“Dalla tutela delle terre alte dipende il benessere di tutti”: Dovetta scrive a Meloni e Mattarella

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Dalla tutela e dallo sviluppo sostenibile delle terre alte dipende il benessere di tutti, anche di chi vive in pianura”. È uno dei passaggi conclusivi della lettera che Silvano Dovetta, Sindaco di Venasca, presidente dell’Unione Montana Valle Varaita e consigliere della Provincia di Cuneo ha inviato venerdì 7 febbraio ai Presidenti della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, e del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni. Nel testo, scritto a distanza di circa due mesi dalla Giornata internazionale della Montagna, organizzata nelle due Frabose dal Dipartimento Affari Regionali e Autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri, vengono proposti alcuni temi relativi al futuro della montagna, con l’intento di innescare ulteriori riflessioni in un periodo nel quale il nuovo disegno di legge del Ministro Calderoli si prefigge di migliorare il riconoscimento e la promozione delle zone montane. 

 

Segue il testo integrale della lettera.

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Una riflessione sul futuro della montagna

 

A circa due mesi dallo svolgimento sul territorio provinciale cuneese dal quale Vi scrivo della Giornata internazionale della Montagna, organizzata nelle due Frabose dal Dipartimento Affari Regionali e Autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri, Vi raggiungo per tornare a porre l’accento sul tema della montagna e del suo futuro, nella speranza che possiate promuovere ulteriori riflessioni in un periodo nel quale il nuovo disegno di legge del Ministro Calderoli si prefigge di migliorare il riconoscimento e la promozione delle zone montane.

 

Il mio è un contributo che nasce dall’osservazione diretta dei cambiamenti che hanno interessato la governance delle terre alte negli ultimi decenni, passando da una fase di relativa solidità istituzionale a una situazione di crescente precarietà. Ed è una riflessione che faccio volutamente a distanza di un po’ di tempo da un evento di celebrazione e di festa come quello già citato, perché credo fermamente che, più che festeggiata, la montagna debba essere anche e soprattutto tutelata e curata. Non è semplicemente un paesaggio suggestivo, un luogo dove trascorrere qualche giorno o qualche ora di vacanza, ma un ecosistema complesso che richiede attenzione, cura e una visione strategica rinnovata sia per la tutela del territorio che per la garanzia di offrire opportunità e servizi a chi sceglie di venire a viverci o di continuare a farlo. La montagna, per dirla con parole di Paolo Cognetti, “non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita”.

 

Per queste ragioni, io credo che non possa essere governata dalla città, né possa essere considerata solo come un parco giochi per il fine settimana. Chi la amministra sa bene che richiede una presenza costante, 365 giorni all’anno. Il presidio del territorio non è un concetto astratto: significa famiglie che vi abitano, esercizi commerciali aperti, servizi funzionanti.

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Ci sono alcuni punti che Vi chiedo di tenere a mente, parlando del futuro delle nostre aree montane.

 

Il primo, fondamentale, riguarda la governance territoriale. Fino a vent’anni fa, le Comunità Montane rappresentavano un punto di riferimento essenziale per i territori. Erano enti dotati di competenze chiare e risorse adeguate, capaci di elaborare e attuare piani di sviluppo di valle che guardavano al territorio nella sua interezza. Oggi le Unioni Montane, che in molte Regioni d’Italia le hanno sostituite per via di un affrettato bisogno di cambiamento e ridefinizione del governo delle terre alte, che in Piemonte ha portato prima ad artificiosi accorpamenti e poi alla definitiva soppressione degli enti storici, faticano ancora a trovare una propria identità e, soprattutto, non dispongono degli strumenti necessari per svolgere quel ruolo di coordinamento e sviluppo che è vitale per le nostre valli. È necessario ripristinare un modello di gestione che attribuisca deleghe e risorse significative a questi organismi, proprio come avveniva in passato con i piani di sviluppo di valle. Non si tratta di mettere in atto mere procedure burocratiche, ma di progettare strumenti concreti per valorizzare le risorse locali, promuovere lo sviluppo economico sostenibile, mantenere vivo il tessuto sociale delle aree alpine.

 

Il secondo aspetto cruciale è il presidio del territorio e il mantenimento dei servizi essenziali. La sfida è chiara: una montagna vissuta solo per pochi giorni all’anno è una montagna destinata al declino. Peggio, all’abbandono. Consentitemi di essere chiaro: gli interventi in montagna non servono solo ai pochi che vi abitano stabilmente. Sono essenziali per tutti: per i turisti che la frequentano nei fine settimana, per gli abitanti delle città che la considerano meta di vacanza e soprattutto per chi vive a valle. Quando il territorio montano non è presidiato, quando vengono meno la cura del bosco e la manutenzione dei versanti, i problemi non restano confinati in quota ma scendono inesorabilmente a valle, sotto forma di dissesto idrogeologico e alluvioni. Dobbiamo invece immaginare e costruire un modello di vita montana continuo, che attragga e mantenga le comunità locali. Anche attraverso aiuti economici: penso ad esempio a forme di sostegno per gli esercizi commerciali. Questi non sono infatti semplici attività economiche, ma presidi territoriali fondamentali: devono essere supportati con agevolazioni che consentano loro di operare tutto l’anno e non di aprire soltanto durante le stagioni turistiche. Quando in un piccolo comune chiude l’ultimo negozio, non perdiamo solo un’attività commerciale, ma un presidio sociale insostituibile, un punto di aggregazione della comunità.

 

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Per questo, credo sia necessario ripensare completamente le politiche per la montagna. Chi mantiene aperta un’attività commerciale in un piccolo centro montano dovrebbe godere di un regime fiscale differenziato, perché svolge una funzione sociale che va ben oltre la mera attività economica. Non si può pretendere che un negozio in un paese di montagna paghi le stesse tasse di uno in città, quando deve fare i conti con una clientela ridotta e una forte stagionalità. La questione della stagionalità, del resto, è sempre più critica. I periodi di alta affluenza si accorciano, sia in inverno sia in estate, lasciando lunghi mesi in cui, come si dice dalle nostre parti, “si vedono più animali che persone”. Ma è proprio in questi periodi che la presenza umana è fondamentale per la manutenzione del territorio.

 

Non parliamo poi dei servizi di assistenza medica, che vivono difficoltà crescenti anche in un periodo come quello post Covid che avrebbe potuto, o forse dovuto, portare a ripensamenti anche sotto questo aspetto sempre più critico.

 

Il terzo punto da non trascurare è quello relativo ai servizi di trasporto. Oggi, gli abitanti delle aree montane devono affrontare distanze significative, con tempi di percorrenza lunghi e disagevoli, per recarsi nei centri dove lavorano o dove frequentano le scuole: gli studenti, in particolare, sono costretti a viaggi talvolta estenuanti, con trasferimenti magari di 70 o 80 chilometri e tempi di percorrenza resi più lunghi da coincidenze non sempre ravvicinate. Questi ostacoli non sono solo un problema logistico, ma un deterrente demografico, perché allontanano i giovani dalle aree montane.

 

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Aggiungo ancora un elemento, ultimo ma non meno importante, che riguarda la connettività digitale. Ormai è un elemento indispensabile per tutti, in montagna è ancora però gravemente sottodimensionata. Intendiamoci, non si pretende che ci siano servizi identici a quelli urbani, ma una dotazione tecnologica minima che consenta di poter cogliere le opportunità del digitale, creando le condizioni per trattenere e attirare nuove comunità. In primis penso a questo; solo successivamente secondo me i servizi digitali devono essere visti come un’opportunità per chi sceglie di fare periodi di lavoro da remoto dalla montagna.

 

Come amministratore, vedo ogni giorno chiudere un pezzo della nostra montagna. Vedo giovani che se ne vanno, servizi che si rarefanno, territori che perdono presidio. Non possiamo più permetterci di aspettare: ascoltate questa richiesta di aiuto e interventi. O interveniamo ora, con politiche serie e chiare, o rischiamo di perdere un patrimonio inestimabile. La montagna non è un museo, né un territorio da preservare come oggetto statico o un luogo per il divertimento dei cittadini. È un ambiente vivo, dinamico, che richiede interventi strutturali, visione strategica e un impegno concreto.

 

Auspico quindi che il disegno di legge del Ministro Calderoli sta preparando e che proprio in questi giorni è in esame alla Camera dei Deputati, possa riportare in auge le migliori pratiche del passato – penso certamente alla vecchia legge Carlotto che ha recentemente compiuto trent’anni dalla sua promulgazione e che è di fatto rimasta inattuata in larga parte – senza cadere nella trappola di meccanismi burocratici eccessivamente complessi. Vero è che invece i tagli alle risorse che lo stato trasferisce agli enti locali previsti dalla Legge di Bilancio 2025 sono una pessima notizia e proprio su questo punto nel nostro territorio provinciale si è svolto un incontro tra molti sindaci di Comuni montani e il prefetto di Cuneo per provare a far invertire la rotta di questo provvedimento, che rischia di fare molto male ai territori montani e che indubbiamente manda un messaggio di progressivo abbandono degli enti a loro stessi.

 

Invece, vorrei che si tornasse a parlare con più forza e con maggiore convinzione del tema degli accorpamenti tra enti locali, che fino ad ora sono stati poco praticati: ma davvero si può ritenere ancora oggi funzionale il modello di organizzazione territoriale che salvaguarda l’autonomia di tanti Comuni, magari con 70 o 80 residenti ma con territori molto ampi da governare e uffici comunali sempre meno presidiati e con la richiesta di professionalità sempre più elevate che è difficile acquisire e poi mantenere? Perché non promuovere un ampio ragionamento sul tema, analizzando chiaramente i benefici che possono derivare dal percorso degli accorpamenti, individuando modalità e strategie? In fin dei conti, per le zone di montagna questa strategia non sarebbe altro che un tornare a consuetudini in essere secoli addietro: prima che si affermasse anche in questi territori il modello di governance comunale, infatti, molte aree montane si governavano in forma associata, con ampie autonomie rispetto ad altre zone.

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Le mie non sono certamente critiche, ma suggerimenti che avanzo mettendo a frutto la mia esperienza di amministrazione in montagna, ormai di lungo corso e svolta in vari ruoli, per cercare di portare un contributo propositivo: è tempo di restituire dignità alla montagna e opportunità e fiducia alle sue genti. Non per spirito nostalgico o per difendere privilegi, ammesso che ve ne siano, ma perché dalla tutela e dallo sviluppo sostenibile delle terre alte dipende il benessere di tutti, anche di chi vive in pianura. È una sfida che non possiamo permetterci di perdere.





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