il dramma esistenziale di Mattia Pascal

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Luigi Pirandello, con il suo capolavoro Il fu Mattia Pascal (1904), ci consegna una narrazione densa di interrogativi esistenziali, tra i quali il tema della giustizia emerge con forza come elemento cardine per comprendere le dinamiche individuali e sociali. Questo articolo intende esplorare tale tematica attraverso una prospettiva filosofica e giuridica, analizzando il significato di giustizia non solo come concetto astratto ma anche come esperienza vissuta dal protagonista.

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Giustizia e identità: il dramma dell’individuo

In Il fu Mattia Pascal, Luigi Pirandello esplora il conflitto tra identità e giustizia attraverso la parabola esistenziale del protagonista, che si ritrova intrappolato in un paradosso giuridico ed esistenziale. Considerato morto dalla società, Mattia Pascal ottiene una libertà apparentemente assoluta: sceglie un nuovo nome, una nuova vita, una nuova identità, diventando Adriano Meis. Tuttavia, questa opportunità si rivela presto un’illusione: l’individuo, per quanto libero da vincoli legali, non può esistere al di fuori delle strutture sociali e normative che regolano la collettività.

Pirandello, con questo espediente narrativo, mette in discussione il rapporto tra l’essere umano e la sua identità sociale, sollevando un interrogativo profondo: è possibile svincolarsi completamente dalla propria identità senza cadere in un vuoto giuridico e sociale? La risposta che il romanzo suggerisce è negativa. Senza un riconoscimento ufficiale, Adriano Meis si ritrova privo di diritti e di legami, incapace persino di rivendicare giustizia di fronte a un torto subito. La legge, infatti, tutela solo chi è formalmente inserito nel contesto sociale e istituzionale: chi non ha un nome ufficialmente riconosciuto non ha diritti, non può denunciare un furto, non può sposarsi, non può esistere per lo Stato.

Questa problematica si lega profondamente alla riflessione filosofica sul contratto sociale. Jean-Jacques Rousseau, nella sua opera Il contratto sociale (1762), sostiene che l’individuo, entrando a far parte di una società organizzata, accetta implicitamente di sottostare a un sistema di norme che ne regolano l’appartenenza e garantiscono la convivenza. Mattia Pascal, simulando la propria morte e uscendo da tale sistema, diventa un’anomalia giuridica: non è più vincolato ai doveri di cittadino, ma allo stesso tempo perde i diritti che derivano dall’appartenenza alla società.

Pirandello, quindi, non si limita a narrare una vicenda individuale, ma utilizza il dramma di Mattia-Adriano per mettere in discussione la rigidità delle strutture sociali e la loro incapacità di adattarsi alle contraddizioni dell’esistenza umana. L’identità, anziché essere un fatto puramente soggettivo, si rivela una costruzione imposta dall’esterno, regolata da leggi, documenti e riconoscimenti ufficiali. Il tentativo di sfuggire a questa imposizione si traduce in un’ulteriore prigione: Mattia Pascal, credendosi libero, si scopre invece escluso dal consorzio umano, in un limbo in cui né la giustizia né la società possono riconoscerlo come individuo.

L’esito della vicenda è emblematico: per riottenere una sua identità, Mattia deve tornare ad essere “il fu Mattia Pascal”, riappropriandosi della propria esistenza precedente, sebbene ormai svuotata di senso. Pirandello ci mostra così l’impossibilità di una libertà assoluta all’interno del contesto sociale, evidenziando come la giustizia e l’identità siano due elementi inseparabili, ma al contempo fonte di contraddizioni e conflitti insolubili.

La giustizia come costruzione sociale

Luigi Pirandello, attraverso la vicenda di Il fu Mattia Pascal, ci invita a riflettere sulla giustizia non solo come principio astratto, ma come costruzione sociale, vincolata alle strutture normative e ai meccanismi istituzionali. La giustizia, infatti, non esiste in senso assoluto, bensì si manifesta attraverso il sistema di leggi e convenzioni che regolano la vita collettiva. Tuttavia, questo sistema, pur avendo l’obiettivo di garantire ordine e stabilità, si dimostra inadeguato nel rispondere alle esigenze profonde dell’individuo, come dimostra il caso paradossale di Mattia/Adriano.

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L’assunto hobbesiano, secondo cui la legge è necessaria per prevenire il caos della condizione naturale (homo homini lupus), si scontra con la realtà vissuta dal protagonista. Hobbes immagina lo Stato come un Leviatano che impone norme per evitare la guerra di tutti contro tutti, ma in Il fu Mattia Pascal vediamo un ribaltamento di questa logica: Adriano Meis, che si trova al di fuori del sistema giuridico, non è un pericolo per gli altri, né un sovversivo, ma un individuo impossibilitato a vivere pienamente la propria esistenza. La legge, anziché proteggerlo, lo esclude, mostrandosi incapace di adattarsi a situazioni che non rientrano negli schemi rigidi della burocrazia.

Questo fallimento della giustizia emerge chiaramente nelle limitazioni concrete che Adriano Meis subisce: non può sposarsi, denunciare un furto o esercitare alcun diritto che dipenda dal riconoscimento giuridico della sua esistenza. Questi elementi mostrano come la giustizia, nella sua applicazione pratica, non sia un principio universale, ma un insieme di norme create per amministrare la società secondo criteri storici e contingenti. In questo senso, si può collegare la riflessione di Pirandello alla prospettiva kantiana: Immanuel Kant considera la giustizia un ideale regolativo, ovvero un principio che orienta l’agire umano e la struttura delle leggi, ma che nella realtà concreta è sempre soggetto a imperfezioni e compromessi.

Pirandello, con il suo romanzo, mette in luce proprio questo divario tra l’ideale di giustizia e la sua realizzazione pratica. La legge non è in grado di garantire né la felicità individuale né una vera equità, poiché è costruita su criteri formali che non sempre corrispondono ai bisogni esistenziali dell’essere umano. Mattia Pascal, nel tentativo di liberarsi della sua identità e costruirne una nuova, si scontra con un sistema che non contempla la possibilità di una reinvenzione personale al di fuori dei vincoli giuridici e sociali.

In definitiva, Il fu Mattia Pascal denuncia il carattere artificiale della giustizia, che non è un valore intrinseco della realtà, ma una convenzione sociale il cui scopo principale è mantenere l’ordine più che garantire la realizzazione dell’individuo. Pirandello, con la sua ironia amara, ci mostra come la legge possa rivelarsi un meccanismo cieco e impersonale, più interessato alla coerenza amministrativa che al benessere degli esseri umani.

La giustizia e il senso del tragico

Il tragico in Pirandello si manifesta nella contraddizione insanabile tra l’aspirazione dell’individuo alla libertà e le regole imposte dalla società, un conflitto che assume una dimensione esistenziale e giuridica insieme. In Il fu Mattia Pascal, questa tensione emerge con particolare evidenza nella vicenda del protagonista, il quale, dopo aver ottenuto la possibilità di reinventarsi, scopre che la libertà assoluta è un’illusione: senza un riconoscimento sociale e giuridico, l’individuo si ritrova privo di diritti e incapace di dare un senso pieno alla propria esistenza.

Questa opposizione tra l’individuo e le strutture sociali richiama la concezione di giustizia elaborata da Friedrich Nietzsche ne La nascita della tragedia (1872), in cui la realtà viene descritta come il risultato di una tensione tra due principi contrastanti: l’apollineo, simbolo di ordine, misura e razionalità (e quindi delle leggi e delle istituzioni), e il dionisiaco, rappresentazione del caos, della libertà e della spinta vitale. Mattia Pascal, nell’atto di abbandonare la propria identità e di crearsi una nuova vita come Adriano Meis, incarna la tentazione dionisiaca di sfuggire ai vincoli imposti dalla società. Tuttavia, il mondo in cui tenta di inserirsi è governato da leggi apollinee, che non contemplano l’esistenza di un individuo privo di identità giuridica. La sua esperienza dimostra così l’impossibilità di una sintesi tra questi due principi: l’ordine sociale non può essere sovvertito senza conseguenze, e la libertà individuale si scontra inevitabilmente con i limiti imposti dal diritto e dalle convenzioni.

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L’epilogo del romanzo, con il ritorno di Mattia alla sua vecchia identità, segna il fallimento del tentativo di superare le strutture imposte dalla giustizia sociale e giuridica. Non potendo essere né Adriano Meis né il vero Mattia Pascal, il protagonista diventa un fantasma sociale, un essere sospeso tra l’esistenza e l’inesistenza. La sua condizione è quella di un eterno escluso: la legge non lo tutela come Adriano, ma allo stesso tempo, tornato a essere Mattia, non può più riappropriarsi della sua vita passata. Questo esito tragico evidenzia l’irriducibile distanza tra la giustizia formale e le esigenze individuali, mostrando come il sistema normativo, anziché garantire la realizzazione personale, possa trasformarsi in una gabbia che soffoca ogni aspirazione autentica.

Pirandello, con questa parabola amara, suggerisce che l’individuo è destinato a un conflitto irrisolvibile con le strutture sociali, incapace di affermare fino in fondo la propria identità senza incorrere nell’esclusione o nella sofferenza. La giustizia, più che uno strumento di equità, si rivela un meccanismo impersonale che impone ruoli fissi e rigidi, condannando chi tenta di sfuggire alle sue categorie prestabilite a un’esistenza ai margini, segnata dall’assurdo e dall’incompiutezza.

Conclusione

Il fu Mattia Pascal è un romanzo che pone la giustizia al centro di una riflessione complessa, intrecciando aspetti esistenziali e giuridici in una narrazione profondamente filosofica. Luigi Pirandello, attraverso il dramma del suo protagonista, decostruisce le certezze su cui si fonda l’ordine sociale e mette in discussione la rigidità delle strutture normative che regolano l’esistenza umana. La vicenda di Mattia Pascal, infatti, non è solo una storia di fuga e di reinvenzione personale, ma diventa una parabola sull’impossibilità di sottrarsi completamente alle convenzioni imposte dalla società senza subire conseguenze irreparabili.

Al centro del romanzo si colloca il conflitto tra legge, identità e libertà, che emerge con forza nel momento in cui Mattia, creduto morto, si trasforma in Adriano Meis. Questa apparente rinascita si scontra però con una realtà ineludibile: senza un riconoscimento giuridico, l’individuo si trova privo di diritti fondamentali. Non può sposarsi, non può denunciare un torto, non può nemmeno esistere ufficialmente. Pirandello evidenzia così il paradosso della giustizia: se da un lato essa dovrebbe garantire la coesione sociale, dall’altro si dimostra un sistema rigido, incapace di adattarsi alle complessità della vita individuale. Il diritto, lungi dall’essere uno strumento neutrale, appare come una costruzione sociale che definisce chi è riconosciuto come individuo e chi, invece, rimane escluso.

Questa riflessione si lega a una più ampia questione filosofica: il contrasto tra l’universale e il particolare, tra l’ordine imposto dalla società e il caos insito nella libertà individuale. La giustizia, intesa come principio astratto, aspira all’imparzialità e all’universalità, ma nella sua applicazione pratica si scontra con le infinite sfaccettature della condizione umana. Pirandello ci mostra che non esiste una giustizia assoluta: ogni sistema giuridico è inevitabilmente limitato e parziale, incapace di comprendere fino in fondo le esigenze dei singoli individui.

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Le implicazioni filosofiche e giuridiche di Il fu Mattia Pascal continuano a stimolare il dibattito contemporaneo, proprio perché il romanzo solleva interrogativi ancora attuali: fino a che punto la nostra identità è determinata dalla legge? È possibile una libertà autentica al di fuori delle strutture sociali? Quali sono i limiti della giustizia nel garantire un equilibrio tra ordine collettivo e diritti individuali? Pirandello non offre risposte definitive, ma ci ricorda che la giustizia non è un principio assoluto, bensì un fragile compromesso tra le esigenze della collettività e le istanze del singolo, tra la necessità di regole e il desiderio di autodeterminazione.

Deniele Onori

Bibliografia

  • Hobbes, Thomas. Leviatano. A cura di Nicola Badaloni, Editori Laterza, 2005.
  • Kant, Immanuel. Fondazione della metafisica dei costumi. A cura di G. Sasso, Laterza, 2006.
  • Nietzsche, Friedrich. La nascita della tragedia. Traduzione di Sossio Giametta, Adelphi, 2017.
  • Pirandello, Luigi. Il fu Mattia Pascal. Mondadori, 2007.
  • Rousseau, Jean-Jacques. Il contratto sociale. A cura di Mario Dal Pra, BUR Rizzoli, 2016.





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