex sindaco Bennardi con il RU2021).
Nel Manifesto manca una riflessione puntuale sulle infrastrutture di base, di prossimità, a scala di quartiere. Il comune è ricco di contenitori pubblici (spesso in stato di degrado) che possono essere messi a disposizione per realizzare un sistema di infrastrutture diffuso di welfare sociale e culturale (applicando il principio di sussidiarietà orizzontale, trasformando edifici pubblici abbandonati in luoghi di aggregazione giovanili, centri sociali dedicati alle arti visive, alla fotografia, alla scultura, alla pittura, alla musica, alla danza, biblioteche di quartiere, centri socio educativi per bambini, piccoli teatri…). Spazi attrezzati che offrono le condizioni strutturali e di servizio per favorire la ricerca, la promozione e lo sviluppo di nuove attività e progetti ad alta utilità sociale. L’obiettivo è creare in ogni luogo della città (non solo al centro) un ambiente culturalmente stimolante . Realizzare, in sostanza, spazi laboratoriali per la creatività nelle realtà periferiche.

Nella nostra città esiste una rete associativa e creativa che rappresenta una risorsa importante. Dotata di discrete capacità organizzative fortemente radicate con il territorio, che necessità di rafforzare il valore della rete e delle cooperazione, di potenziare i legami con il mondo, con professionisti e centri di eccellenza nazionali ed internazionali. Per la programmazione è necessario riprendere in mano e aggiornare il Piano Quadro sui Sistemi Culturali della città e del suo territorio, dotarlo di un quadro normativo e regolamentare. Recuperare contenuti e pratiche partecipative indicate nel Documento Strategico di Visione Urbana (APQ Lavoro e Politiche Sociali ). Un Nuovo patto con i tanti soggetti creativi e associativi presenti in città, disposti a lavorare per l’adozione di obiettivi condivisi.

Il Manifesto non può solo offrire “visioni”, ma deve fare i conti anche (se non soprattutto) con le risorse e con il tempo a disposizione. Un mandato amministrativo potrebbe non bastare. La parola chiave era ed è “sostenibilità” del programma, con tutte le sue declinazioni: ambientale, economica, finanziaria e sociale.
Il manifesto, infine, ha bisogno di interpreti autorevoli e capaci, non bastano i generici appelli alla buona politica. I “guasti” (che non sono solo da addebitare al turismo di massa) non sono altro che il risultato del mal governo della città, perpetrato da decenni da una classe dirigente che ha sempre anteposto i propri interessi al bene comune. Le occasioni e le risorse di certo non sono mancate. La stessa classe dirigente che in larga parte gremiva il “parterre de roi”, figure autorevoli ma non certo adatte a guidare il cambiamento, a riformare la politica e le scelte strategiche necessarie.
La città ha bisogno di una politica trasparente, aperta e meritocratica. Le scelte strategiche si discutono in pubblico, e l’onorevole ancora una volta lo ha fatto e lo ringraziamo.
Ci si augura, questa volta, coerenza.
Matera, 6 febbraio 2025

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