di Francesca Angeleri
L’attore alle Foderie Limone di Moncalieri. «Alcuni potrebbero rivedere Elon Musk nel protagonista ma non mi riferisco a lui. Però forse si arriva a identificarlo con lui perché i tempi sono quelli che sono»
Una stanza spoglia, un capannone abbandonato. Il silenzio è totale. In sottofondo, si odono solo i rumori della fabbrica: la più importante azienda produttrice di armi in Europa. Paolo Veres è seduto alla scrivania. Paolo Veres è L’Uomo più crudele del mondo. E sta aspettando una persona, un giornalista di una testata locale.
L’ha scelto lui, perché vuole raccontargli una storia che, da subito, prenderà una strana piega. Scritta e diretta da Davide Sacco, la pièce sarà da martedì a domenica alle Fonderie Limone di Moncalieri. In scena, ci sono Lino Guanciale e Francesco Montanari.
Lino Guanciale: lei chi è?
«Sono io, L’uomo più crudele del mondo».
Il titolo fa pensare anche un po’ al linguaggio dei bambini, quando si inventano delle storie per giocare. Non trova?
«Ha ragione, un po’ è anche così. Sono le sue generalità, è il nome che gli affibbia il mondo, una vox populi che gli si appiccica addosso in conseguenza di tutte le decisioni che prende per la sua azienda».
«Sappiamo che prima di lui c’era suo padre a dirigere la fabbrica ed era già importante. Poi, diventa leader mondiale. Questo soprannome che fornisce il titolo dello spettacolo è eloquente e problematico. Lui guida un’industria del male e queste realtà sono estremamente potenti e tendono a mantenere il riserbo su tutto, soprattutto sulle persone che ci sono dietro. Non è un tipo di commercio da jet set quello delle armi. Sono altri gli imprenditori che si prendono la ribalta».
Il suo è un riferimento a Elon Musk?
«È inevitabile che qualcuno veda dei tratti che possano essere riconducibili a lui o ad altre grandi menti dell’universo oligarchico-industriale mondiale. Se li si sente risuonare in scena non è tanto per una mia scelta attoriale, quanto perché i tempi sono quelli che sono. L’industria tecnologica non produce armi ma fa altrettanti danni».
Si dice che interpretare i cattivi sia sempre più stimolante per un attore, è così?
«Mi tocca ammettere che interpretare Veres mi piace molto. I personaggi negativi sono quelli da cui tracima un abisso che è dentro tutti noi».
Fare l’attore è utile a tenere sotto controllo l’abisso?
«È un mestiere meraviglioso che consente di visitarne diversi, di abissi. E di guardarci dentro. E non sono solo i tuoi ma anche quelli degli altri. Inevitabilmente, ti rendi conto che si tratta degli stessi».
C’è qualcosa di buono nel suo Veres?
«Il suo bello è che è enormemente simpatico, e pure empatico».
«Innescherà un gioco, con questo giornalista, che si svela solamente nelle ultime sette parole dello spettacolo. Solo allora, al termine del palleggio tra questi due uomini, capiremo chi sia più avanti all’altro in tema di crudeltà».
Come si trova a lavorare con Francesco Montanari?
«È la seconda volta che condividiamo la scena. Ci siamo però conosciuti quindici anni fa per uno spettacolo teatrale che dirigeva Michele Placido, che è un grandissimo regista oltre che un uomo molto leale e rispettoso del talento altrui. In questi quindici anni, più volte con Francesco ci siamo detti che volevamo trovare il modo di fare delle cose insieme, abbiamo cercato delle opportunità. E alla fine è successo, si è manifestata questa occasione. Proprio lui mi ha presentato Davide Sacco con cui, dopo questa prima esperienza, abbiamo fatto anche lo spettacolo Napoleone. La morte di Dio».
«Tra di loro dura già da qualche anno, insieme dirigono il Teatro Nanini di Narni. È una situazione molto bella in cui si sviluppano idee anche per altri artisti. L’affinità tra noi è molto forte e sono contentissimo di fare parte dei loro progetti».
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