Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
7 febbraio 2025
I dati dell’Organizzazioni delle Nazioni Unite parlano chiaro: la guerra che sta flagellando il Sudan da poco meno di 22 mesi, ha costretto a 11,3 milioni di persone a lasciare le proprie case. Tra questi 2,5 hanno cercato protezione nei Paesi limitrofi, mentre 8,8 sono sfollati. Ben 14 milioni di bambini necessitano assistenza urgente. I più non possono frequentare la scuola, derubati della loro infanzia, dell’istruzione. E non hanno nemmeno accesso all’assistenza sanitaria perché, nelle zone di conflitto, il 70 per cento degli ospedali non è operativo.
Crisi umanitaria
Impossibile contare i morti. Sono decine di migliaia e si continua a morire sotto le bombe, di stenti, di fame.
Eppure il conflitto in Sudan e la sua popolazione continuano ad essere ignorati da gran parte della dei media e dalla comunità internazionale.
I due generali, Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, leader delle Rapid Support Forces (RSF), e Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, de facto presidente e capo dell’esercito (SAF), continuano incessantemente la loro lotta per conquistare il potere. Entrambe le fazioni sono accusate di crimini di guerra. Sia Hemetti, un ex capo dei famigerati janjaweed, sia il capo dello Stato sudanese sono stati sanzionati dal Tesoro dell’amministrazione Biden, poco prima di cedere il testimone a quella di Donald Trump.
Marcia verso Khartoum
Intanto l’esercito sta avanzando verso il centro di Khartoum, nelle mani dei paramilitari sin dall’inizio della guerra. Le RSF negano però che i loro uomini stiano fuggendo dalla capitale. “I combattimenti continuano”, ha dichiarato sui social network Mek Abu Shotal, uno dei leader dei miliziani. Mentre Hassan al-Turabi, un altro responsabile delle RSF, durante una conferenza stampa di pochi giorni fa ha sottolineato che “Il gruppo è sempre coeso e in grado di sconfiggere il nemico e non permetterà all’esercito di entrare a Khartoum”.
Nelle ultime settimane gli attacchi si sono nuovamente intensificati in diverse aree del Paese.
E l’esercito ha fatto sapere di aver riconquistato Umm Rawaba, situata su un’autostrada strategica che collega il Nord Kordofan al Sudan centrale. Da fine gennaio anche Wad Madira, nello Stato di La Gezira è nuovamente nelle mani dei governativi. Migliaia di sfollati stanno tornando a casa, ma molti non troveranno più nulla. Molte abitazioni sono state saccheggiate, danneggiate, distrutte mentre la zona era sotto il controllo dei miliziani.
Chiesta no-fly zone
Bombardamenti su bombardamenti in molte zone. Anche questa settimana l’aeronautica militare di Khartoum ha lanciato bombe su Nyala, capoluogo del Sud Darfur. Ben 34 persone sono state uccise. Mohamed Ahmed Hassan, capo dell’amministrazione civile del Sud Darfur ha rinnovato il suo appello alla comunità internazionale affinché imponga una no-fly zone in Darfur, in particolare sul capoluogo del Sud Darfur, già oggetto di numerosi attacchi da quando è in mano ai ribelli dall’ottobre 2023.
Civili morti
Clémentine Nkweta-Salami, coordinatrice di OCHA (Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari) in Sudan, ha denunciato un sanguinoso attacco a Omdurman, città gemella di Khartoum, sull’altra sponda del Nilo, in un’area controllata dai governativi. In seguito a bombardamenti aerei e artiglieria pesante, gli uomini di Hemetti avrebbero ucciso almeno 56 persone e ferito altre 158 che si trovavano in un mercato orto-frutticolo del centro abitato. E prontamente martedì scorso le RSF, con nuovi raid aerei, hanno centrato un ospedale della città, causando almeno una quarantina di vittime.
La coordinatrice ha severamente condannato anche le altre recenti aggressioni nel Nord-Kordofan (nel centro del Paese) e nel Darfur occidentale. Ovviamente a farne le spese è sempre la popolazione civile e, secondo l’ONU, tali offensive rappresentano gravissime violazioni dei diritti umani. Basti pensare che solamente la scorsa settimana, secondo stime di AFP (riprendendo i dati dell’ONU e dei soccorritori) sarebbero state uccise almeno 191 persone.
Crisi con Sud-Sudan
Intanto non si placano nemmeno le tensioni tra Juba e Khartoum, che accusa il Sud Sudan di appoggiare le RFS. E’ risaputo che almeno 5000 sud sudanesi combattono nei ranghi delle RFS, fatto che il governo di Salva Kiir non nega affatto. “Ma, ha precisato il ministro degli Esteri del Sud Sudan, il mio Paese ha sempre dichiarato la propria neutralità nel conflitto del Sudan”. Ha poi aggiunto che le dichiarazioni di Yasser al-Atta, vice comandante in capo dell’esercito sudanese, sarebbero false e pericolose e Juba le condanna fermamente. Il 20 gennaio al-Atta aveva detto che le RSF – che conta oltre centomila uomini – sono composte per il 65 per cento da sud sudanesi.
Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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