Padre Enzo Del Brocco: «Io, missionario tra droga e droni. Haiti è un abisso di atrocità ma l’isola mi ha cambiato la vita. Con le gang bisogna dialogare»

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 


di
Federico Rampini

Il religioso, sei lingue e un master: «Sono un figlio del ’68, la vera solidarietà l’ho vista tra i poverissimi. L’intelligenza artificiale? Le opportunità sono enormi, se sappiamo metterla al servizio dell’umanità»

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

La periferia degradata di Napoli. Il Bronx durante il Covid. Il mondo dei migranti venezuelani in cerca di asilo a New York. Come ambienti disagiati è già un elenco importante. Eppure nessuna di queste missioni ha «segnato» Enzo Del Brocco. Lui usa questo termine per i sei anni trascorsi sull’isola di Haiti: «È il periodo decisivo della mia vita».

Padre Enzo è uno dei sacerdoti italiani più conosciuti a New York. In questi giorni festivi lo si può incontrare alla parrocchia «Our Saviour» (Nostro Salvatore) di Manhattan, dove collabora con la Comunità di Sant’Egidio locale nell’assistenza agli homeless. Haiti resta in cima ai suoi pensieri, e la sua esperienza sul terreno ne ha fatto un esperto consultato dalle Nazioni Unite. Ma le sue missioni sull’isola si sono rarefatte, su ordine dei superiori. Il caos, la violenza, le stragi perpetrate dalle gang che spadroneggiano a Port-au-Prince richiedono risposte estreme, che finora nessuno ha il coraggio di dare.




















































Italo-americano è il termine esatto nel suo caso. «Figlio del Sessantotto» in senso letterale, perché i suoi genitori — padre italiano e madre italo-americana — si conobbero durante una vacanza in Italia nel 1968. Lui nasce l’anno successivo a Pittsburgh (Pennsylvania) e lì trascorre i primi undici anni della sua vita. Perciò è madrelingua inglese. Vi aggiunge la conoscenza di altre sei lingue, cosa che lo ha agevolato nel girare il mondo: le sue missioni lo hanno portato in cinquanta Paesi. C’è anche un periodo di vita italiana, a partire dall’adolescenza a Ceccano in provincia di Frosinone. La vocazione arriva a diciannove anni. La descrive in modo semplice. «Un’estate leggo i Vangeli e ne rimango sconvolto. Tutto il mio modo d’intendere la vita cambia. L’anno seguente, a vent’anni, decido di entrare nei Passionisti. La passione non è quel Dio che viene rifiutato da tanti atei e agnostici: è il Cristo che ancora oggi soffre nel mondo; è l’incontro fra la tenerezza di Dio e la vulnerabilità umana».
Incontra la sofferenza lavorando con la Comunità di Sant’Egidio nelle periferie degradate di Napoli, si occupa di emarginati e disabili. Neppure quell’esperienza basta a prepararlo alla prova più difficile: dal 2014 al 2020 decide di andare come missionario ad Haiti, è sul posto anche durante le devastazioni dell’uragano del 2016. Lavora alla Cité Soleil, affianca padre Richard e il lavoro della Fondazione Rava.

«I primi due anni li passo abitando dentro un container. Imparo il creolo, lavoro con i giovani come cappellano dell’ospedale pediatrico. Attraverso lo sport, cerco di dargli un po’ di educazione essenziale: civica, igienica, sessuale». Descrive un’isola sprofondata in un abisso di atrocità, dove «tutto è collassato, lo Stato non esiste più, la gente è costretta a vivere di scarti, a recuperare ogni immondizia».

Tuttavia, in mezzo alla violenza feroce delle gang e alla corruzione dilagante dei brandelli di amministrazione pubblica, «resti ammirato per la resistenza di quel popolo, la solidarietà fra i poverissimi, la capacità di sopportare le privazioni più estreme, e non solo di sopravvivere ma perfino di assaporare momenti di consolazione e di gioia: nella musica, nel cibo». Tra i suoi ricordi più terribili cita «gli interventi chirurgici senza anestesia, i morti a cui viene negato un funerale e una sepoltura perché troppo indigenti». In quei sei anni impara a «distinguere il grido della donna che sta per partorire, dall’urlo della madre che ha perso un figlio o una figlia».

Il legame con Haiti per padre Del Brocco non si è mai attenuato, anche se nel 2020 i suoi superiori gli hanno imposto di trasferirsi di fronte all’escalation di ammazzamenti (e lo aspettava un’altra sede «disagiata», l’assistenza ai poveri del Bronx durante il Covid). Il segretario generale dell’Onu continua a consultarlo su Haiti, dove il sacerdote italo-americano è tornato per periodi più brevi, l’ultima volta a settembre proprio per una consulenza richiesta dal Palazzo di Vetro. Lo indigna l’inazione della comunità internazionale, confermata dal fallimento dell’intervento di un contingente di polizia dal Kenya: inadeguato nella sua missione fin dall’inizio, impotente, sopraffatto dalle gang, inutile. 

«Ci vorrebbe una vera missione delle Nazioni Unite e con mezzi adeguati — spiega — però viene bloccata dai veti di Cina e Russia. Si sentono pronunciare al Consiglio di sicurezza degli slogan senza senso, come questo: lasciamo Haiti agli haitiani. È ipocrisia. I terribili flagelli che colpiscono quest’isola — che siano le armi o la droga o i droni da combattimento — arrivano alle gang locali dai Paesi vicini. Ma nessuno vuole prendersi delle responsabilità, la tragedia continua nell’indifferenza». Gli Stati Uniti non possono intervenire in un Paese dei Caraibi (o in qualunque Paese latinoamericano) perché scatterebbe automaticamente l’accusa di imperialismo, neocolonialismo.

L’Amministrazione Biden cercò di convincere il Canada, e altri Paesi, incontrando solo dei rifiuti. Di Donald Trump si può ricordare uno degli episodi più grotteschi della campagna elettorale, quando citò la fake news su migranti clandestini da Haiti che mangiavano cani e gatti in una cittadina dell’Ohio. Episodio ingigantito sul momento, poi irrilevante alle urne, ha però generato una previsione: il diritto di asilo per gli haitiani sarà nel mirino.

Microcredito

per le aziende

 

Comunque, la fuga dall’isola non risolve i problemi di Haiti. Su questo padre Del Brocco ha un atteggiamento pragmatico, che ha riassunto nel suo rapporto all’Onu dopo l’ultima missione di settembre: «Le gang sono criminali senza alcun dubbio. Giustizia andrà fatta per le violenze orrende di cui si macchiano. Però le gang ormai hanno un potere non solo territoriale, bensì di controllo sulla popolazione. Perciò di fronte al crollo dello Stato, al caos, all’impotenza della comunità internazionale, bisogna dialogare con tutti: gang incluse. Nel breve termine devono diventare parte di una soluzione, per quanto imperfetta e provvisoria; altrimenti continueranno a bloccare ogni soluzione».

In attesa che l’Onu, e la Chiesa, gli chiedano di fare qualche altro viaggio dentro l’inferno di Haiti, lui non è certo disoccupato. A Manhattan lo incontro con quelli di Sant’Egidio mentre si occupa di assistere e alloggiare gli homeless, in particolare dal Venezuela.

E poi c’è la sua ultima vocazione, la più intellettuale: l’intelligenza artificiale. Padre Enzo ha tre titoli di studio in atenei americani: una laurea in teologia morale, un master in bioetica, un dottorato alla Duquesne University conseguito con una tesi sulla Ecologia Integrale. Quando non è impegnato nelle sue attività di New York o Haiti, vola a Chicago dove tiene un corso sull’etica dell’intelligenza artificiale. S’intitola «Dignità umana nel mondo cibernetico». Spiega che «le opportunità di questa nuova rivoluzione tecnologica sono enormi, se sappiamo metterla al servizio dell’umanità».

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

8 febbraio 2025

Prestito personale

Delibera veloce

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link